Energia
Il mistero delle petroliere iraniane: perché la “flotta fantasma” si è improvvisamente accesa?
Mistero nel Golfo: le petroliere “fantasma” dell’Iran si accendono all’improvviso. Un “flash” di trasparenza che sconcerta gli analisti: paura delle sanzioni ONU, pressione cinese o semplice calcolo economico? Le ipotesi sul tavolo.

Il mondo dell’energia e della geopolitica non smette mai di regalare sorprese, spesso sotto forma di veri e propri rompicapi. L’ultima mossa arriva da Teheran e ha stupito gli analisti navali e i mercati petroliferi: per quale motivo l’Iran, da anni maestro nel muovere la sua “flotta fantasma” nell’oscurità più totale, ha improvvisamente deciso di accendere i sistemi di navigazione (AIS) delle sue petroliere?
Per anni, la National Iranian Tanker Company (NITC) ha operato disattivando sistematicamente i transponder per nascondere le sue rotte, eludere le sanzioni USA e far arrivare il suo “oro nero” al cliente principale, la Cina. Poi, pochi giorni fa, il “flash”: come rilevato da Tanker Trackers, tra 20 e 25 delle 39 principali petroliere della flotta NITC hanno iniziato a trasmettere dati accurati sulla loro posizione, per la prima volta dal 2018.
Certo, la mossa è durata poco. Nel fine settimana successivo, molte di quelle navi erano già tornate nell’ombra. Ma il segnale è stato lanciato e il mondo si chiede cosa significhi.
Il contesto: sanzioni e numeri record
Per capire la stranezza dell’evento, bisogna ricordare il contesto. L’Iran è, per definizione, uno “Stato paria modello” per l’Occidente, strangolato da un regime sanzionatorio durissimo imposto da Washington. Questo status di nemico giurato si riflette in primis sulla sua attività petrolifera.
Nonostante sia uno dei principali produttori mondiali, Teheran è costretta a un complesso gioco di “guardie e ladri” per vendere il suo greggio. Eppure, qualcosa sta bollendo in pentola. Le sanzioni, forse, non stanno funzionando come sperato Oltreoceano.
I dati recenti mostrano numeri sorprendenti:
- Esportazioni: Secondo Tanker Trackers, a settembre 2025 le esportazioni iraniane hanno sfiorato i due milioni di barili al giorno, un livello che non si vedeva dai tempi dell’accordo sul nucleare (JCPOA). Anche se non al massimo, comunque l’Iran esporta, ad esempio, molto più della Libia o della Nigeria.
- Produzione: L’Energy Information Administration (EIA) statunitense, non proprio un organo di propaganda iraniana, ha certificato che la produzione di Teheran a settembre ha raggiunto i 3,45 milioni di barili al giorno. Si tratta di 250.000 barili in più rispetto ad agosto e, ironia della sorte, 50.000 barili in più rispetto a gennaio 2017, quando Donald Trump (l’artefice della “massima pressione”) entrava in carica.
Questi numeri ci dicono che il petrolio iraniano fluisce, ed in gradissima quantità. La sua destinazione prediletta è la Cina, dove le piccole raffinerie indipendenti, le cosiddette “teiere”, lo acquistano a prezzi fortemente scontati, raffinandolo e rivendendolo (spesso anche in Occidente) sotto altre forme.
Perché accendere i fari? Le ipotesi sul tavolo
Se gli affari vanno relativamente bene (seppur nell’ombra), perché questa improvvisa e breve esibizione di trasparenza? Gli analisti hanno messo sul tavolo diverse ipotesi, tutte plausibili, che spaziano dalla paura alla pura convenienza economica.
Ipotesi 1: La paura delle sanzioni ONU (e delle ispezioni)
La spiegazione più immediata riguarda la potenziale (o presunta) riattivazione delle sanzioni ONU. Come sottolinea Homayoun Falakshahi di Kpler, la mossa potrebbe essere una reazione a questa minaccia. In che modo?
- Deterrenza: Accendendo l’AIS, Teheran segnala: “Sappiamo che ci guardate, ma queste navi sono nostre e trasportano petrolio. Se provate a sequestrarle, ci sarà una reazione”.
- Legittimità: È un tentativo di dimostrare che le navi trasportano greggio e non, come alcuni potrebbero sospettare, armi o materiale nucleare, giustificando così un’ispezione forzata.
Miad Maleki, ex funzionario del Tesoro USA, aggiunge un dettaglio tecnico: manomettere l’AIS è una violazione delle norme dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO). L’Iran potrebbe temere che, con il rinnovo delle sanzioni ONU, l’Occidente usi queste violazioni tecniche come casus belli legale per ispezionare o sequestrare i carichi.
Ipotesi 2: La pressione (cinese)
Collegata alla prima ipotesi, c’è la posizione di Pechino. Hamzeh Safavi, analista vicino ai vertici iraniani, ha suggerito che Washington abbia avvertito che le navi “spente” sarebbero state sanzionate.
Di conseguenza, i porti e, soprattutto, le compagnie assicurative cinesi (che non vogliono guai con l’ONU e non troppi con gli USA) starebbero ora insistendo affinché le petroliere che scaricano da loro mantengano i sistemi di tracciamento attivi. L’Iran, quindi, non agirebbe per volontà propria, ma perché costretto dal suo principale cliente.
Ipotesi 3: La trasparenza costa meno (Il fattore economico)
Questa è forse l’ipotesi più logica e, per certi versi, più cinica. Eludere le sanzioni costa. Costa tantissimo.
Muoversi nell’ombra non è gratis. La società di analisi Vortexa ha stimato che l’82% del petrolio iraniano subisce almeno due trasferimenti da nave a nave (ship-to-ship) prima di arrivare a destinazione. Un viaggio verso la Cina, che normalmente richiederebbe 3 settimane, ora ne impiega in media 10.
Analizziamo i costi di questa strategia:
Costo dell’Evasione | Dettagli |
Noli Giornalieri | Una superpetroliera (VLCC) costa circa 100.000 dollari al giorno. Le navi della “flotta fantasma”, disposte a rischiare, costano molte volte di più. |
Sconti Obbligati | L’Iran deve vendere il suo greggio alla Cina con uno sconto di 8-10 dollari al barile rispetto a greggi simili del Medio Oriente. |
Costi Aggiuntivi | Teheran deve pagare intermediari, falsificare documenti, cambiare bandiera alle navi e sostenere i costi di rebranding del greggio. |
Perdita di Margine | Secondo Vortexa, i viaggi più lunghi e complessi possono erodere fino al 15% del valore totale di un carico. |
Di fronte a questo salasso, Teheran potrebbe aver fatto un semplice calcolo costi-benefici: forse, i margini di profitto si stanno erodendo troppo.
L’Iran potrebbe aver deciso che vale la pena rischiare un po’ di trasparenza (magari contando sul fatto che la Cina, dati i pessimi rapporti con gli USA, comprerà comunque apertamente) pur di ridurre i costi logistici, vendere a un prezzo leggermente più alto e incassare di più per ogni barile.
Conclusione: un test di nervi
Il fatto che i transponder si siano già spenti suggerisce che quello della settimana scorsa sia stato un “flash” deliberato, forse un test. Un modo per saggiare le reazioni internazionali, per inviare un messaggio a Washington (le vostre sanzioni non ci fermano, ma ci costano) e a Pechino (pagateci di più, o ci esponiamo tutti).
La vera partita non si gioca sulla trasparenza, ma sul prezzo e sul controllo delle rotte. L’Iran ha appena ricordato al mondo che, nonostante le sanzioni, rimane un attore energetico con cui fare i conti, capace di muoversi tra le ombre ma anche, se serve, di accendere la luce per rinegoziare la sua posizione.
Domande e Risposte per i lettori
1. Perché l’Iran ha bisogno di una “flotta fantasma” per vendere il suo petrolio?
L’Iran è soggetto a pesanti sanzioni economiche imposte principalmente dagli Stati Uniti. Queste sanzioni vietano alla maggior parte dei paesi e delle aziende di acquistare petrolio iraniano o di fornire servizi (come assicurazioni o scali portuali) alle sue navi. Per aggirare questo blocco, l’Iran utilizza una “flotta fantasma”: petroliere che navigano con i sistemi di localizzazione (AIS) spenti, spesso cambiando bandiera o effettuando trasferimenti da nave a nave in alto mare per nascondere l’origine del carico.
2. Cosa sono le raffinerie “teiere” cinesi e che ruolo giocano?
Le “teiere” (dall’inglese teapots) sono piccole raffinerie petrolifere indipendenti in Cina, non controllate dai colossi statali. Essendo più piccole e meno esposte a livello internazionale, sono più disposte a correre il rischio di acquistare greggio sanzionato, come quello iraniano o russo. Il loro incentivo è puramente economico: comprano questo petrolio a un prezzo molto scontato rispetto al mercato, ottenendo margini di profitto significativi una volta raffinato e rivenduto il prodotto.
3. Perché l’Iran avrebbe acceso i localizzatori se teme le sanzioni?
Sembra una contraddizione, ma ci sono diverse teorie. Potrebbe essere un avvertimento: accendendo l’AIS, l’Iran “mostra” le sue navi e segnala che un eventuale sequestro provocherebbe una ritorsione. Oppure, potrebbe essere una mossa economica: la logistica per nascondere le navi è costosissima (viaggi lunghi, sconti alti). L’Iran potrebbe aver calcolato che è più redditizio rischiare di essere visti, riducendo i costi e gli sconti concessi alla Cina, piuttosto che continuare a perdere milioni in complesse operazioni segrete.

You must be logged in to post a comment Login