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Il “Miracolo” Spagnolo? Attenti al turismo: crea precarietà e frena i salari (anche degli altri)
Il “miracolo” spagnolo si basa sul turismo, ma c’è un costo nascosto: salari più bassi per tutti e un boom di precarietà giovanile. Ecco perché.

La Spagna, ci dicono i dati, è la locomotiva d’Europa. Sembra che quasi il 40% dell’intera crescita del PIL del continente provenga dalla penisola iberica. Il FMI stesso prevede una leadership che durerà per tutto il decennio, con stime di crescita che fanno impallidire i vicini (un +2,5% nel 2025, triplicando la media della regione). Tutto bellissimo, se non fosse che, grattando sotto la superficie di questo boom, si nasconde un problema strutturale non da poco, che dovremmo pachipre perché è importante anche per noi.
Quello che da sempre è considerato il pilastro dell’economia spagnola, il suo motore instancabile, potrebbe essere in realtà una pesante zavorra per il mercato del lavoro. Parliamo, ovviamente, del turismo.
Se da un lato, infatti, contribuisce in modo massiccio al PIL e tiene bassa la disoccupazione (almeno statisticamente), dall’altro innesca una spirale di precarietà. Il motivo? Un tetto salariale bassissimo che, per un curioso effetto domino, trascina verso il basso anche gli stipendi di altri settori e impedisce alle aziende (magari più produttive) di trovare lavoratori.
L’effetto spiazzamento: più turisti, meno salario
Un recente e impietoso studio dell’Istituto di Economia di Barcellona (IEB) ha messo nero su bianco questo paradosso, quantificandolo. I ricercatori hanno scoperto una correlazione diretta e negativa: un aumento del 10% dell’attività turistica corrisponde a una riduzione dello 0,5% dello stipendio medio in altre attività.
Il meccanismo è semplice e quasi banale: il turismo “ruba” (o meglio, assorbe) enormi quantità di lavoratori potenziali, sottraendoli ad altri settori come quello manifatturiero. Dato che il settore turistico è caratterizzato da “lavori poco qualificati e poco retribuiti”, questa prevalenza “esercita una pressione al ribasso sullo stipendio medio nell’intera economia”.
È un classico effetto spiazzamento. L’industria turistica, con la sua domanda apparentemente infinita di manodopera (anche se a basso costo), diventa un concorrente talmente forte sul mercato del lavoro da impedire ad altre aziende, magari tecnologiche o industriali, di crescere e assumere.
Il fenomeno è reale in Spagna come in Italia. Il settore turistico, con il suo limitato incremento nella produttività viene a tenere in basso le paghe, innescando un ciclo negativo delle remunerazioni. La Manifattura invece riesce a sostenere una migliore dinamica salariale:

Remunrazioni settoriali orarie da Turismo e Territorio
Se questo è valido per l’Italia, è allo stesso modo valido, se non maggiormente, per la Spagna, dove il peso del settore turistico è perfino maggiore.
Radiografia di una “Monocoltura”
Per capire la portata del fenomeno, torniamo alla Spagna. Per decrivere la situazione, bastano pochi numeri. Il turismo non è “un” settore in Spagna: è “IL” settore.
- Peso sul PIL: Rappresenta il 13,1% del totale, circa 220 miliardi di euro. Italia, in comparazione, meno dell’11%.
- Peso sulla Crescita: Secondo Exceltur, nel 2024 ha generato il 26% della crescita totale del PIL.
- Peso sull’Occupazione: Dà lavoro al 13,5% degli occupati totali (2,92 milioni di persone), con proiezioni che puntano a superare ampiamente i 3 milioni nel 2025.
Questa dipendenza distingue nettamente la Spagna dagli altri grandi partner europei. I dati Eurostat mostrano che la percentuale di posti di lavoro creati dal turismo in Spagna è doppia rispetto a quella della Germania e supera di gran lunga quelle di Francia e Italia. Solo la Grecia, con le conseguenze che ben conosciamo, ha una dipendenza maggiore.
Durante la pandemia, la fragilità di questo modello era apparsa evidente: chiusi i voli, l’economia è collassata. Si era parlato molto, allora, di “cambiare il modello produttivo”. Eppure, i dati odierni mostrano che il peso del turismo sull’occupazione è lo stesso del 2018-2019, con la differenza che allora c’erano quasi due milioni di occupati in meno nell’economia totale. Il modello non è cambiato; si è solo ingigantito.
L’imbuto dei giovani
Il problema diventa ancora più evidente analizzando chi finisce a lavorare in questo settore. I dati sono allarmanti:
- Il 42,1% di tutti gli occupati spagnoli sotto i 20 anni lavora nel turismo.
- Il 26,1% di quelli tra i 20 e i 25 anni lavora nel turismo.
Per molti giovani, il primo contatto con il mercato del lavoro avviene servendo ai tavoli o rifacendo i letti. C’è però una differenza fondamentale rispetto alla bolla immobiliare dei primi anni 2000: allora, i giovani abbandonavano la scuola per andare a lavorare nell’edilizia, attratti da salari molto alti. Oggi, non lasciano gli studi. Il motivo? Gli stipendi nel turismo sono troppo bassi per giustificarlo.
Non lavorano nel turismo perché attirati dai guadagni, ma semplicemente perché è l’unico settore in cui è facile trovare impiego immediato, data l’enorme domanda. È un ripiego, non una scelta, ma questo impedisce una crescita personale, e mantiene compressi le remunerazioni, portando in basso il livello complessivo, comprimento anche consumi personali e crescita.
L’Illusione dell’occupazione record
Lo studio dell’IEB fa un’osservazione ancora più sottile: l’aumento dell’occupazione nel settore turistico è ampiamente compensato dalla diminuzione dell’occupazione nel settore manifatturiero. L’effetto netto sull’occupazione totale o sulla partecipazione alla forza lavoro è quasi nullo.
Questo spiegherebbe un apparente paradosso spagnolo: come è possibile avere “record storici di occupazione” e, allo stesso tempo, un tasso di disoccupazione che rimane ostinatamente di oltre due punti superiore ai minimi storici?
La risposta è che la Spagna sta scambiando posti di lavoro industriali, più stabili e meglio pagati, con posti di lavoro nei servizi turistici, più volatili e a basso salario. Non è un problema di quanti contratti (nemmeno la Riforma del Lavoro del 2021 ha corretto il modello), ma di quale tipo di lavoro si sta creando.
E mentre si discute, il settore macina record: 55,5 milioni di visitatori stranieri solo quest’estate, spesa totale estiva a 76 miliardi di euro (+7,6% sul 2024). Le previsioni di Andersen Consulting e Caixabank parlano di una crescita che, seppur “normalizzata”, continuerà.
Il turismo resta un pilastro, certo, e la sua funzione di spugna dei lavoratori espulsi dalla manifattura è meritevole, ma gli incrementi di produttività limitati comprimono le remunerazioni, anche perché i prezzi non possono crescere più di tanto. Se il turismo vuole miglioare le remunerazioni e non essere solo una spugna occupazionale sono necessari investimenti tecnologici che migliorino la produttività del lavoro, permettendo un aumento delle remunerazioni. Il settore non può continuare ad essere operato come nel 1970.
Domande e Risposte (FAQ)
1) Ma se il turismo crea così tanti posti di lavoro, perché viene descritto come un problema per i salari? Perché si tratta in larga parte di lavori a basso valore aggiunto e bassa retribuzione. Questo ha due effetti negativi: primo, “ruba” manodopera a settori più produttivi (come la manifattura), che faticano a trovare personale; secondo, la prevalenza di questi salari bassi nel totale dell’economia trascina verso il basso la media salariale nazionale. In pratica, si crea occupazione di bassa qualità che “contagia” negativamente anche gli altri settori.
2) Lo studio dice che i salari scendono. Questo significa che anche i camerieri o i receptionist vengono pagati meno? No, il punto è più sottile. Lo studio dell’IEB rileva che i salari all’interno del settore turistico non ne risentono, principalmente perché sono già a livelli molto bassi. La diminuzione dello 0,5% (a fronte di un +10% di turismo) si registra nei salari medi degli altri settori. Questo accade perché il turismo drena la forza lavoro, costringendo l’intera economia a competere su un modello di bassa qualifica, anziché spingere verso l’innovazione e l’aumento della produttività.
3) La soluzione per la Spagna è quindi ridurre il turismo? Non necessariamente. Il problema non è il turismo in sé, ma la sua eccessiva specializzazione e la sua bassa produttività. La Spagna potrebbe continuare ad essere leader turistica, ma dovrebbe puntare a un modello diverso: meno focalizzato sulla quantità (numero di visitatori) e più sulla qualità (maggior spesa per visitatore). La vera sfida, come suggerito nel testo, è un “salto tecnologico” e organizzativo che permetta di aumentare la produttività del settore, pagando salari migliori senza perdere competitività.









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