Analisi e studi
Il miracolo indiano è un’illusione? I dati sulla manifattura che nessuno vi racconta
Dietro i numeri trionfali dell’India si nasconde un’industria in affanno. Dati alternativi svelano crescita debole, investimenti fermi e un allarmante calo dell’occupazione che mette in discussione il “miracolo economico”.
Tutti parlano dell’India come della prossima, inevitabile “fabbrica del mondo”, l’erede designata di una Cina sempre più costosa e geopoliticamente complessa. La narrazione di una crescita inarrestabile, trainata da un settore industriale rampante, domina i media finanziari e le analisi degli istituti internazionali. Ma è davvero così? A guardare i numeri con un po’ più di attenzione, e soprattutto a scegliere quali numeri guardare, emerge un quadro decisamente meno scintillante, quasi preoccupante. Una storia di stagnazione industriale che le statistiche ufficiali sembrano mascherare con una certa abilità.
Quando i conti non tornano: due statistiche, due realtà
Il cuore del problema risiede in una discrepanza statistica tanto grande da cambiare completamente la percezione dell’economia indiana. Dal 2015, i conti nazionali (National Accounts Statistics – NAS) utilizzano una nuova metodologia basata sui dati del Ministero degli Affari Societari (database MCA21), che raccoglie i bilanci delle aziende. Questa ha sostituito la più tradizionale e rodata Indagine Annuale delle Industrie (Annual Survey of Industries – ASI).
Senza entrare in tecnicismi eccessivi, il risultato è una divergenza che ha del clamoroso. Se analizziamo il periodo pre-pandemico (dal 2011-12 al 2019-20) per evitare le distorsioni del Covid, i dati ci raccontano due storie opposte:
- Crescita del Valore Aggiunto Lordo (VAL) manifatturiero:
- Secondo i conti nazionali (NAS): una crescita media annua del 6.2%. Un risultato solido.
- Secondo l’indagine sulle industrie (ASI): una crescita media del 3.5%. Praticamente la metà.
- Crescita degli Investimenti Fissi Lordi (FLCF), cioè gli investimenti produttivi:
- Secondo i conti nazionali (NAS): una crescita media del 4.5% annuo.
- Secondo l’indagine sulle industrie (ASI): una crescita media dello 0.3%. Un valore prossimo allo zero, che segnala una stagnazione totale.
La stima basata sull’ASI, storicamente considerata più affidabile e coerente con altri indicatori macroeconomici come il credito all’industria (in calo), suggerisce che l’ipotesi di una sovrastima del PIL indiano, avanzata da molti economisti fin dal 2015, sia più che fondata. In parole povere, la narrazione del boom industriale potrebbe basarsi su un barometro difettoso.
India: crescita industria a seconda del criterio utilizzato NAS e ASI a sinistra Valore aggiunto lordo a destra Investimenti.
Le conseguenze di una crescita fantasma: la deindustrializzazione prematura
Una crescita degli investimenti produttivi praticamente nulla per quasi un decennio non può non avere conseguenze. E infatti, i segnali di un indebolimento strutturale del tessuto industriale indiano sono evidenti. Politiche altisonanti come “Make in India” (2014) o “Atmanirbhar Bharat” (2020) non sembrano aver scalfito questa tendenza, fallendo nel riattivare il ciclo degli investimenti.
Gli effetti si vedono chiaramente su tre fronti:
- Occupazione: Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da un’economia in fase di industrializzazione, la quota di occupati nel settore manifatturiero è diminuita, passando dal 12.6% del 2011-12 all’11.4% del 2022-23. Dove sono andati questi lavoratori? Sono tornati nel settore primario. La quota di occupati in agricoltura, che dovrebbe calare in un’economia che si sviluppa, è invece aumentata. Si tratta di un chiaro sintomo di deindustrializzazione prematura: l’industria non riesce più ad assorbire manodopera, che ripiega sulla rete di sicurezza dell’agricoltura di sussistenza.
- Commercio Estero: La capacità produttiva interna si è erosa. Ciò ha portato a un calo della quota delle esportazioni di merci sul totale, passata dal 68.4% nel 2011-12 al 55% nel 2023-24. Allo stesso tempo, è aumentata la dipendenza dalle importazioni di beni intermedi e capitali. L’esempio del settore farmaceutico è emblematico: l’India è un grande esportatore di farmaci generici, ma dipende quasi totalmente dalla Cina per i principi attivi (API). Una vulnerabilità emersa drammaticamente durante la pandemia.
- Vulnerabilità Geopolitica: Questa debolezza strutturale espone l’India a una sorta di “tenaglia geopolitica”. Da un lato, la dipendenza dalla Cina per componenti essenziali la rende vulnerabile a eventuali restrizioni sull’export da parte di Pechino. Dall’altro, le tensioni commerciali e i dazi imposti dall’Occidente (come quelli americani) minacciano di colpire le esportazioni di manufatti ad alta intensità di lavoro, strangolando la domanda.
Quindi la narrazione di un’India lanciata alla conquista del primato manifatturiero globale sembra essere, appunto, una narrazione. I dati più credibili dipingono un quadro di investimenti stagnanti, capacità produttiva erosa e un’inquietante inversione di tendenza sul fronte occupazionale. Con un’abbondanza di manodopera dovremmo vedere il passaggio da un settore primario a quello industriale con facilità, invece i dati reali non mostrano ancora questa realtà. Certo, bisognerebbe depurare la crescita della produttività legata all’automazione, ma la crescita resta lenta, non impressionante. Anche l’apporto della manifattura sul PIL non mostra uno sviluppo da “Rivoluzione industriale”.
Per l’India è forse arrivato il momento di un bagno di realtà, abbandonando le statistiche troppo ottimistiche per affrontare i problemi reali. Per il resto del mondo, è un monito a non dare per scontato che esista già un’alternativa pronta e solida alla catena del valore cinese.
Domande e Risposte
1) Perché è così importante la discrepanza tra i due metodi di calcolo della crescita industriale in India?
Questa discrepanza è fondamentale perché cambia radicalmente la diagnosi sullo stato di salute dell’economia indiana. Se si crede ai dati ufficiali (NAS), l’India è una potenza industriale in solida crescita, un luogo ideale per investimenti e un partner affidabile per diversificare le catene di approvvigionamento globali. Se invece, come sembra più probabile, i dati più realistici sono quelli dell’ASI, l’India soffre di una profonda stagnazione degli investimenti produttivi e di una debolezza strutturale. Le politiche economiche basate su dati gonfiati rischiano di essere inefficaci, perché non affrontano i problemi reali del Paese.
2) Qual è l’importanza di questa notizia per l’economia globale e per l’Europa/Italia?
Per l’economia globale, una manifattura indiana più debole di quanto si pensi significa che l’alternativa alla Cina come “fabbrica del mondo” è molto meno pronta e solida. Ciò implica maggiori rischi e incertezze per le catene di approvvigionamento globali. Per l’Europa e l’Italia, che cercano partner strategici per ridurre la dipendenza da Pechino, questa notizia suggerisce cautela. Un’India con una capacità produttiva stagnante è un partner commerciale meno dinamico e un mercato di sbocco per i nostri beni capitali (macchinari, etc.) meno promettente di quanto le cifre ufficiali lascerebbero intendere.
3) Quali sono le implicazioni future di questa “deindustrializzazione prematura”?
La deindustrializzazione prematura ha implicazioni gravissime. In primo luogo, impedisce a milioni di persone di uscire dalla povertà, poiché il settore agricolo non può garantire gli stessi aumenti di produttività e di salario dell’industria. In secondo luogo, rende il Paese più dipendente dalle importazioni, con un impatto negativo sulla bilancia commerciale e sulla stabilità della valuta. Infine, ne mina le ambizioni geopolitiche: senza una solida base industriale, è difficile proiettare potenza economica e militare sulla scena mondiale. L’India rischia di rimanere intrappolata in uno sviluppo modesto, incapace di compiere il salto di qualità.
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