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Il ministro Gualtieri dovrebbe scusarsi con Salvini (e non solo)

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Vi proponiamo l’estratto di un articolo di Giovanni Polillo su Startmag, nel quale viene messa in evidenza l’estrema, per lo meno inopportunità dei commenti e dei giudizi del responsabile del MEF Gualtieri che, parlando della situazione finanziaria e dell’esponente della Lega Savini, ha affermato che “Gli investitori non vogliono sentir parlare della possibilità di un ritorno di chi, come Salvini, tifa per Vox e ha messo in discussione l’ancoraggio europeo dell’Italia”. Questa  affermazione presenta da un lato un certo disprezzo per la democrazia che ha portato Salvini dove è,  dall’altro è ancora più pericolosa perchè viene ad ignorare i veri problemi dell’economia italiana, della sua situazione di bilancio, e viene ad impedire un vero dibattito sul paese del nostro paese. Sarebbe opportuno che questo dibattito sull’economia, l’industria e lo sviluppo italiano fosse aperto, appena dopo le scuse del Ministro. 

 

Non sappiamo se il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, si sia reso conto, nelle sue confidenze a La Repubblica, dell’abnormità delle sue affermazioni. “Più che la preoccupazione – ha riferito – in Europa ho registrato sorpresa per il dibattito politico italiano. C’è il pericolo di una percezione di instabilità che rischiamo di pagare sui mercati. Gli investitori non vogliono sentir parlare della possibilità di un ritorno di chi, come Salvini, tifa per Vox e ha messo in discussione l’ancoraggio europeo dell’Italia”.

In questo modo il tradizionale “vincolo esterno” (lo sprono a fare le riforme) cambia pelle. E si trasforma in un’inaccettabile interferenza politica. Cosa che non appartiene alla tradizione italiana. Anche nel periodo più duro della “guerra fredda”, come lo stesso Gualtieri da storico attento potrà confermare, la collocazione a fianco degli alleati americani fu una libera scelta, seppure contrastata, della maggioranza del popolo italiano. Il voto parlamentare che portò all’adesione della Nato, solo per ricordare un episodio, fu marcato da uno scontro in Aula che è rimasto indelebile nella storia istituzionale del Paese. Ma, alla fine, quella volontà collettiva prevalse sui fautori dell’internazionalismo proletario.

L’alibi dell’euroscetticismo, imputato al principale partito politico italiano, va, quindi, fatto cadere rapidamente. La Lega deve far saltare quel tappo, non avendo più quella forza residuale che fu tipica dell’ultima gestione del “senatur”, Umberto Bossi, ma avendo assunto una dimensione nazionale. Il problema è vedere se esistono i presupposti per una diversa presenza nelle istituzioni europee. Se cioè quel “vincolo”, che ha assunto una dimensione non solo economica ma politica, possa essere messo in discussione. Per rispondere, va ricordato che la sua esistenza è soprattutto legata all’incapacità dei vari ministri dell’Economia (da Pier Carlo Padoan allo stesso Gualtieri, senza dimenticare Giovanni Tria) di leggere correttamente i dati della situazione italiana, alla luce delle stesse elaborazioni della Commissione europea.

 

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Se questo è il quadro, il cambiamento di prospettiva è nelle cose. L’Italia, nel confronto con l’Europa, deve rovesciare l’ordine delle priorità. Non partire dalla preventiva fissazione di un deficit di bilancio o di rapporto debito-Pil, ma da un tasso di sviluppo programmatico, per poi rivederne le ricadute sugli assetti complessivi di finanza pubblica. Ed accompagnare questa previsione con la puntuale esplicitazione delle riforme che intende perseguire. A partire da quella fiscale, che è la madre di tutte le battaglie. Ci saranno resistenze? Certo che ci saranno. Ma se Mario Draghi avesse abbandonato la partita, forse, oggi, l’euro sarebbe solo un ricordo del passato.

 


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