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Il greggio Kazako vira verso la Cina: i droni sul terminale CPC ridisegnano la mappa energetica (a spese dell’Europa)
Petrolio Kazako: addio Europa? I droni sul Mar Nero spingono Astana verso la Cina I danni al terminale CPC in Russia dirottano il greggio del giacimento Kashagan verso Pechino. L’Italia e l’Europa rischiano di perdere una fornitura chiave mentre la Cina ne approfitta.

I danni infrastrutturali hanno conseguenze, e spesso queste conseguenze prendono direzioni inaspettate. O forse, fin troppo prevedibili per chi osserva le dinamiche della “Nuova Via della Seta”. Il petrolio del Kazakistan, in particolare quello proveniente dal gigantesco giacimento di Kashagan, sta iniziando a fluire verso la Cina. È la prima volta che accade in volumi significativi, una risposta diretta ai danni subiti dal terminale del Caspian Pipeline Consortium (CPC) nel Mar Nero a seguito degli attacchi di droni ucraini.
Mentre l’Europa cerca disperatamente di diversificare le proprie fonti energetiche, Astana si trova costretta a guardare a Pechino per mantenere attive le sue esportazioni, ma questo spostamento potrebbe non essere solo una soluzione temporanea.
Il terminale zoppica, l’export si adegua
Il cuore del problema risiede nel porto russo di Novorossiysk. È qui che termina l’oleodotto CPC, l’arteria vitale che trasporta la maggior parte dell’oro nero kazako verso i mercati globali, e soprattutto europei. Tuttavia, una serie di attacchi con droni avvenuti tra la metà e la fine di novembre ha compromesso gravemente le infrastrutture di carico.
La situazione operativa attuale del terminale è critica:
- SPM-1: Operativo (unico punto di ormeggio funzionante).
- SPM-2: Seriamente danneggiato dagli attacchi.
- SPM-3: Attualmente fuori uso per manutenzione programmata.
Con due terzi della capacità di carico fuori gioco, il Kazakistan non può permettersi di aspettare i tempi della riparazione o della diplomazia.
La Cina entra in gioco (e ringrazia)
Di fronte al collo di bottiglia nel Mar Nero, i flussi si stanno riorientando. Secondo quanto riportato da fonti del settore, per dicembre è previsto l’invio di 50.000 tonnellate di greggio verso la Cina. Non sono numeri enormi in assoluto, ma rappresentano un segnale politico e logistico fortissimo.
Ecco come verrà ripartito questo export d’emergenza attraverso l’oleodotto Atasu-Alashankou:
| Compagnia | Volume (Tonnellate) | Destinazione |
| CNPC (Cina) | ~ 30.000 | Cina |
| Inpex (Giappone) | ~ 20.000 | Cina |
L’oleodotto Atasu-Alashankou, che solitamente trasporta petrolio da altri giacimenti e non dal pregiato Kashagan, ha una capacità residua pronta all’uso. I flussi attuali si attestano sulle 85-86 mila tonnellate mensili, lasciando ampio spazio per questi volumi aggiuntivi. Il Ministero dell’Energia kazako ha confermato che si sta lavorando per “ridistribuire i volumi e intensificare l’uso di rotte alternative”, pur precisando che l’export via CPC non è completamente fermo.
Un problema per l’Europa (e per l’Italia)
La vera domanda è: chi paga il conto di questa instabilità? La risposta è, come spesso accade, l’Europa. Il Vecchio Continente dipende dal greggio trasportato via CPC per circa l’11,5% delle sue importazioni totali, ovvero circa 1,05 milioni di barili al giorno.
Tra i maggiori acquirenti di questo petrolio figurano:
- Germania
- Paesi Bassi
- Italia
Il paradosso è evidente: gli attacchi di Kiev mirano a colpire l’economia di guerra russa, ma il danno collaterale colpisce infrastrutture vitali per l’approvvigionamento energetico dei suoi stessi alleati europei. Il Kazakistan, che per trent’anni ha mantenuto un difficile equilibrio tra Russia, Cina e Occidente, ha formalmente protestato contro quella che definisce “aggressione contro una struttura esclusivamente civile”.
Se questa deviazione verso Pechino dovesse trasformarsi da emergenza temporanea a strategia strutturale, l’Europa potrebbe trovarsi con un altro fornitore chiave sempre più integrato nell’orbita cinese. Un rischio che, data la fame di energia di Pechino, non possiamo permetterci di sottovalutare.
Domande e risposte
Questo spostamento di petrolio verso la Cina influirà sui prezzi della benzina in Italia?
Nel breve termine l’impatto diretto alla pompa potrebbe essere limitato, poiché i volumi dirottati (50.000 tonnellate) sono una frazione modesta rispetto al consumo globale. Tuttavia, se il danno al terminale CPC dovesse prolungarsi e i volumi verso la Cina aumentassero, la riduzione dell’offerta disponibile per il mercato mediterraneo creerebbe inevitabilmente tensioni sui prezzi. L’Italia è uno dei maggiori importatori di greggio azero e kazako; una riduzione strutturale dell’offerta costringerebbe le raffinerie a cercare alternative più costose, con possibili rincari finali per i consumatori.1
Perché il Kazakistan non usa altre vie per portare il petrolio in Europa?
Esistono rotte alternative, ma sono complesse e costose. La cosiddetta “Rotta di Mezzo” (Middle Corridor), che attraversa il Mar Caspio verso l’Azerbaigian e poi la Turchia o il Mar Nero, ha una capacità limitata rispetto al gigantesco oleodotto CPC. Richiede l’uso di navi cisterna per attraversare il Caspio e poi l’immissione in altri oleodotti (come il Baku-Tbilisi-Ceyhan), aumentando tempi e costi logistici. L’infrastruttura esistente è stata costruita per decenni con l’idea che la Russia fosse un partner di transito affidabile, un paradigma che ora è saltato.
È possibile che la Cina sostituisca l’Europa come cliente principale del Kazakistan?
È uno scenario possibile, ma non immediato. L’oleodotto verso la Cina ha una capacità inferiore rispetto al CPC che va verso l’Europa. Tuttavia, Pechino ha la capacità finanziaria e tecnica per ampliare rapidamente le infrastrutture se lo ritiene strategico.2 La Cina è sempre alla ricerca di sicurezza energetica via terra per ridurre la dipendenza dalle rotte marittime. Se l’Europa e la rotta russa diventano troppo instabili, Astana potrebbe trovare in Pechino un partner che garantisce acquisti costanti e investimenti, spostando definitivamente il suo baricentro economico a Est









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