Francia
Il Grande Flop degli Insetti: Ÿnsect fallisce e brucia 600 milioni (200 dei contribuenti). Un disastro annunciato
Fallisce la startup francese simbolo dell’Agenda 2030. Un disastro annunciato tra giga-factory inutili, costi folli e il rifiuto del mercato. Ecco come si distrugge valore in nome del “Green”.

Sembrava la trama perfetta di un film di fantascienza hollywoodiano, benedetta persino da Iron Man in persona. E invece, come spesso accade quando l’ideologia “green” cerca di piegare le leggi della termodinamica e dell’economia, il risveglio è stato brutale. Ÿnsect, la startup francese poster-child della rivoluzione proteica a base di insetti, è finita in liquidazione giudiziaria. In parole povere: bancarotta.
Non è solo il fallimento di un’azienda; è il de profundis di un modello industriale spinto a forza da Bruxelles e dall’Agenda 2030, che ha bruciato una montagna di capitali. Parliamo di oltre 600 milioni di dollari raccolti, di cui una fetta sostanziosa – circa 200 milioni di euro – proveniente direttamente dalle tasche dei contribuenti europei e francesi. Tutto questo per produrre un cibo che nessuno voleva mangiare, a costi che nessuno poteva sostenere. Un bel modo per mostrare come l’ideologia ha distrutto soldi pubblici.
La cronaca di una morte annunciata
Il sipario è calato poche settimane fa, quasi quattro anni dopo che Robert Downey Jr. (tramite la sua FootPrint Coalition) aveva magnificato le virtù dell’azienda al “Late Show” durante il weekend del Super Bowl 2021. L’obiettivo dichiarato era “rivoluzionare la catena alimentare”. L’esito? Un disastro finanziario di proporzioni epiche.
La società, incapace di trovare un acquirente che salvasse il salvabile, ha visto i suoi asset messi all’asta. L’ultimo CEO, Emmanuel Pinto, specialista in ristrutturazioni, ha dovuto ammettere la sconfitta, sperando che “l’esperienza tecnica” accumulata non vada persa. Una magra consolazione per chi ha investito milioni in vermi della farina.
I numeri del disastro: quando il P&L non perdona
Per capire l’assurdità dell’operazione, basta guardare i numeri, quelli veri, depurati dalla propaganda ESG (Environmental, Social, and Governance):
- Capitale raccolto: Oltre 600 milioni di dollari.
- Fatturato (2021): Appena 17,8 milioni di euro (cifra peraltro gonfiata da trasferimenti interni tra sussidiarie).
- Perdita netta (2023): 79,7 milioni di euro.
Come ha fatto un’azienda con ricavi da piccola catena di negozi (con tutto il rispetto) a raccogliere capitali da multinazionale? Semplice: vendendo un sogno ideologicamente colorato. Gli investitori, tra cui la banca pubblica d’investimento francese Bpifrance e fondi focalizzati sull’impatto come Astanor Ventures, hanno comprato la narrazione della “sostenibilità” a prescindere dalla logica di mercato.
L’errore strategico e il buon senso mancato
Il problema fondamentale di Ÿnsect, e di gran parte del settore dell’allevamento di insetti, è economico, prima ancora che culturale.
In un mondo perfetto e circolare, gli insetti dovrebbero mangiare rifiuti organici per trasformarli in proteine nobili. Ma la realtà industriale è diversa: per produrre su scala, Ÿnsect finiva per alimentare i suoi insetti con sottoprodotti dei cereali. Qui casca l’asino (o il grillo): quei cereali sono già utilizzabili direttamente come mangime animale. Usarli per nutrire gli insetti, che poi nutrono gli animali, aggiunge solo un passaggio costoso e dispendioso. Bastava una valutazione di base, di buon senso, per capire che era un’idea farlocca, ma piaceva ai Verdi, quindi doveva andare bene comunque.
Il mercato dei mangimi animali è una commodity dominata dal prezzo. Nessun allevatore comprerà farina di insetti se costa il triplo della soia, solo per far felice Greta Thunberg. Ÿnsect lo aveva capito troppo tardi, cercando disperatamente di virare su mercati a più alto margine:
- Pet Food: Cibo per cani e gatti (più redditizio, ma saturo).
- Cibo Umano: Un fallimento annunciato.
L’acquisizione dell’olandese Protifarm nel 2021, specializzata in vermi per consumo umano, è stata l’apice della confusione. Mentre compravano l’azienda, l’allora CEO Antoine Hubert ammetteva che quel mercato sarebbe rimasto marginale. Comprare aziende in settori marginali mentre si brucia cassa non è “strategia”, è suicidio.
La cattedrale nel deserto: la Giga-factory Ÿnfarm
L’errore fatale, quello che farebbe impallidire qualsiasi buon padre di famiglia o imprenditore della vecchia scuola, è stato la costruzione di Ÿnfarm. Presentata come la “fattoria di insetti più grande e costosa al mondo”, questa giga-factory nel nord della Francia ha assorbito centinaia di milioni di euro. Il dettaglio tragicomico? L’hanno costruita prima di aver validato il modello di business e l’economia unitaria.
In Europa abbiamo un vizio ricorrente: finanziamo le diapositive di PowerPoint e le cattedrali nel deserto, ma dimentichiamo l’industrializzazione basata sulla domanda reale. Il professor Joe Haslam della IE Business School ha centrato il punto: “Ÿnsect è un caso di studio del gap di scala europeo. Finanziamo i ‘moonshot’ (progetti visionari), ma abbandoniamo l’industrializzazione logica”.
Non è un caso isolato: il crollo di ENORM
Chiunque pensi che sia solo sfortuna francese, si ricreda. A novembre, anche l’azienda danese ENORM Biofactory, un altro colosso dell’allevamento di insetti, è stata dichiarata fallita dopo un tentativo di ristrutturazione andato a male. Il pattern è identico:
- Enormi investimenti iniziali (CAPEX).
- Costi operativi (OPEX) insostenibili.
- Domanda di mercato inesistente ai prezzi proposti.
È un intero settore che si sta sgretolando sotto il peso della realtà. Il rifiuto culturale degli occidentali a mangiare insetti (il cosiddetto “ick factor”) è solo la ciliegina sulla torta. Il vero problema è che nutrire polli e maiali con insetti “high-tech” costa troppo.
Un gran falò dei soldi pubblici
Il caso Ÿnsect si unisce alla lista dei grandi flop tecnologici europei recenti, accanto a Northvolt (batterie, Svezia), Volocopter e Lilium (taxi volanti, Germania). La lezione è amara ma necessaria: la pianificazione centrale dell’innovazione, guidata da slogan politici (“Agenda 2030”, “Sovranità proteica”) invece che dal mercato, produce macerie.
Sono stati bruciati 200 milioni di euro pubblici. Denaro che poteva essere usato per sanità, infrastrutture o per abbassare il cuneo fiscale alle imprese vere, quelle che producono beni che la gente vuole acquistare. Invece, abbiamo finanziato l’allevamento di vermi più costoso della storia. Chiunque fosse dotato di un minimo di buon senso lo aveva previsto: non si crea un mercato per decreto, e non si cambia la dieta di un continente con la propaganda. Ma a Bruxelles, evidentemente, il buon senso non è quotato in borsa.
Domande e risposte
Perché Ÿnsect è fallita nonostante i 600 milioni raccolti? Il fallimento è dovuto a un modello di business insostenibile. Ÿnsect produceva proteine a costi elevatissimi per mercati (mangimi animali) che richiedono prezzi bassi. L’azienda ha investito massicciamente in una “giga-factory” prima ancora di aver dimostrato di poter generare profitti su ogni unità venduta. I ricavi erano minimi rispetto ai costi operativi e al servizio del debito, e il tentativo di spostarsi su mercati più ricchi (come il pet food) è arrivato troppo tardi.
Il fallimento di Ÿnsect segna la fine del settore degli insetti commestibili? Molto probabilmente segna la fine dell’euforia speculativa e dei progetti su scala “faraonica”. Mentre colossi come Ÿnsect e la danese ENORM falliscono, concorrenti più prudenti come Innovafeed sembrano resistere meglio grazie a una crescita incrementale. Tuttavia, resta il problema di fondo: l’alimentazione umana a base di insetti incontra una forte resistenza culturale in Occidente, e l’uso per mangimi animali è economicamente svantaggioso rispetto alle alternative tradizionali come soia e farina di pesce.
Quanto è costato questo fallimento ai cittadini? Il conto è salato. Si stima che circa 200 milioni di euro dei 600 totali raccolti provengano da fondi pubblici, tra cui finanziamenti diretti dello stato francese tramite Bpifrance e sussidi europei legati all’Agenda 2030. Questo denaro è andato perso in un’impresa che non ha mai raggiunto l’autonomia finanziaria, sollevando seri dubbi sulla capacità delle istituzioni pubbliche di selezionare investimenti industriali validi invece di seguire mode ideologiche.








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