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Il GRANDE EQUIVOCO DEL DEBITO PUBBLICO (di Valerio Malvezzi)

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Come per magia, torniamo a parlare del debito pubblico, di quanto sia alto, mamma mia, arrivano i Turchi! Eppure, io avrei una domanda, semplice, per i tanti catastrofisti: mi sapete dire chi lo ha rimborsato?

Forse la domanda non è sufficientemente chiara e allora la pongo in modo diverso: quale Paese al mondo, dal secondo dopoguerra ad oggi ha rimborsato, anche parzialmente, il proprio debito?

Risposta: nessuno.

Partiamo da qui: il debito pubblico non è stato, mai, e da nessun Paese al mondo, rimborsato dal 1945. E già questo dovrebbe fare pensare il lettore intellettualmente onesto. Quale debito sarà mai quello che non viene rimborsato?

Per capirlo, occorre forse vedere il debito pubblico come qualcosa di diverso, come raramente capita al comune lettore. Il debito pubblico non è un debito normale.

Non lo è, per una semplice ragione; non è un debito nel senso letterale, comunemente inteso. Non è stato mai rimborsato da nessuno, da nessun Paese al mondo, in tutti gli anni dal 1945 ad oggi per una ragione semplice: non è fatto per essere rimborsato.

MA QUESTO E’ MATTO!

Naturalmente, ci sarà già chi a queste prime righe si sarà indignato, offeso e scandalizzato. Eppure, è così semplice; il debito pubblico, in un mondo normale, non è fatto per essere rimborsato, ma per pagare gli interessi. Interessi, si badi bene, che in un mondo normale – che non è quello nel quale viviamo da alcuni decenni, dal 1981, per la precisione – sono calmierati da un altro soggetto.

Quel soggetto si chiama Banca Centrale, che nel mondo normale è pubblica.

Quella Banca, che in un mondo normale risponde al Parlamento e al Governo, cioè al popolo che li elegge in un sistema democratico, ha esattamente questo compito: comperare i titoli del debito pubblico, calmierandone il prezzo. E quella Banca lo deve fare per una ragione semplice: quel debito è contratto dallo Stato con sé stesso. Certo, se abdica – per ragioni storiche lunghe a spiegarsi – a questo compito, è ovvio che il prezzo sarà fatto dal mercato, mosso dalla speculazione.

Quindi, è solo una questione di interessi, Signore e Signori.

Solo che io, da economista, parlo di interessi sul denaro, mentre le ragioni storiche alle quali facevo cenno riguardano interessi personali di pochi politici, ai danni di molti cittadini italiani.

Sempre di interesse parliamo, ma in accezione diversa.

UNA QUESTIONE COSTITUZIONALE

Il pazzo che vi scrive muove il proprio ragionamento dalla Costituzione della Repubblica Italiana. Uno dei consulenti dei padri costituenti fu il professor Federico Caffè, alla cui memoria è intitolata la Facoltà di Economia di una nota Università romana. Per cui il dibattito, oggi, è semmai quello di intendere il significato di questo debito e la sua stratificazione per effetto del deficit, nel quale si tratterebbe di togliere il costo per investimenti, che rilancerebbero la domanda effettiva, una speranza vera di riduzione del rapporto tra il debito e il PIL.

Certo, in un solo articolo non è possibile argomentare compiutamente di così complessa questione, e per tale ragione, se ci sarà interesse, altri ne seguiranno sul medesimo tema.

In definitiva, io sono uno di coloro che pensano – e siamo una minoranza di economisti agguerrita e arrabbiata – che decenni di bavaglio in ossequio al pensiero unico neoliberista internazionale siano troppi. Uno di questi è il mio amico professor Antonio Maria Rinaldi, con il quale scambio queste considerazioni.

Per cui, di grazia, o cambiate integralmente la filosofia e lo spirito fondante la Costituzione Italiana, oppure è un delitto morale violentarla con norme come il fiscal compact, per ragioni che andrò a spiegare tecnicamente ora.

LA SPESA PUBBLICA E’ UN MALE?

Partiamo dalle basi.

Ogni giorno, da decenni, veniamo bombardati di informazioni fuorvianti, da tutti gli organi di informazione. Fanno credere al cittadino che i suoi mali derivino tutti dalla spesa pubblica, alla qale spesso è associata una parola: spreco.

Allora, vi pubblico ora una mia slide di una conferenza.

Già queste due semplici frasi manderebbero in tilt la convinzione di tanti opinionisti; un conto è parlare di deficit pubblico (male), altro di surplus privato (bene).

Peccato che siano la stessa identica cosa.

E ora, dimostriamolo.

SURPLUS PRIVATO E DEFICIT PUBBLICO

Ah, ma tu come italiano, debitore baffi neri e mandolino, sei di parte.

No, no; prendiamo cosa dice dell’Italia la Commissione di Bilancio del Senato del primo Paese al mondo, simbolo del capitalismo: gli Stati Uniti d’America.

Lo vedete?

Le curve sono esattamente speculari; quando cresce l’una, scende l’altra.

UNA LEZIONE SEMPLICE

Ma dato che non c’è peggio sordo di chi non vuol sentire, ho fatto una slide nella quale sintetizzare la semplice lezione che ci deriva dalla sola osservazione imparziale delle curve economiche.

Questo, a prescindere dalle opinioni; è un fatto storico documentato.

E CON QUESTO COSA VORRESTI DIMOSTRARE?

Ci riprovo.

Del resto, mi rendo conto che oltre vent’anni di lavaggio del cervello fatto sistematicamente dal pensiero unico internazionale neo liberista possa ottenebrare la mente.

Va bene, citi un americano – chioserà il polemico – e chi sarebbero gli autorevoli studiosi italiani? Ne cito uno, che mi onoro di conoscere personalmente; il professor Alberto Bagnai.

Voglio semplicemente e sommessamente osservare che quando aumenta il deficit pubblico aumenta il surplus privato, e viceversa quanto diminuisce il deficit pubblico va in deficit il settore privato.

Come dite?

Non vi avevano spiegato in questo modo la spending review, cioè la riduzione della spesa pubblica, vero?

Eh, lo so, detta così suona male.

Suona bene a dire: tagliamo la spesa pubblica. Un po’ meno il corollario; a spese tue.

Così, facciamo finta di non sapere che esista la relazione.

MA E’ UNA SITUAZIONE PARADOSSALE ITALIANA?

E qui, mi aspetto il solito coro dei neo liberisti, convinti o inconsapevoli. Ne ho anche tra i miei amici, persone anche acculturate, che magari lavorano in banca, e mi dicono in birreria varie sempiaggini.

Eh, ma la colpa è solo nostra, che ci siamo indebitati!

Eh, ma i paesi virtuosi come la Germania questi problemi mica li hanno!

Eh, ma questo succede solo a noi italiani, baffi neri e mandolino, mafia e fare sempre casino!

Risponderò a tempo debito in altri articoli a queste corbellerie, per esempio parlando della virtuosa Germania e del suo modo di nascondere il debito, sia dello Stato sia delle Banche, ma in questo articolo, non potendo trattare di tutto, mi limito a rispondere alla prima obiezione; che sia un problema solo italiano.

UNA REGOLA MONDIALE

Prendo di nuovo a paradigma la nazione più importante del mondo, almeno per ora, sotto il profilo economico, certamente esempio del capitalismo mondiale dopo avere ereditato lo scettro dalla mamma Inghilterra alla fine del secondo conflitto mondiale.

Illustro un altro mio grafico di una mia conferenza sul debito pubblico.

Se si esamina una serie storica di non breve ma lungo termine (25 anni), si conferma che, anche negli Stati Uniti, il deficit o surplus del Governo e quello del settore Privato sono esattamente speculari.

Quando cresce uno, scende l’altro, e viceversa.

CONCLUSIONE

Date le ristrettezze di spazio di un solo articolo, questa trattazione non è certamente esaustiva. Moltissime altre cose possono essere aggiunte, considerate, obiettate.

Me ne rendo perfettamente conto.Parimenti, mi rendo anche conto che quando taluno sul mio blog Win The Bank oppure in trasmissioni televisive mi critica per essere un semplificatore, mi riempio di orgoglio.

Date le mie origine contadine – che non rinnego – sono orgoglioso di semplificare, perché l’economia, se spiegata, è comprensibile a qualsiasi persona, come ogni materia. Certo, non si deve giocare con le parole. Certamente, se io dico che sulla testa di ogni bambino che nasce ci sono n mila euro di debito, mando un messaggio ben preciso.

Quel messaggio suonerebbe completamente diverso se affermassi che sulla testa di ogni bambino che nasce ci sono n mila assets, cioè beni, che si chiamano strade pubbliche che egli attraverserà, che si chiamano ospedali pubblici che un giorno potrà aver bisogno di frequentare, che si chiamano scuole e università pubbliche che potrebbero un giorno aprirgli la mente.

Quelle strade, quelle scuole, quegli ospedali, sono la ricchezza di un Paese; esattamente come non ha nessun senso esaminare un bilancio guardando solo il passivo, e non l’attivo.

Ma, ancora di più, quelle scuole, quegli ospedali e quelle strade sono il motivo stesso per il quale un Paese civile ha motivo di esistere.

I bilanci si fanno in tanti modi, ma hanno sempre due colonne; negli ultimi vent’anni vi hanno sempre fatto vedere solo una metà, per motivi che spiegherò in seguito.

In questo, e in altri articoli – se a qualcuno interesserà – farò vedere l’altra metà.

Perché un bambino, quando cresce, ha diritto di sapere che in un Paese normale il debitore e il creditore sono la stessa testa.

Ecco l’equivoco vero sul debito pubblico, che bisogna non fare capire alla gente. Altrimenti, se capisse, la domanda sarebbe: ma dato che il debito non è fatto per essere rimborsato, allora a chi paghiamo oggi gli interessi?

A noi – come era in un mondo normale – o a una testa diversa?


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