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Il Grande Bluff tedesco: Comuni in bancarotta, welfare al collasso e la “Cura Merz” che affossa gli enti locali
La Germania affronta un crac silenzioso: quasi tutti i comuni sono in bancarotta. Tra costi del welfare esplosivi, crisi migratoria e la politica di austerità di Merz che scarica i problemi sugli enti locali, il modello tedesco è al collasso. Ecco i numeri del disastro che Berlino non dice.

La Germania non è più la locomotiva d’Europa, ma rischia di diventarne il vagone deragliato. Mentre a Berlino si discute di massimi sistemi e il Cancelliere Friedrich Merz predica rigore e disciplina di bilancio, alla base della piramide amministrativa si sta consumando un dramma finanziario senza precedenti. Le città tedesche, ossatura del sistema produttivo e sociale del Paese, sono tecnicamente fallite.
Non si tratta di allarmismo, ma di aritmetica. E come sappiamo, la matematica è l’unica materia che non si piega alla retorica politica.
La Caporetto della Renania Settentrionale-Vestfalia
Partiamo dai dati, nudi e crudi, che arrivano dal cuore industriale della Germania: la Renania Settentrionale-Vestfalia. In questo Land, che dovrebbe essere il motore pulsante dell’economia, la situazione è desolante. Su 396 città e comuni, quanti riescono a presentare un bilancio in pareggio? Appena dieci.
Avete letto bene. Meno del 3% delle amministrazioni locali riesce a chiudere i conti senza andare in rosso. Thomas Kufen, sindaco di Essen (CDU) e membro dell’esecutivo federale del partito, ha lanciato un grido d’allarme che assomiglia più a un de profundis: “Quasi tutte le città tedesche sono ormai sull’orlo della bancarotta”.
Il deficit complessivo delle città tedesche per il 2025 è previsto a 30 miliardi di euro, in netto peggioramento rispetto ai 24 miliardi dell’anno precedente. Una voragine che si allarga mentre il PIL ristagna e le entrate fiscali, in particolare la Gewerbesteuer (l’imposta sulle attività produttive), crollano a causa della deindustrializzazione. Il bilancio dello Stato federale viene costruito sulle macerie delle amministrazioni locali.
La forbice mortale: Meno Entrate, Spese Esplosive
La crisi non è dovuta a una gestione allegra di sindaci spendaccioni, ma a una tempesta perfetta scatenata da decisioni prese a livello federale e scaricate, con una certa nonchalance, sulle spalle dei governi locali. È il classico gioco dello scaricabarile, in cui l’ultimo anello della catena – quello più vicino ai cittadini – si ritrova con il cerino in mano.
Le cause del disastro si possono riassumere in tre voci macroscopiche che stanno drenando le casse comunali:
- Il costo dell’immigrazione e dell’integrazione: Contrariamente alla narrazione che vedeva nell’immigrazione la soluzione alla crisi demografica e pensionistica, i costi immediati si stanno rivelando un macigno. Solo per alloggio, integrazione e sussidi, il conto nazionale è di almeno 50 miliardi di euro l’anno. Questi cadono sulle amministrazioni lcoali.
- L’aumento dei costi del personale: Gli adeguamenti salariali nel settore pubblico, necessari per contrastare l’inflazione, hanno fatto esplodere la spesa corrente. Anche in questo caso le decisioni contrattuali sono state prese a Berlino, e solo subite dai comuni.
- L’inflazione sui costi operativi: Dall’energia alle costruzioni, ogni servizio costa decisamente di più rispetto a due anni fa.
Il caso Essen: uno specchio della Germania
Prendiamo Essen, città di quasi 600.000 abitanti. Il piano era un bilancio in pareggio per il 2025. La realtà? Un deficit di 123 milioni di euro. Il sindaco Kufen è stato costretto a imporre una “gestione restrittiva del bilancio”. In pratica, il Comune paga solo ciò che è legalmente obbligato a pagare (stipendi e assistenza sociale). Per qualsiasi altra spesa superiore ai 5.000 euro, serve un permesso speciale del tesoriere. Tutto quello che non è strettamente necessario è tagliato, ma questo significa che l’amministrazione comunale perde di significato, senza autonomia finanziaria.
Siamo all’amministrazione controllata di fatto.
E qui entra in gioco il paradosso del welfare. Le statistiche ufficiali di Essen mostrano una realtà che la politica federale fatica ad ammettere pubblicamente per non turbare gli equilibri del “politicamente corretto”, ma che i bilanci registrano impietosamente:
- Nelle scuole primarie, il 24,5% degli studenti è classificato come “non tedesco”. Se si include chi ha un background migratorio, si sale al 35%.
- Questi studenti necessitano di corsi di integrazione e supporto extra, aumentando il costo pro-capite dell’istruzione.
- A livello nazionale, circa il 63% di tutti i beneficiari di sussidi di welfare sono stranieri o con background straniero.
Questi non sono giudizi morali, sono voci di costo. E quando le entrate calano perché l’industria rallenta, queste voci di costo diventano insostenibili. Il comune può solo rivolgersi allo stato federale.
Merz e il Governo federale: “Arrangiatevi”
E qual è la risposta del governo centrale, ora guidato da Friedrich Merz? Una politica che potremmo definire di “austerità selettiva”. Mentre si predica il rigore, si lasciano i comuni a boccheggiare. Il pacchetto di aiuti federali per Essen ammonta a 335 milioni di euro spalmati su 12 anni. Facendo due conti: 28 milioni l’anno. Come ha sottolineato ironicamente il sindaco Kufen: “Con quei soldi, se siamo fortunati, ci costruiamo due scuole e mezzo”.
Il problema è strutturale. Merz e il governo federale mantengono una linea dura sul bilancio statale, scaricando gli oneri sociali sulle municipalità senza fornire le risorse adeguate per coprirli. È la classica strategia neoliberista miope: il bilancio centrale sembra sano, investe pesantemente in armamento, ma il sistema crolla dalle fondamenta.
Se i comuni non possono investire, non possono manutenere le strade, non possono garantire asili nido o illuminazione pubblica, l’economia locale si deprime ulteriormente. È un circolo vizioso recessivo da manuale, che nessun economista serio esiterebbe a condannare.
Le Conseguenze Sociali: Quando lo Stato sparisce
Il sindaco Kufen ha toccato un punto nevralgico: “Se non riesco a garantire un posto all’asilo o se i lampioni non si accendono la sera, i cittadini che pagano le tasse hanno l’impressione che la politica non stia facendo il suo lavoro. E questo è pericoloso per la democrazia”.
Quando lo Stato si ritira dai servizi essenziali per mancanza di fondi, il patto sociale si rompe. A Essen, non soffre solo il comune, ma anche i cittadini. Il numero di persone “sovra-indebitate” (che non possono ripagare i propri debiti) ha raggiunto i 5,7 milioni a livello nazionale, un trend in crescita per la prima volta in sei anni. Affitti alle stelle, prezzi dell’energia e dei generi alimentari stanno erodendo il ceto medio, e quando cade il ceto medio, cade la società.
Un modello da ripensare
La Germania si trova di fronte a un bivio. Continuare con la politica del “Schwarze Null” (il pareggio di bilancio feticcio) a livello federale mentre le città muoiono, oppure accettare che il modello economico basato su export, bassi investimenti pubblici e welfare generoso finanziato dalla crescita perpetua è finito.
L’attuale politica di scaricare i costi del welfare e dell’accoglienza sui comuni, senza un adeguato trasferimento fiscale, non è solo ingiusta: è economicamente suicida. Se falliscono le città, fallisce la Germania. E se fallisce la Germania, per l’Europa sono guai seri. Ma forse, a Berlino, qualcuno pensa ancora che basti far quadrare i conti del Bund per salvare la faccia.
Domande e risposte
D: Il deficit delle città tedesche è causato solo dall’incapacità amministrativa locale? R: No, si tratta di un problema strutturale e non gestionale. Le entrate dei comuni (legate all’andamento economico locale) stanno calando a causa della recessione, mentre le spese obbligatorie imposte dal governo federale (sussidi sociali, integrazione, adeguamenti salariali) sono esplose. I comuni non hanno leva fiscale sufficiente per coprire questo divario creato a livello centrale (“forbice” tra entrate e uscite).
D: Quanto incide realmente l’immigrazione sui bilanci locali tedeschi? R: L’incidenza è molto significativa. Oltre ai costi diretti per l’alloggio, che gravano sui comuni, ci sono i costi indiretti per l’istruzione e il welfare. Con una spesa nazionale stimata di 50 miliardi annui e una percentuale molto alta di beneficiari di sussidi tra la popolazione straniera (63%), i comuni si trovano a dover erogare servizi costosi senza ricevere trasferimenti adeguati dal governo federale per coprirli.
D: Quali sono i rischi politici di questa crisi finanziaria dei comuni? R: Il rischio principale è la delegittimazione delle istituzioni democratiche. Se il comune, l’ente più vicino al cittadino, non riesce a garantire servizi base come illuminazione, scuole e sicurezza, il contribuente percepisce lo Stato come fallimentare. Questo alimenta la sfiducia nella politica tradizionale e favorisce la crescita di partiti di protesta o estremi, creando instabilità sociale in un momento economico già fragile.









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