Attualità
Il Governo francese mette la “fiducia” sulla “loi travail”. La Francia si ribella, ma i nostri media tacciono
Quello che sta accadendo in Francia è tanto importante e decisivo, quanto ignorato o minimizzato dai nostri media.
Il Governo francese, constatata l’impossibilità di far approvare dal Parlamento la famigerata “Loi Travail” (l’equivalente del nostro Jobs Act) incagliata già ai primi due articoli in discussione e sommersa da emendamenti, ha deciso di ricorrere all’art. 49 comma 3 della Costituzione, il quale permette che una legge venga promulgata, senza necessità del voto del Parlamento, sotto la responsabilità del Governo, con la possibilità delle opposizioni di presentare una “censura” a tale operato (una specie di mozione di sfiducia) che dovrà essere votata prima dell’emanazione del provvedimento legislativo.
Questo procedimento, che diversamente dalla nostra “fiducia” è stato utilizzato generalmente con moderazione dai Governi (dal 1958 al 2004 solo 78 volte), anche se in alcuni casi più massicciamente (dal 1988 al 1993 i Governi Rocard, Bresson e Bérégovoy lo usarono ben 39 volte) è stato già utilizzato da Hollande-Vals per far passare la Legge Macron sulle liberalizzazioni. La volontà di forzare la mano attraverso il 49-3 per un provvedimento che sta incendiando il Paese, con continue manifestazioni di protesta e scontri anche duri con le forze dell’ordine (di cui in Italia giunge appena l’eco) e che non trova d’accordo neppure parte della stessa maggioranza, ha scatenato le proteste di tutte le opposizioni e spaccato il Partito Socialista.
La mozione di sfiducia è stata immediatamente presentata dalle opposizioni e verrà votata oggi. Il Front de Gauche e parte dei Verdi sembra stiano preparando anche loro una mozione, cercando di coinvolgere le frange dei socialisti che si oppongono alla legge ed all’utilizzo del 49-3. Intanto nel Paese in varie zone ed anche a Parigi ci sono state manifestazioni di protesta contro la legge e la polizia ha reagito duramente, caricando i manifestanti.
A parte Il Manifesto, che sta dando conto degli sviluppi della questione, nessun giornale nazionale, nessuna televisione ha dato la notizia della forzatura del Governo e delle conseguenti proteste, dentro e fuori dal Parlamento. Il Sole24Ore ha fatto un articolo a favore della legge dove prende in giro la ignavia dei politici, a cui “sono bastate” – come nota ironicamente il giornalista – “le minacce sindacali, qualche migliaio di ragazzi in piazza, la fronda di alcune decine di deputati della sinistra socialista e il movimentismo di “quelli della Nuit Debout” a far cambiare strada al Governo” ed arriva a lodare la serietà dell’Italia che ha approvato il Jobs Act.
Le ragioni per opporsi alla “Loi Travail” ci sono e sono le stesse del provvedimento renziano, se non più gravi: la legge francese infatti rende più facile licenziare i dipendenti per ragioni economiche, allunga gli orari di lavoro e diminuisce il valore degli straordinari, ma soprattutto permette alle aziende, quando ci siano ragioni di opportunità, per favorire la penetrazione in nuovi mercati o lo sviluppo di nuovi prodotti, di fissare salari più bassi ed orari di lavoro più lunghi per i lavoratori già assunti e chi non accetta può essere cacciato legittimamente.
Questo netto peggioramento delle condizioni di lavoro in Francia è stato vissuto giustamente come un grave arretramento nella tutela del lavoro e neppure il solito mantra delle riforme richieste da Bruxelles ha impedito che la popolazione manifestasse duramente la propria opposizione, Neppure i tentativi di ammorbidire alcuni aspetti, come il prevalere degli accordi collettivi su quelli aziendali peggiorativi, ha prodotto effetto; anzi l’unico risultato è stato quello di far storcere il naso anche al MEDEF (la Confindustria francese), che ha visto depotenziato l’effetto di flessibilizzazione del lavoro della legge, diventata quindi ai loro occhi molto meno utile.
Di tutto questo dibattito, di tutte le proteste, di tutte le posizioni anche dure dell’opposizione, ma anche di esponenti della maggioranza, della rivolta per l’uso dello strumento della promulgazione senza voto, salvo sfiducia, nulla trapela dai nostri mezzi di informazione. Nell’ultima classifica stilata da Reporter senza frontiere l’Italia è crollata al 77° posto nel mondo per libertà di informazione, preceduta da Paesi come Tonga, Burkina Faso e Botswana. La spiegazione che viene data usualmente è la pressione sui giornalisti e le intimidazioni delle mafie ed i procedimenti giudiziari contro i giornalisti che si sono occupati dei c.d. Vatican Leaks: non sarà che siamo un paese “parzialmente libero” perché molti giornalisti sono dei meri portavoce del Governo, strumenti di propaganda o più semplicemente servi del potere?
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