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Il Giappone vuole tornare Leader: Grande Alleanza Stato- Privati per sfidare il dominio cantieristico Cino-Coreano
Armatori e cantieri uniscono le forze con lo Stato: addio navi “su misura”, si punta sulla standardizzazione e sui nuovi carburanti per battere Pechino e Seoul.

Dopo aver guardato per decenni i propri cantieri navali svuotarsi a favore dei vicini asiatici, il Giappone ha deciso di svegliarsi. I grandi colossi del trasporto marittimo nipponico hanno deciso di unire le forze con i costruttori navali per sviluppare una nuova generazione di navi. L’obiettivo? Recuperare terreno in un settore dove la Cina e la Corea del Sud hanno ormai cannibalizzato il mercato.
La notizia, riportata dal Nikkei, segna una svolta nella politica industriale di Tokyo: si torna a fare “sistema paese”.
L’Alleanza MILES: Se non puoi batterli, unisciti (tra di voi)
Tre giganti dello shipping giapponese — Nippon Yusen Kaisha (NYK), Mitsui O.S.K. Lines e Kawasaki Kisen Kaisha — investiranno pesantemente in MILES (Marine-design Initiative for Leading Edge Solution).
Di cosa si tratta? MILES è una joint venture di progettazione navale nata nel 2013 tra Mitsubishi Heavy Industries (51%) e Imabari Shipbuilding (49%). L’ingresso dei tre armatori nel capitale segna un momento storico: è la prima volta che chi usa le navi e chi le costruisce in Giappone mette insieme i capitali in modo così strutturale. L’obiettivo è arrivare a quote paritarie, creando un vero e proprio consorzio nazionale.
Standardizzazione: La lezione cinese
Perché il Giappone, che negli anni ’70 e ’80 deteneva il 50% del mercato mondiale, è crollato al 10% nel 2024? Semplice: inefficienza.
Mentre i cantieri giapponesi continuavano a costruire navi “su misura” (tailor-made) per ogni cliente, rendendo i processi lenti e costosi, la Cina ha centralizzato il design (tramite il Shanghai Merchant Ship Design and Research Institute di stato), standardizzando la produzione e abbattendo i costi.
L’investimento in MILES serve proprio a questo:
Creare una base comune per la progettazione navale in Giappone.
Standardizzare i modelli per aumentare l’efficienza produttiva.
Vendere questi progetti standardizzati ad altri cantieri domestici.
Il futuro è “Green” (e sovvenzionato)
La tecnologia sarà il campo di battaglia. MILES non si limiterà a disegnare scafi classici, ma punterà su navi commerciali alimentate da combustibili alternativi a basse emissioni e vettori per la cattura della CO2.
Ecco le priorità tecnologiche:
Combustibili alternativi: GNL, metanolo e ammoniaca.
Trasporto CO2: Navi specializzate per il trasporto di anidride carbonica liquefatta (CCS).
Su quest’ultimo punto, si è già formata una “squadra dei sette” che include i tre armatori, Imabari, Mitsubishi Shipbuilding, Japan Marine United (JMU) e Nihon Shipyard. Bisogna dire che queste tecnologie saranno comunque utili sia per ridurre il consumo di carburante, sia per studiare soluzioni atte, in generale, al trasporto di gas liquefatto a basse temperature.
Il ritorno dell’intervento di Stato
Non poteva mancare la “mano visibile” dello Stato. Il governo giapponese, comprendendo che il mercato da solo non basta contro il capitalismo di stato cinese, ha inserito gli scafi delle navi tra i materiali critici nell’ambito dell’ Economic Security Promotion Act.
Il pacchetto di stimolo economico annunciato il 21 novembre prevede:
Un fondo pubblico-privato di 1.000 miliardi di yen (circa 6,4 miliardi di dollari) su 10 anni.
L’obiettivo di raddoppiare il volume della cantieristica entro il 2035 rispetto al 2024.
Takaya Soga, presidente di Nippon Yusen, ha confermato che la compagnia darà priorità ai cantieri domestici, specialmente per le navi CO2 e per le nuove gasiere GNL, invertendo la rotta che li vedeva ordinare quasi tutto in Corea e Cina.
In un mondo che si riframmenta, con l’amministrazione Trump che punta a rivitalizzare la manifattura americana, il Giappone capisce che la cantieristica non è solo business, ma sicurezza nazionale. Meglio tardi che mai. L’Europa invece fa molta difficoltà a sganciarsi dai propri vincoli burocratici e a sviluppare iniziative simili in grado di rilanciare le economie nazionali.
Domande e risposte
Perché le compagnie giapponesi stanno investendo nei cantieri navali proprio ora? La mossa nasce dalla necessità di recuperare competitività globale. Il Giappone è passato dal dominare il 50% del mercato navale negli anni ’80 a possederne solo il 10% oggi, schiacciato dalla concorrenza di Cina e Corea del Sud. L’alleanza tra armatori (come NYK) e costruttori (come Mitsubishi e Imabari) mira a standardizzare i design, ridurre i costi e sviluppare tecnologie avanzate (come navi a basse emissioni) per non dipendere totalmente dai cantieri esteri.
Qual è il ruolo del governo giapponese in questa iniziativa? Il ruolo dello Stato è centrale e segue una logica di politica industriale attiva. Il governo ha designato gli scafi delle navi come “materiali critici” per la sicurezza economica nazionale. Ha lanciato un piano di stimolo che prevede un fondo pubblico-privato da circa 1.000 miliardi di yen (6,4 miliardi di dollari) in dieci anni. L’obiettivo governativo è raddoppiare il volume della cantieristica giapponese entro il 2035, fornendo il capitale necessario per modernizzare gli impianti.
Cosa cambierà nella costruzione delle navi rispetto al passato? Il cambiamento principale riguarda la filosofia costruttiva: si passa dal “su misura” alla “standardizzazione”. Finora, le navi giapponesi erano costruite su specifiche uniche per ogni cliente, processo inefficiente e costoso. Il nuovo approccio, ispirato al modello vincente cinese, punta a creare design comuni e replicabili (specialmente per navi a GNL, ammoniaca e trasporto CO2). Questo permetterà economie di scala, maggiore velocità di produzione e prezzi più competitivi sul mercato globale.








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