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Analisi e studi

Il futuro è nel punto di equilibrio tra Sovranismo e Liberalismo (di P. Becchi e G. Palma)

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Le contrapposizioni ideologiche degli ultimi centocinquant’anni hanno visto da un lato il liberalismo e dall’altro il socialismo, quest’ultimo quale barriera alle storture del capitale. L’impianto liberale dell’Europa dell’Ottocento trovava alcuni limiti – a partire dalla seconda metà del secolo – nella dottrina comunista di Marx. Così fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, che produsse la nascita dei soviet in Russia (quindi l’avvento del comunismo) e la fine di quel mondo in cui lo Stato fungeva solo da “guardiano notturno“. La “vittoria mutilata” dell’Italia e le condizioni capestro imposte a Versailles nel 1919 dai vincitori alla Germania sconfitta, creeranno – quale conseguenza – il fascismo italiano e il nazismo tedesco. Nuove ideologie rispetto al liberalismo e al socialismo. La fine della Seconda Guerra Mondiale riporterà gli equilibri verso gli antichi schemi, ma con una differenza fondamentale: attraverso la cosiddetta dottrina keynesiana si trovò un punto di equilibrio accettabile tra capitale e lavoro. Da un lato il mondo liberaldemocratico su basi keynesiane –  che garantiva benessere collettivo, sviluppo del capitale e contestualmente tutela del lavoro e dei diritti sociali -, dall’altro quello comunista che faceva capo alla Russia e che col passare dei decenni si rivelerà fallimentare.

La caduta del muro di Berlino (1989) riporterà l’Europa nell’alveo di un neo-liberalismo sfrenato, il superamento dell’impianto keynesiano e la scomparsa dello spauracchio comunista. Saranno proprio gli ex comunisti e gli ex socialisti a consegnare l’Europa alla nuova ideologia neo-liberale. Lavoro completato con l’introduzione della moneta unica europea, un accordo di cambi fissi che impone agli Stati che vi hanno aderito di scaricare il peso della competitività sul lavoro, quindi sui salari e sui diritti sociali. Una camicia di forza, accompagnata da soffocanti vincoli di bilancio, che ha spazzato via la dottrina keynesiana e le conquiste sociali ottenute dai lavoratori dalla fine dell’Ottocento in avanti.
Se nell’era della fluttuazione del cambio conveniva investire il capitale nelle attività produttive, nell’era dei cambi fissi e dei vincoli di bilancio conviene mantenere il capitale sui mercati. A chi convenga mantenere questa costruzione è facile da comprendere.

Dopo quasi trent’anni da Maastricht e venti dalla moneta unica, la storia ha iniziato il giro di boa. I democratici americani e i laburisti inglesi degli Anni Novanta pensavano che la globalizzazione non si sarebbe mai fermata, e invece si sbagliavano. La storia, come Giambattista Vico ci insegna, si ferma e torna indietro. Sono i cosiddetti corsi e ricorsi storici.

La crisi economica del 2008, la più devastante dopo quella del 1929, ha massacrato i lavoratori e la classe media americana ed europea. La risposta popolare è stata la Brexit votata dagli inglesi e l’elezione di Trump negli Usa, entrambe nel 2016. Anche se, a dire il vero, Usa e Gran Bretagna – a differenza dell’Unione europea – avevano ben reagito alla crisi rispolverando le politiche economiche keynesiane.
La Ue, e principalmente l’eurozona, continua invece a commettere ancora oggi gli stessi errori: rigore di bilancio, consolidamento fiscale e nessuna politica economica espansiva. Il contrario di ciò che hanno fatto gli angloamericani. Non è un caso, infatti, che in tutta Europa abbiano preso piede partiti e movimenti sovranisti e populisti, fermati solo da una propaganda di regime violenta a difesa dei dogmi del neoliberalismo e dell’europeismo acritico. Le elezioni europee del 2019 hanno infatti messo in ginocchio i due vecchi partiti di sistema (Ppe e Pse), che per impedire ai sovranisti di sedere nella commissione europea si sono alleati con i liberali e coi verdi. Un’accozzaglia elitaria tenuta in piedi soltanto dal tentativo di bloccare l’avanzata sovranista. Miopia politica che ha solo creato una diga di paglia contro un’onda di malcontento popolare sempre maggiore.

La vecchia contrapposizione tra liberaldemocrazia e socialdemocrazia che ha retto gli equilibri europei degli ultimi trent’anni, e che ormai sono praticamente la stessa cosa, è al capolinea.
Non è un caso infatti se in Francia un Presidente come Macron, espressione del neoliberalismo più sfrenato e dell’europeismo cieco, sia da quasi due anni assediato da un intero popolo in rivolta. Una sorta di Ancien Regime ad un passo dal collasso.

Ma la soluzione per questa Europa agonizzante arriva proprio dagli Usa e dal Regno Unito: una nuova sintesi, inedita, tra un liberalismo “liberato” dall’ideologia del libero mercato e il sovranismo. Le politiche economiche di Donald Trump (drastica riduzione delle tasse, dazi e aumento dei salari per la classe media) hanno portato la disoccupazione statunitense ai minimi storici dal dopoguerra ma, allo stesso tempo, i mercati non hanno subito alcun contraccolpo, anzi, continuano a prosperare come non succedeva da decenni. Stesso discorso in Gran Bretagna, dove il popolo, dopo aver votato per l’uscita del Regno Unito dalla UE, con elezioni democratiche ha consegnato il Paese proprio al più accanito dei sostenitori della Brexit, il conservatore Boris Johnson, che ha già annunciato misure economiche trumpiane, con la borsa in volata. Ciò che accade in Usa e in Gran Bretagna, quantomeno nell’ultimo secolo, è ciò che poi accade in Europa. Insomma, socialdemocrazia e liberaldemocrazia – ormai identiche – verranno sconfitte da un nuovo equilibrio tra sovranismo e liberalismo. Questo è il realistico futuro, ma resta aperta la “questione sociale”.

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

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(Ladri di democrazia. La crisi di governo più pazza del mondo, di Paolo Becchi e Giuseppe Palma, Giubilei Regnani editore: http://www.giubileiregnani.com/libri/ladri-di-democrazia/)


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