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Il DNA dei Virus è stato inglobato nelle cellule e ne ha guidato l’evoluzione

Il DNA dei virus, depotenziato e incluso in quello cellulare, può essere stato uno dei motori dell’evoluzione biologica

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Gli scienziati hanno trovato i resti di genomi lasciati da antichi e giganteschi virus all’interno del DNA di un organismo unicellulare che ha un antenato comune anche con l’uomo

La scoperta suggerisce che i virus potrebbero aver svolto un ruolo più importante nella nostra evoluzione di quanto si pensi, contribuendo con geni che potrebbero aver dato a cellule come l’antenato dell’eucariota simbiotico Amoebidium un vantaggio nella sopravvivenza. L’articolo di riferimento è stato pubblicato su Science Advances.

Questa nuova ricerca proviene da un team guidato dal biologo evoluzionista della Queen Mary University di Londra, Alex de Mendoza Soler.

“È come trovare dei cavalli di Troia nascosti nel DNA dell’Amoebidium”, spiega. “Queste inserzioni virali sono potenzialmente dannose, ma l’Amoebidium sembra tenerle sotto controllo silenziandole chimicamente”. Qui mostriamo come un eucariote unicellulare strettamente imparentato con gli animali subisca un processo ricorrente di mescolamento del proprio genoma con quello dei suoi giganteschi predatori virali“, scrivono gli autori.

Amoebidium appalachense colorato con falloidina per rivelare la F-actina (verde) e Hoescht per rivelare il DNA (blu). (Sarre et al., Science Advances, 2024)

Attacchi così massicci all’impronta stessa dell’io dovrebbero avere un esito letale per l’Amoebidium, ma i microbi sembrano aver trovato un modo per far fronte al silenziamento di questi geni estranei modificando una delle quattro lettere dell’alfabeto del DNA con un meccanismo chiamato 5-metilcitosina (5mC).

La base citosina, o “C”, viene modificata da un enzima chiamato DNMT1, presente in tutti gli organismi multicellulari. I ricercatori volevano trovare le radici pre-animali dell’enzima e sono arrivati a un protista chiamato Amoebidium appalachense, che è stato scoperto per la prima volta nascosto negli esoscheletri degli insetti d’acqua dolce.

Hanno scoperto che questi organismi unicellulari non solo producono il DNMT1, ma lo hanno usato per mantenere una quantità sorprendente di materiale genetico di virus giganti che sono stati persi nella storia.

“Questi risultati mettono in discussione la nostra comprensione del rapporto tra i virus e i loro ospiti”, afferma de Mendoza Soler.

Il complesso rapporto fra virus ed esseri viventi

Mentre i virus sono tradizionalmente visti come invasori, lo studio del suo team suggerisce una storia più complessa.

I ricercatori propongono che questo meccanismo di coping permetta ai microbi non solo di sopravvivere all’afflusso di DNA virale gigante, ma anche di incorporarlo nella loro linea. Dopo di che il DNA incorporato, comunque, assume una sua funzione.

Per verificare se questo fenomeno possa essere più diffuso, hanno confrontato i genomi di una serie di Amoebidia isolati. Hanno riscontrato un alto livello di diversità nel materiale virale, suggerendo che il processo è continuo e dinamico.

“Le inserzioni virali potrebbero aver svolto un ruolo nell’evoluzione degli organismi complessi, fornendo loro nuovi geni. E questo è possibile grazie all’addomesticamento chimico del DNA di questi intrusi”, afferma de Mendoza Soler.

Poiché l’A. appalachense è un parente degli animali, queste scoperte potrebbero aiutarci a comprendere meglio un fenomeno simile che avviene all’interno del nostro corpo.

Anche gli esseri umani e altri mammiferi hanno resti di antichi virus intrecciati nel loro DNA. Chiamati retrovirus endogeni, si ritiene che siano gli avanzi di virus che non sono riusciti a ucciderci.

Un tempo si riteneva che non fossero altro che trofei inattivi di un’invasione fallita, si pensa sempre più che molti di essi possano aver apportato qualche beneficio per essere ancora conservati nel nostro DNA. C’è ancora molto da comprendere sul funzionamento del nostro DNA e sulla sua evoluzione.


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