Crisi
IL CENTESIMO ESPERIMENTO
Un pensionato aveva l’abitudine, come Immanuel Kant, di fare ogni giorno la stessa passeggiata esattamente alla stessa ora. Gli capitava di passare dinanzi alla bottega del sarto, suo buon amico, e ogni volta lo salutava: “Buongiorno, come va?” “Bene”, rispondeva l’altro. “Che ore sono? chiedeva ancora il pensionato, e il sarto: “Le nove”. Finché un giorno, ottenendo la solita risposta, il passante esclamò: “Ma non si è stancato di rispondere sempre le nove?” E il sarto rise: “Guardi che non sono io che do sempre la stessa risposta, è lei che passa sempre alla stessa ora”.
Ad un livello più alto, Einstein diceva che, ripetendo cento volte l’identico esperimento, è stupido aspettarsi un risultato diverso.
Ogni giorno constatiamo che siamo immersi fino al collo nella stessa crisi, ogni giorno vediamo che i rimedi proposti sono sempre gli stessi, ogni giorno osserviamo che non funzionano: e proprio per questo siamo in diritto di rigettare l’accusa di essere monotoni e ripetitivi. È chiaro che non si sta facendo nulla di serio per uscire dalla crisi.
In vista delle discussioni che riguarderanno la famosa “legge di stabilità” – tradizionale tormentone di fine anno – su uno dei massimi giornali nazionali un illustre giornalista economico reputa necessarie “meno imposte e meno spese pubbliche, a parità di prestazioni pubbliche”. Aureo suggerimento. Basta applicarlo e saranno felici i cittadini, che pagheranno di meno non perdendo nessun vantaggio; sarà felice lo Stato, che non vedrà aumentare il suo debito pubblico; sarà felice Bruxelles, che addirittura, a mo’ di applausi, ci permetterà magari di sforare di qualche decimale il famoso deficit del 3%.
I nostri governanti ad una così brillante soluzione non hanno certo pensato. Dovrebbero dunque essere molto grati a chi, disponendo di una mente superiore, è riuscito a concepire un simile piano. Gli rimane soltanto il compito di trovare un qualunque ragioniere capace di organizzare i conti dello Stato in modo da ottenere quel risultato.
L’ironia cessa presto d’essere divertente, quando è fatta sulla nostra pelle. Lo sappiamo benissimo che “meno imposte e meno spese pubbliche, a parità di prestazioni pubbliche” ci renderebbe più contenti di vivere in questo disastrato Paese. Il fatto è che l’impresa presenta la difficoltà illustrata dal noto detto inglese: “You can’t have your cake and eat it too”, non puoi mangiare la torta e alla fine ritrovartela tutt’intera.
Agli italiani bisognerebbe avere il coraggio di dire la verità: o vi tenete questa tassazione assassina, e forse non perderete i servizi, oppure vi rassegnate ad aspettarvi molto meno dallo Stato. Solo allora avrete qualche speranza – soltanto qualche speranza – d’avere anche meno tasse e meno imposte. Continuare a promettere l’assurdo contabile non conduce da nessuna parte.
L’alternativa non è divertente ma non lo è neppure la crisi nella quale ci dibattiamo. Il Salvatore della Patria, il giorno in cui apparisse sulla scena, dovrebbe avere il coraggio di porre le vere soluzioni efficaci, che non sono le “riforme” come le intende l’attuale governo. Matteo Renzi parla di riforma della Rai soltanto perché ha cambiato qualche alto funzionario della direzione. Sarebbe da ridere, se non pagassimo il canone.
Le riforme dovrebbero essere vere e sostanziali. Per tornare all’esempio della Rai, il governo non dovrebbe limitarsi al cambiamento del sinedrio apicale, dovrebbe puramente e semplicemente privatizzare quel carrozzone, al limite regalandolo, in modo che non pesi più sulle finanze dello Stato. I dipendenti protesterebbero, perché dovrebbero vedersela col nuovo proprietario, ma lo Stato non può rendere tutti felici. Diversamente tanto vale tornare al sogno di mantenere i servizi abbassando nel contempo la pressione fiscale.
La Sanità sarebbe riformata sul serio se si riducessero le prestazioni dello Stato al Pronto Soccorso o poco più, per il resto obbligando la popolazione ad assicurarsi contro le malattie.
Per il lavoro la soluzione sarebbe anche più semplice e – oh, meraviglia! – esprimibile senza ricorrere all’inglese: la libertà. Ma chi ne ha il coraggio, in questo campo?
Non è il caso di continuare a lavorare di fantasia. La maggior parte degli amici avrà già esclamato che questi provvedimenti sono assurdi. E allora teniamoci la crisi. Teniamoci il deficit, la borsa in bilico, un fisco assassino, il debito pubblico che continua ad aumentare e la possibilità che una bella mattina l’Italia intera ci scoppi sotto il sedere. Almeno, fino a quel momento, ci saremo tenuti lo Stato Mamma.
Gianni Pardo, [email protected]
24 agosto 2015
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