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IL “CASO ATLANTIA”: UN (LAUTO) CONTRATTO DI CONCESSIONE NON SI NEGA, LA GIUSTIZIA AL POPOLO SI’ (di Marco Minossi)

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Agosto, tempo di autostrade e di aeroporti per il “parco buoi” (quello della società italiana, non dei piccoli risparmiatori investitori in Borsa); ultimamente, tempo anche di infrastrutture prima – e di governi poi – che crollano, ad un anno di distanza l’uno dall’altro. E anche qui, i cittadini sono carne da macello, in tutti i sensi, e rispetto a ciò cui devono assistere in termini di decenza.

I protagonisti della gestione beffarda della mattanza sono sempre i tre moschettieri Conte, Salvini e Di Maio, cui l’anno scorso si affiancò “D’Artagnan” Toninelli il quale, pur da ministro delle infrastrutture neo-eletto, riuscì nella missione impossibile di accollarsi sul suo nome e sulla sua faccia l’immagine di una tragedia costruita in tutt’altri tempi e da tutt’altri figuri, in decenni di clientelismo.

Ma non è di lui che vogliamo parlare, quanto del suo compare nelle ispezioni ad alta suggestione mediatica sugli aerei di stato, il ministro dello sviluppo economico Di Maio. Cercheremo di capire, sapendo già di non riuscirci, quale capolavoro egli lascia in eredità al prossimo governo tecnico, di scopo, balneare, di garanzia, di responsabilità, del presidente, fate voi.

Contrariamente a Toninelli, che il guaio del ponte Morandi se l’è beccato in pieno, il leader del M5S si è reso parte attiva, proclamando di proprio, immediato pugno la revoca delle concessioni ad Atlantia.

Ricordate? Il presidente Conte, che è giurista, “annuicchiava” imbarazzato, probabilmente non capendo il motivo per cui una laurea in giurisprudenza è oramai richiesta in un concorso per impiegato, ma non ancora per fare il ministro.

Bene: ad un anno esatto dal crollo, Atlantia ha recuperato il corso di borsa del titolo, si è ripresa cioè anche sull‘unico terreno che l’aveva immediatamente castigata. L’ ipotesi di revoca della concessione, dal canto suo, è saltata non soltanto per il relativo contratto in cui la posizione di forza del concessionario era stata blindata dal concedente governo di allora (contro il pubblico interesse su ogni aspetto, a cominciare dalle tariffe), ma proprio perché è saltato il governo di adesso.

Ma il capolavoro del MEF va oltre: Atlantia infatti è stata nel frattempo accettata nella Newco pubblico-privata che rileverà le attività di Alitalia, ed il progetto in discussione proprio in questi giorni prevede la società controllata da Edizione, quindi dai Benetton, quale socio di maggioranza al 35% assieme a Ferrovie dello Stato. La minoranza se la spartiranno Delta Airlines ed il MEF al 15% ciascuno. Tutti gli advisor sono già al lavoro.

Qualcuno saprebbe spiegare quale può essere la potestà punitiva dello Stato, rispetto a chi è socio in affari con lui, ed è rispetto ad esso maggioritario nell’asset iper-strategico (in realtà oramai innominabile, la barzelletta dei casi aziendali) della compagnia di bandiera italiana?

Una osservazione nasce spontanea: in una possibile revoca della concessione pubblica ad Atlantia, lo Stato dovrebbe seriamente valutare la propria perdita per indennizzo; così come, in una eventuale rinuncia ai lavori della TAV, avrebbe dovuto valutare il peso (insostenibile secondo Conte, sulla base della famosa relazione “Costi-Benefici”) delle clausole penali.

Ebbene, chi scrive ne vede molti di contratti di subfornitura tra un’azienda strutturata (estera, di solito) ed un sub-contractor PMI (italiano, normalmente), e constata come siano chiari, pesanti, ed applicabili tempestivamente gli articoli contrattuali sui titoli e sugli obblighi che l’assegnatario deve avere, e come siano immediatamente esperibili i rimedi a favore del concedente in caso di inadempimento, o di colpa e dolo.

Viene da domandarsi allora: ma i contratti, per contro e nell’ interesse dello Stato Italiano verso un’azienda privata, chi li aveva studiati e redatti? Solo incapacità, o anche e soprattutto malafede(clientelismo)?

PS: Un’altra bomba ad orologeria lasciata – né funzionante né disinnescata – dal MEF è il dossier SACE. Ma sull’assicurazione pubblica dell’export torneremo in seguito.

Marco Minossi


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