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IL CASO ATAC E L’EFFICIENZA NEI TRASPORTI: PRIVATO E’ MEGLIO?

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bus Roma

Il caso ATAC (azienda trasporti di Roma), con gli scontri fra passeggeri ed autisti per i disservizi ed i rallentamenti, ha riportato in auge la proposta di privatizzare il servizio per renderlo più efficiente: ne ha parlato il sindaco Marino, prima confermando l’interessamento delle Ferrovie dello Stato ad entrare in quota, poi di un anonimo investitore cinese ad acquistare la società.

Indubbiamente l’ATAC ha avuto finora una pessima gestione da parte del Comune: basti pensare che i dirigenti (con lauto stipendio) sono circa 80, a fronte di 2 dell’omologo servizio trasporti di Milano. Non sorprende quindi che l’azienda sia in rosso, con debiti che, all’insediamento della giunta Marino, erano di circa 1,6 miliardi di euro e che essa sia il prototipo dello spreco pubblico e del clientelarismo che affligge la politica, non solo romana. Ma, al netto di tutto ciò, la privatizzazione sarebbe una soluzione efficace? Il privato gestisce meglio e con migliori risultati i servizi pubblici?

Per capirlo abbiamo l’esperienza di altri Paesi ed anche quella limitata di alcune realtà locali, come il trasporto privatizzato fiorentino. Vediamo prima l’esperienza estera.

L’Inghilterra si può considerare la culla delle privatizzazioni in Europa: essa è stata infatti il primo Paese a compiere un ciclo di privatizzazioni in tutti i servizi già nel 1979, grazie alla Thatcher, e nel 1985 vi è stata una forte spinta a privatizzare il trasporto: dal 1986 al 1988 la National Bus Company è stata parcellizzata in 72 piccole imprese, cedute ai privati. Contemporaneamente si è soppresso il diritto di esclusiva, che costituiva la norma del trasporto con autobus, tranne la zona di Londra e l’Irlanda del Nord.

Il risultato non è stato però quello atteso: da una parte la vivace competizione del mercato ha portato ad una diminuzione dei costi, ma anche dei passeggeri, una congestione su alcune linee considerate redditizie, causato dall’eccessivo numero di operatori presenti, e un invecchiamento del parco macchine; dall’altra l’impossibilità di aprire realmente ad una concorrenza di altri soggetti nuovi esterni, per la posizione preminente delle aziende ex pubbliche, ha provocato la formazione di taciti cartelli fra gli operatori, con forti aumenti generalizzati dei biglietti.

La privatizzazione fiorentina del 2012 ha avuto invece altri problemi. Nel contratto di cessione dell’ATAF infatti, mentre si specificava l’obbligo di concordare con il Comune eventuali aumenti delle tariffe e l’obbligo di servire adeguatamente anche le tratte meno trafficate e quindi antieconomiche, per garantire il diritto al trasporto di tutti i cittadini, ci si dimenticava di porre delle clausole a tutela del personale dipendente, circa 1200 lavoratori. Il risultato è stato che, pochi mesi dopo l’acquisizione da parte di una controllata delle Ferrovie dello Stato, si è provveduto a licenziare o trasferire 200 addetti senza ammortizzatori sociali e, dopo poco tempo, si è richiesto un aumento delle tariffe.

Queste dinamiche non sono casi isolati sono comuni a qualsiasi tipo di privatizzazioni: la spinta a massimizzare il profitto, per recuperare velocemente quanto speso e guadagnare, porta il privato a non compiere investimenti migliorativi, se non quelli strettamente necessari, a lucrare l’immediato aumento delle tariffe, a parità di servizio offerto, ed a ristrutturare l’azienda con licenziamenti e tagli di personale anche drastici. Sempre in Inghilterra, sia British Telecom che British Airways in tre anni hanno ridotto il personale di circa il 33%.

Come rileva la Corte dei Conti in un suo corposo report del 2010 sull’esito delle privatizzazioni, se vi sono dei miglioramenti di efficienza delle imprese privatizzate, questi spesso avvengono prima della cessione, per lo sforzo di rendere più appetibile l’asset posto in vendita, con il risultato paradossale che prima l’impresa viene sanata e poi viene ceduta al privato che doveva sanarla, il quale si trova un azienda pronta a fare utili senza alcun intervento. Altra ragione di migliori performance vengono individuate anche dalle condizioni di favore nell’esercizio del servizio che l’Ente pubblico concede al privato acquirente, sempre come stimolo all’acquisto.

Sempre secondo la relazione della Corte l’utenza non ha avuto finora alcun beneficio dalle privatizzazioni italiane, tranne che nel campo delle telecomunicazioni: come testualmente rileva

Le relazioni annuali delle Autorità Amministrative Indipendenti, peraltro, evidenziano come le privatizzazioni e l’attuale corso della presenza pubblica nei settori dell’energia e del gas non impediscano che le tariffe a carico di ampie categorie di utenti siano notevolmente più elevate di quelle richieste agli utenti degli altri paesi europei, e ciò in ragione del permanere di situazioni di monopolio di rete

Risulta quindi inesistente una delle ragioni addotte per privatizzare, ovvero aprire il mercato alla concorrenza: tranne come abbiamo detto che per le telecomunicazioni, il privato semplicemente sostituisce il pubblico nelle sue rendite di posizione, spesso come monopolista naturale, potendo così imporre tariffe che fanno aumentare notevolmente il costo del servizio per l’utente, senza avere un miglioramento dello stesso.

L’unica ragione valida e che in effetti ha portato qualche beneficio è stata quella di ridurre il debito pubblico con gli introiti delle dismissioni e così ridurre il peso degli interessi:

privatizz-debito

privatizz-interessi

I dati fino al 2004 (unici reali) sono eloquenti: le privatizzazioni hanno influito sul calo del rapporto debito/PIL ed hanno provocato un risparmio cumulato di interessi nel periodo 1992-2004 di circa 40 miliardi di euro.

Per arrivare a questo risultato l’Italia ha incassato dalle sue privatizzazioni la somma di 152 miliardi di euro, con ben 114 operazioni censite dal Barometro delle Privatizzazioni, seconda al mondo solo dietro al Giappone. Purtroppo senza un piano economico strategico e nelle condizioni di politica fiscale e monetaria a cui l’Europa costringe gli Stati il beneficio avuto non ha portato a risultati consolidati. Ed i “gioielli di famiglia” cominciano a scarseggiare…

Se quindi si vuole privatizzare l’ATAC sarà meglio prepararsi a biglietti più cari, stipendi più bassi e/o tagli di personale (che se fossero i dirigenti non sarebbe un gran danno…) in cambio forse di un’efficienza superiore, se chi acquisterà investirà in un parco macchine meno vecchio e malandato. Ma per ottenere questo ed incentivare l’acquisto il Comune molto probabilmente dovrà accollarsi buona parte del debito dell’azienda, o, come spesso è accaduto, risanare ristrutturando e licenziando prima di metterla in vendita. Il solito gioco insomma della socializzazione delle perdite per permettere la privatizzazione dei profitti: ne vale la pena?

 


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