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Il cambiamento del governo

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Cos’è il Governo del Cambiamento? Esso sarebbe – secondo la vulgata accettata non solo da chi severamente lo critica, ma anche da chi orgogliosamente lo sostiene – populista, sovranista, protezionista e ferocemente avversario delle elites europeiste, nonché ferocemente avversato dalle stesse. Forte di queste premesse, interiorizzate nel corso di un anno intero di “grandi cambiamenti”, l’altra sera cercavo di addormentarmi con un capolavoro della letteratura in mano e mi è venuto sonno. E, sonnecchiando, nella balorda irragionevolezza del dormiveglia, ho pensato al Governo del Cambiamento. E ne ho ripercorso la storia – ma che dico, l’epica addirittura! – in una specie di dramma in quattro atti. Atto primo: il Governo del Cambiamento sceglie il Ministro dell’economia; la spunta Giovanni Tria il quale (Wikipedia dixit) collabora con “Il Foglio” e con il sito Formiche.net e fa parte del comitato scientifico della Fondazione Magna Carta, un think tank il cui orientamento si ispira al liberismo conservatore. Atto secondo: si sceglie il Ministro degli Esteri e arriva Enzo Moavero Milanesi, il quale (Wikipedia dixit) è stato già giudice di primo grado presso la Corte di giustizia dell’Unione europea in Lussemburgo nonché collaboratore della Commissione europea in qualità di Direttore Generale del Bureau of European Policy Advisors, Ministro per gli Affari Europei nel governo Letta, dopo aver ricoperto il medesimo ruolo nel precedente governo Monti.
 
Atto Terzo: si vota per la Presidente della Commissione europea e viene eletta, con i voti decisivi dei 5 Stelle, Ursula Von der Leyden, ultra-europeista, figlia di un alto dirigente della Commissione europea, la quale, in una intervista alla Reuters, chiese come garanzia dei prestiti alla Grecia (destinati a ripagare i crediti delle banche tedesche e francesi), l’oro della patria ellenica e magari anche qualche azienda di stato. Atto Quarto: si individua il candidato italiano alla Commissione europea e in pole position c’è il leghista Giancarlo Giorgetti il quale così si espresse, nel 2012, nel momento dell’approvazione della legge che introduceva il pareggio di bilancio in Costituzione, riforma detestata dal novantanove per cento degli elettori leghisti: “Il risanamento e la stabilizzazione della finanza pubblica rappresentano la pre-condizione per consentire all’Italia di affrontare con successo gli scenari competitivi determinati dalla globalizzazione e di registrare tassi di crescita economica adeguati”.
 
A quel punto, mi sono riscosso dal torpore e ho proseguito la lettura del mio libro dal punto in cui ero arrivato: “«Si preparano grandi cose, zione, ed io non voglio restarmene a casa, dove, del resto, mi acchiapperebbero subito, se vi restassi. Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?». Abbracciò lo zio un po’ commosso. «Arrivederci a presto, Ritornerò col tricolore»”. L’unica differenza coi tempi attuali è che oggi vanno col tricolore e tornano con l’orripilante bandierone orostellato. Ho posato “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa sul comodino e mi sono felicemente addormentato. È consolante sapere che non siamo gli unici gonzi. Da decenni, anzi da secoli, le tecniche del cambiamento funzionano alla perfezione. E i Governi del cambiamento anche meglio.
 
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com

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