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EconomiaEnergia

Il “Cavalliere mascherato” che sta affondando il petrolio: il Brasile punta a 5 milioni di barili (mentre Lula predica il Green)

Mentre i prezzi crollano, il Brasile segna record storici di produzione grazie a Petrobras e ai giacimenti pre-sal, ignorando le quote OPEC e le promesse ambientali.

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Il mercato petrolifero sta vivendo un momento di forte pressione, con un eccesso di offerta che ha spinto i prezzi del Brent ben al di sotto dei 65 dollari al barile. Un livello che, al netto dell’inflazione, fa tremare i bilanci di molti paesi OPEC. Se gli occhi degli analisti sono spesso puntati sugli Stati Uniti o sulle manovre saudite, c’è un “elefante nella cristalleria” che si muove con passo pesante, ma sorprendentemente silenzioso: il Brasile.

Mentre il mondo discute di transizione energetica e il Presidente Lula da Silva si erge a paladino dell’ambientalismo globale, il gigante sudamericano sta inondando il mercato di greggio, contribuendo in modo decisivo al calo dei prezzi e mettendo in crisi la strategia del cartello di cui, ironicamente, è un osservatore privilegiato.

Un Boom senza precedenti: i numeri

Il Brasile non sta semplicemente aumentando la produzione; sta riscrivendo la geografia energetica globale. A ottobre, la produzione ha infranto il muro psicologico e tecnico dei 4 milioni di barili di petrolio al giorno (esattamente 4,03 milioni), segnando un incremento impressionante del 23,2% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Produzione di petrolio Brasile 2020-25 (dati si fermano ad agosto)

Per dare una dimensione a questi numeri:

  • In un solo anno, il Brasile ha aggiunto 800.000 barili al giorno al mercato.
  • Questa sola crescita equivale all’intera produzione della Guyana, la tanto celebrata “Dubai del Sud America”.
  • Il volume totale copre la domanda di tre nazioni come la Spagna.

L’Agenzia Nazionale del Petrolio (ANP) conferma che, includendo il gas naturale, la produzione equivalente ha toccato i 5,255 milioni di barili giornalieri. È il quarto record infranto quest’anno.

La tecnologia e il “Pre-Sal”

Il segreto di questo successo risiede nei giacimenti offshore situati nelle profondità dell’Atlantico, nel cosiddetto strato “pre-sal“. Non si tratta solo di quantità, ma di qualità ed efficienza. Il giacimento di Buzios, nel bacino di Santos, ha superato lo storico campo di Tupi, diventando il nuovo gioiello della corona energetica brasiliana.

Ecco una sintesi della situazione produttiva attuale:

IndicatoreDato RilevatoNote
Produzione Greggio (Ottobre)4,03 Milioni bpdRecord storico
Crescita annuale+ 23,2%Equivale all’intera produzione della Guyana
Obiettivo a medio termine5 Milioni bpdIngresso nella Top 5 mondiale
Principale GiacimentoBuziosHa superato il giacimento Tupi

Petrobras: investimenti produttivi e pareggio a 28 dollari

A guidare questa espansione è la mano statale, attraverso Petrobras. Con una mossa che piacerebbe ai teorici dell’intervento pubblico strategico, la compagnia ha annunciato un piano di investimenti monstre di 111 miliardi di dollari per il periodo 2025-2029. Di questi, ben 77 miliardi sono destinati all’esplorazione e alla produzione (Upstream).

Il dato che deve far riflettere i concorrenti (e i mercati) è il breakeven point. Petrobras vanta un prezzo di pareggio di soli 28 dollari al barile. Questo significa che, anche con un petrolio depresso a 60 o 50 dollari, il Brasile continua a stampare denaro, superando in efficienza giganti privati come ExxonMobil e Chevron.

La minaccia silenziosa all’OPEC e il paradosso di Lula

Qui si nasconde il vero nodo geopolitico. Il Brasile fa parte dell’OPEC+ (il gruppo allargato), ma vi partecipa come osservatore, non  come membro attivo vincolato alle quote rigide che strangolano, ad esempio, l’Arabia Saudita. Mentre l’OPEC cerca disperatamente di tagliare l’offerta per sostenere i prezzi, il Brasile apre i rubinetti al massimo.

C’è poi l’ironia politica: il governo di Lula da Silva, che ha ospitato la COP30 e si presenta come difensore dell’Amazzonia, sta autorizzando trivellazioni nel Margine Equatoriale, un’area ecologicamente sensibile vicina alla foce del Rio delle Amazzoni. Il pragmatismo economico vince sull’ideologia: con l’obiettivo di superare i 5 milioni di barili al giorno e scavalcare nazioni come l’Iraq o addirittura la Cina, il Brasile si sta trasformando nella peggiore minaccia per la stabilità dei prezzi desiderata dai petro-stati del Golfo. L’ “oro nero” brasiliano è leggero, a bassa intensità di carbonio estrattivo e molto richiesto dalla Cina: una combinazione letale per i concorrenti.

Domande e risposte

Perché il Brasile è considerato una minaccia per l’OPEC se ne fa tecnicamente parte?

Il Brasile è entrato nell’orbita dell’OPEC+ con uno status particolare che non lo obbliga a rispettare i severi tagli alla produzione imposti ad altri membri come l’Arabia Saudita o la Russia. Mentre il cartello cerca di ridurre l’offerta per alzare i prezzi, il Brasile agisce da free rider, aumentando la propria produzione ai massimi storici e catturando quote di mercato, vanificando di fatto gli sforzi del gruppo di sostenere le quotazioni del greggio.

Come fa Petrobras a guadagnare con il petrolio a prezzi così bassi?

Il segreto risiede nell’efficienza dei giacimenti “pre-sal” in acque profonde. Dopo i pesanti investimenti iniziali, questi pozzi sono estremamente produttivi. Petrobras ha abbattuto il suo breakeven point (il prezzo necessario per coprire i costi) a soli 28 dollari al barile. Questo livello è inferiore a quello di molte compagnie occidentali e permette all’azienda di stato di generare profitti enormi anche con il Brent sotto i 65 dollari, garantendo la sostenibilità degli investimenti futuri.

Non c’è contraddizione tra le politiche ambientali di Lula e queste trivellazioni?

Esiste una forte contraddizione, notata da molti osservatori. Sebbene Lula si presenti sulla scena internazionale come leader della lotta al cambiamento climatico e protettore dell’Amazzonia, il suo governo persegue una politica industriale pragmatica. Le entrate derivanti dal petrolio sono considerate essenziali per finanziare i programmi sociali e lo sviluppo economico. Di conseguenza, il governo sta spingendo per nuove esplorazioni anche in aree sensibili come il Margine Equatoriale, giustificandole come necessarie per la sicurezza energetica nazionale.

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