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I SEGRETI DELL’ECONOMIA ITALIANA (cosa va e cosa no)

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Come da noi sempre sostenuto, il paventato evento “crollo dell’economia italiana” in questo 2019 non si è verificato. Come mai solamente noi di Scenarieconomici eravamo certi di questo fatto? Siamo forse i migliori in questo campo? No! Certo che no, siamo solo i più obiettivi nelle analisi.

Capita, pertanto, che il mondo annunci l’approssimarsi della recessione per il paese:

che le televisioni ci organizzino talk-show esclusivi (nel senso di riservati a gente elitaria) a base dei soliti CarCarli:

che i politici non perdano l’occasione per urlare al paese il loro “nunzio vobis gaudium magnum, habemus negotium in ruinas”:

mentre quelli di Scenarieconomici vadano pubblicamenre affermando che le cose andranno bene, meno bene di altri anni, ma andranno comunque bene.

 

A tal riguardo, si consideri l’analisi che Scenarieconomici ha fatto per Qelsi, a metà gennaio 2019, nel seguente articolo:

nel quale si riportano alcuni driver di crescita per il 2019:

96 miliardi di euro in 12 anni, 8 miliardi l’anno solamente da Confindustria Energia.

Non si può dire che sia il programma di chi intende disinvestire nel paese poiché non crede in esso!

Ed ancora, gli investimenti (incrementali) di Cassa Depositi e Prestiti:

Più o meno un incremento di 15 miliardi nel solo 2019, un punto di PIL direi no?

Per non parlare poi dello sblocco delle spese per investimenti dei comuni virtuosi i quali avrebbero potenzialmente liberato 8 miliardi di euro di lavori a partire da Gennaio 2019 (somme nella disponibilità dei comuni virtuosi ma bloccati):

I Comuni da ottobre erano liberi di mettere a bilancio 2019 i valori accumulati e non spesi e, nel giro di 4-5 mesi, tradurli in cantieri, lavoro! Soldi utilizzabili solo per investimenti e non per spese correnti che, in effetti, hanno smosso e di molto l’economia nei primi mesi dell’anno.

Volendo poi ultimare l’analisi del perimetro statale/parastatale abbiamo lo sblocca-cantieri:

Provvedimento altamente necessario altrimenti i lavori pubblici rimarranno impantanati per anni nei vari uffici pubblici:

Ma veniamo ora al capitolo più importante per il paese: l’industria privata.

Nella media del 2018 la produzione industriale è cresciuta complessivamente dello 0,8% rispetto al 2017. Eppure l’andamento fu pazzerello, 7 mesi di fuoco e una brusca frenata nella seconda metà dell’anno.

La ripartenza post-ferie di settembre fu problematica, ma ottobre e novembre assestarono il vero (duro) colpo all’andamento economico dell’industria: i primi 11 mesi dell’anno videro la produzione industriale crescere dell’1,2% ma il trimestre settembre-novembre impresse una flessione dell’1%, segnale questo, per gli economisti di parte, che l’economia italiana stava rallentando e che, se associato ai cali registrati in Francia, Germania e Spagna, rendevano altamente probabile la recessione.

Venne poi il dodicesimo mese dell’anno nel quale la produzione industriale segnò un calo dello 0,8% rispetto a novembre (quarta contrazione consecutiva) e del 5,5% su base annua. L’Istat segnalò ai giornali che si trattava della diminuzione tendenziale più accentuata dal dicembre 2012.

Per l’Istat si stavano aprendo le cataratte del cielo!

Cerchiamo ora, scendendo nel dettaglio della crisi di fine 2018, di capire l’origine dei problemi. I dati Istat segnalano:

  1. la caduta della produzione industriale di autoveicoli (media annua per il 2018  -5,9%);
  2. un crollo a dicembre della produzione di beni di consumo (-7,2% su base annua);
  3. una contrazione (sempre a dicembre) nella produzione di beni intermedi (-6,4%);
  4. delle contenute diminuzioni, nello stesso mese, per l’energia (-4,4%) e per i beni strumentali (-3,5%).

Gli ultimi 4 mesi del 2018, quindi, visti gli annunci da parte degli enti mondiali dell’approssimarsi delle crisi hanno visto contrarre sia gli investimenti delle imprese, sia la produzione industriale che, sovente, porta le aziende a produrre materiale per il magazzino onde ottimizzare l’utilizzo degli impianti e minimizzare il costo di produzione. In questo fine anno, così come in quello precedente, tutte le imprese hanno però alleggerito i magazzini, ridotto a zero le scorte.

Essendo avvenuto in questo 2018 in modo più consistente e per tutti i settori, produzione industriale e Pil 2018 ne hanno risentito in modo considerevole rispetto al 2017:

Chiaramente tutto ciò fu frutto di 2 macro-eventi/attività:

  1. il provvedimento europeo legati ai motori diesel che colse impreparata la FCA (Marchionne non credeva nei modelli elettrici e preferiva investire sui biocarburanti e sui relativi motori)
  2. la contrazione del credito a famiglie e imprese (Credit Crunch annunciato da Draghi ad ottobre 2017 e che iniziò a marzo 2018):

per i nuovi modelli della FCA dobbiamo attendere fine 2019/inizio 2020, per il credito facile invece rimane solamente da appellarsi ai Santi in Paradiso!

Mancano quindi sia parte dell’offerta (FCA ha rallentato la sua produzione in Italia), sia parte della domanda, visto che il Partito delle Banche, onde fare opposizione, ha ridotto il credito alle famiglie e alle imprese:

Ovviamente quelli di Banca d’Italia si chiamano fuori da ogni responsabilità in tal senso:

ma noi sappiamo benissimo come sono andate le cose e di chi sia la colpa.

Ma torniamo all’offerta. Rispetto allo scorso anno manca all’appello il settore auto per il quale ha retto solo l’export (linea verde):

che per inciso al 33% è destinato agli Usa (contro una media manifatturiera del 14.5% e dei metalli del 7,4%):

I nostri stabilimenti oramai producono solo Alfa Romeo, Jeep e Maserati. Molti di questi beni in Italia finiscono nel NOLEGGIO DI LUNGO TERMINE. Non sono molti quelli che in Italia possono permettersi auto da 45-80.000 euro, pertanto se le Banche chiudono i cordoni della Borsa è ovvio che la domanda da parte delle società di noleggio crolli e la produzione di questi beni si azzeri. In aggiunta a ciò possiamo anche dire che tutta la produzione Diesel piazzata presso le concessionarie prima del termine di Agosto 2019 giace ancora parzialmente invenduta poiché nessuno acquista più macchine diesel vista la lotta che molte città fanno all’inquinamento e visto il peso dei provvedimenti governativi contro le grosse cilindrate;

Ecco, il provvedimento antinquinamento del governo e quello europeo relativo alle macchine elettriche, unitamente al credit crunch del sistema bancario e ai proclami degli enti internazionali dell’avvento della recessione mondiale (che hanno spinto il sistema paese a ridurre investimenti in beni strumentali, beni intermedi e in scorte) hanno contribuito (tutti insieme) a far rallentare la nostra economia.

Al termine di questa corposa disamina, lungi da noi affermare che sia tutto rose e fiori, sappiamo benissimo che con l’introduzione dell’euro solo un paio di settori sono usciti indenni dai danni da aumento del CLUP (Costo del lavoro per unità prodotta):

1) chimica (pallino col numero 20),

2) bevande (pallino col numero 11),

tutti gli altri non hanno goduto di alcun beneficio e, addirittura, mobili (Legno), editoria, petrolifero e metallurgia ne sono usciti letteralmente a pezzi.

 

Clup che, per inciso, ha ripreso a crescere a dismisura facendoci perdere ancora più competitività:

Il nostro è un paese di tante piccole e medie imprese, pochi colossi, molte realtà flessibili, amate nel mondo e stimate per le loro capacità di offrire un servizio customizzato sulle esigenze del cliente. Queste realtà sono dure a morire, anche in periodi come questo nei quali gli utili crollano (osservate la linea blu quanto sia scesa nel 2018):

Il nostro è solo un onesto raccontare (gratuito ed indipendente), alla gente di questo paese, quanto accade. Ciò fa si che riusciamo ad interpretare i dati e gli eventi meglio di tanti enti pubblici o privati che, sovente, fanno solo terrorismo mediatico o propaganda di regime.

Ma un “BRAVI”, per una volta, ce lo possiamo dire anche da soli?

Ad maiora.


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