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I riflessi sul PIL della deflazione (Pigreco & Laffer Revenge)

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“La ripresa è dentro di noi anche se noi, oggi, non ce ne accorgiamo!”

Con questa affermazione, il Prof. Monti annunciava, mesi or sono, alla nazione la crescita economica che le sue riforme avrebbero garantito in futuro.

In questo breve articolo spiegheremo cosa vi sia alla base di tale “sottile” affermazione.
I recenti innalzamenti di Iva e tasse (IMU) hanno avuto come principale effetto una frenata dell’economia nazionale e una “voluta” spirale deflazionistica: diminuzione del livello dei prezzi che nasce in conseguenza della contrazione nella spesa di consumatori e aziende.
La frenata dei consumi probabilmente non era voluta (almeno dai politici tradizionali) ed era figlia, ex ante, del fatto che aumentando l’aliquota a parità di consumi avremmo dovuto avere un incremento del gettito.
Questa cosa però non si verifica mai ex post ed il motivo è noto (già trattato nel precedente articolo dedicato ai moltiplicatori fiscali: Un sogno lungo un’ora),

Moltiplicatore della Spesa Pubblica = 1 / [1-c *h + m ]

In cui se aumento l’aliquota IVA vario il valore di “h” (mix di tasse ed aliquote fiscali italiane) di modo che il moltiplicatore della spesa pubblica riduce il suo valore comprimendo di fatto il PIL.

Ma cosa accade a livello di B2B (cioè di aziende che lavorano nella sub-fornitura per altre aziende industriali)?

Le vendite si rivolgono a Clienti disposti ad acquistarne di meno (anche perché l’accesso al credito è scarso), oppure che attendono ulteriori ribassi. Le imprese non riescono a vendere al listino ufficiale e cercano quantomeno di operare a prezzi inferiori.

I più fortunati registrano solo una compressione del saggio di profitto, recuperabile con risparmi negli acquisti da altre imprese o agendo sul costo del lavoro, la più parte delle volte, però, i costi incomprimibili portano le aziende nell’impossibilità di far fronte ai debiti contratti. Da questo punto al fallimento e all’immissione nel mercato d’un certo numero di disoccupati la strada è breve.

La deflazione, pianificata dalla UE ed attuata con manovre di riduzione del Pil (manovre recessive di tagli e tasse: Fiscal Retrenchment), servirà ad aumentare la disoccupazione nella nazione onde facilitare svalutazioni salariali competitive che riducano il gap di competitività con la Germania (la Grecia insegna!).

Recentemente, la deflazione (diminuzione della domanda aggregata) è avvenuta in Giappone, Germania e USA, determinando la scomparsa delle aziende meno efficienti. Qualcuno osservò che ad ogni deflazione si verificava una successiva sostenuta ripresa e teorizzò, pertanto, che questa dovesse essere la strada giusta per velocizzare la ripresa in un’economia stagnante.

L’agire attendista e/o opportunista dei Clienti è funzione di due dinamiche:
1.      quella psicologica del consumatore finale che continua a rinviare i propri acquisti perché impossibilitato o perché preferisce tesaurizzazione liquidità,
2.      quella dei/degli Buyer/Imprenditori che rinviano gli investimenti (macchinari e scorte di semilavorati e/o prodotti finiti) perché temono gli invenduti di magazzino o sperano di spuntare prezzi sempre più bassi.

Di seguito, riporto un recente caso, figlio delle suesposte manovre e riferito al punto 2.

L’azienda “X”, che opera in un settore Business To Business (B2B), programma un investimento, pari al 40% del fatturato, onde preservarsi il mercato dei prossimi 15 anni, ed acquisire nuova clientela. L’operazione è pianificata ad ottobre 2011 e prevista per fine 2012, momento ritenuto il più opportuno in base ai cicli operativi del settore.

Bene, la frenata dei consumi di Settembre 2012 e il clima di incertezza sul futuro hanno determinato una situazione tale da spingere l’azienda a ripensare i propri programmi d’investimento: un’inimmaginabile riduzione dei clienti “buoni” ed affidabili presenti nel mercato.

Come è possibile ciò se per le teorie ultraliberiste la deflazione fa pulizia delle sole aziende meno efficienti? Perché nei periodi di crisi, i titolari di aziende sane possono avere reazioni differenti in funzione delle diverse condizioni psicologiche, familiari, e finanziare.

Con ciò voglio sottolineare che è avvenuta la mancata previsione di “collateral” da parte di Monti: a novembre 2012 si è generato sì un incremento dei fallimenti del 15% rispetto al 2011 (Tribunale di Perugia) ma anche un analogo valore per le cancellazioni su base volontaria di aziende alle quali il Cerved delle Camere di Commercio assegnava un buon rating!

Se alla diminuzione dei clienti buoni aggiungiamo la presenza d’un elevato numero di potenziali fornitori, come in tutti i mercati, l’eroico committente ancora in attività ha un grandissimo potere contrattuale. Ecco che oggi, questi, spunta una riduzione media dei listini di circa il 25%!

D’altronde, come poteva non accadere ciò! Ho sottomano, per questioni di lavoro, i dati relativi ad una catena di supermercati a carattere interregionale (del centroitalia). Controllando i dati di un loro punto vendita ho notato una contrazione, tra luglio e novembre 2012, del 21,22%.

Accanto, dunque, agli effetti voluti del programma deflazionistico, programma che ripete esattamente l’operato del Cancelliere Bruening nella Weimar del 1929, si stanno verificando eventi imprevedibili che arrecano danni incalcolabili alla nostra economia.

Da analista, difatti, ho la matematica certezza che accanto ai numerosi fallimenti avremo l’annullamento dei residui e già ridotti margini di profitto delle aziende sane. Non sono molte le imprese italiane con una redditività delle vendite tale da assorbire una riduzione del 22% dei ricavi a parità di costi!

Un’importante e prestigioso gruppo italiano dell’arredamento, con prodotti a base di pregiatissima pelle, intorno al 2000 presentava un valore dell’indice REDDITO OPERATIVO/RICAVI (il cui acronimo è R.O.S.) pari al 15%! Si consideri che a valle del reddito operativo vi sono ancora gli oneri finanziari e le imposte statali da sottrarre prima di ottenere l’utile netto.

Ed ancora, nel periodo 1998-2005 una grande azienda di semiconduttori ebbe valori simili per un rapporto diverso, il MOL/Ricavi: min 24,6%, max 38,1%. La più importante azienda italiana di Cemento, nello stesso periodo, registrò per tale indice valori tra il 22,7 ed il 26%. Gli andamenti sono assolutamente allineati e coerenti, anche se maggiori, con il suesposto 15% perché il MOL, diventa Reddito Operativo, dopo aver tolto degli altri costi operativi.

Di fronte alla contrazione dei saggi di profitto, nell’ultimo decennio la grande azienda ha delocalizzato l’attività, da “grande mercante”, presso i paesi emergenti. Il gruppo di arredamento precedentemente citato, percependo i problemi di competitività che gli stabilimenti italiani (produzione industriale) e il mercato interno (consumi) avrebbero avuto per l’iperinflazione da euro, decise di aprire uno stabilimento in Brasile.

Bene, ma i nostri “Ciompi” del III° millennio (operai e piccoli imprenditori insorti, nella Firenze del 1378, perché ridotti alla miseria dall’oligarchia di grandi mercanti e banchieri), non potendo delocalizzare in aree a basso costo della manodopera o dalle agevolazioni fiscali, non avendo facile accesso ai mercati di sbocco internazionali, come possono garantirsi la propria sopravvivenza?

Non rimane loro che la strada della RETE SOCIALE TRA IMPRESE, una forma organizzativa in cui aziende con l’obiettivo comune della sopravvivenza, per conseguire i propri scopi, incrementano la frequenza delle interazioni/collaborazioni tra loro, in un clima di piena fiducia reciproca.

Meglio sarebbe se la rete fosse simmetrica, ovvero con attori che operino tutti in condizioni di parità. Un’unione di aziende in rete consentirà:
–         il conseguimento delle economie di scala (l’ottimizzazione del costo unitario di produzione);
–         la piena saturazione delle costose risorse tecnologiche e di quelle umane.

Le più parte delle strutture, collegate in rete, dovranno fungere da unità di raccolta degli ordinativi, le produzioni saranno realizzate in un unico service (o al più in poche unità) al fine di poter mettere a frutto gli elevati investimenti che l’adeguamento tecnologico comporta più o meno in ogni settore.

Questa è, a mio avviso, l’unica strada perseguibile per un 2014 in cui si manifesteranno, in modo ancora più violento, gli effetti delle manovre governative e della riduzione della massa monetaria in circolazione (contrazione fidi di smobilizzo crediti).

La strada sopra indicata consentirà anche a piccoli imprenditori (sottodimensionati) di ricercare ed ottenere i vantaggi della dimensione efficiente dell’impresa (economie di scala in produzione) mantenendo quelli tipici delle strutture snelle: ridotta entità dei costi incomprimibili.

Ma quali saranno gli effetti sul Pil della nazione di questa situazione a dir poco folle?

Ancora una volta viene in nostro aiuto il Moltiplicatore della Spesa Pubblica.
Abbiamo già fatto la conoscenza del parametro “h”.

Questo mix di fiscalità, tipiche dell’Italia, coinvolge anche un parametro “q” che chiamemo saggio di profittabilità:

“q” = 1 + saggio di profitto lordo delle imprese.

La formula complessiva di “h” è:

Untitled

 

 

 

 

Bene, cosa accade se a causa della deflazione sui listini le aziende vedono ridurre il loro saggio di profitto lordo da un valore ipotetico del 35% ad un valore pari ad esempio del 20%?

E’ presto detto: crollo del valore del moltiplicatore della spesa pubblica, ergo, crollo del PIL!

Ora, senza perderci in noiosi calcoli matematici, la conclusione è la seguente:

la deflazione comporta cali nei listini di anche il 20%;
cali dei listini di siffatta misura portano il valore di q intorno al 15% da un originale 35%;
tali cali di “q”, cioè della redditività lorda, dei margini lordi medi, comportano in linea di massima cali del moltiplicatore della spesa pubblica da un 1,2 attuale ad un 1,18 (faccio notare che il FMI di Blanchard stima questo valore intorno all’1,3).
Un calo del moltiplicatore di 0,02 applicato ad una spesa pubblica di 700 miliardi comporta una contrazione del Pil di un 1% (circa 15 miliardi di euro);
Una contrazione del PIL di 15 miliardi comporta risultati ex post sul gettito fiscale di – 6-6,5 miliardi di euro!

Benvenuti nel magico mondo di Pigreco, benvenuti nel mondo di Laffer!

 

Maurizio Gustinicchi
Economia 5 Stelle


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