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I droni ucraini mettono in crisi le raffinerie e le tasche dei russi. Che cosa si rischia?
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La Russia a secco? I droni ucraini mettono in crisi le raffinerie e le tasche dei russi
File interminabili ai distributori di benzina, prezzi alle stelle e l’inizio del razionamento. No, non siamo in un film post-apocalittico, ma nella Russia del 2025, dove la strategia ucraina di colpire le infrastrutture energetiche sta iniziando a mostrare i suoi effetti più tangibili, ben lontano dal fronte. Quella che si sta consumando è una delle campagne più efficaci di Kyiv dall’inizio del conflitto, condotta con droni a lungo raggio che mirano al cuore pulsante dell’economia russa: le sue raffinerie di petrolio.
Nelle ultime cinque settimane, una crisi degli approvvigionamenti si è diffusa a macchia d’olio, dall’Estremo Oriente russo fino alle porte di Mosca. Gli attacchi hanno, in certi giorni, ridotto la capacità di raffinazione russa di quasi un quinto, colpendo le esportazioni dai porti chiave e spingendo il Cremlino a prendere misure drastiche.
Una strategia mirata e dolorosa
L’offensiva aerea di Kyiv non è casuale. L’obiettivo è duplice: indebolire la capacità di Mosca di finanziare la sua macchina bellica e, al contempo, alimentare il malcontento interno. I droni hanno colpito con una precisione quasi chirurgica non solo raffinerie, ma anche depositi di petrolio, oleodotti e stazioni di pompaggio.
Un esempio emblematico è stato l’attacco al porto petrolifero di Primorsk, nella regione di Leningrado, il più grande terminale russo sul Mar Baltico e snodo cruciale per le esportazioni marittime del paese. Da agosto, sono state colpite almeno 16 delle 38 principali raffinerie russe, spesso con attacchi ripetuti per massimizzare i danni.
Le conseguenze sulla popolazione non si sono fatte attendere:
Razionamento: In diverse regioni, i cittadini possono acquistare solo da 10 a 20 litri di carburante alla volta.
Code e chiusure: Testimonianze da Mosca e dalla Crimea occupata parlano di distributori chiusi per mancanza di benzina a 92 ottani e di una situazione “critica”.
Panico: Video online mostrano la disperazione degli automobilisti, un’immagine che il Cremlino fa sempre più fatica a nascondere.
Il governo russo, per bocca del vice primo ministro Alexander Novak, ha tentato di minimizzare, parlando di “una leggera carenza” coperta dalle riserve. Tuttavia, ha dovuto ammettere che i prossimi mesi saranno “difficili”, estendendo il divieto di esportazione di benzina fino alla fine dell’anno e introducendo un bando parziale su quella di diesel.
L’effetto boomerang: un aiuto inatteso a Putin?
Sebbene questa strategia stia causando notevoli grattacapi a Mosca, gli analisti sono cauti nel definirla risolutiva. “È una grande fonte di frustrazione per Mosca,” afferma Emily Ferris, analista del think tank RUSI, “ma è improbabile che sia l’elemento che spingerà il Cremlino a trattative di pace”. La Russia, dopotutto, possiede ancora ingenti riserve finanziarie e petrolifere.
Qui si innesta un paradosso economico interessante. Se da un lato gli attacchi danneggiano la produzione e l’approvvigionamento interno russo, dall’altro contribuiscono a ridurre l’offerta globale di prodotti raffinati. Questa contrazione, unita al rischio percepito sulle esportazioni di greggio, spinge verso l’alto i prezzi internazionali del petrolio.
In pratica, ogni barile di petrolio che la Russia riesce comunque a esportare viene venduto a un prezzo più alto, compensando in parte le perdite derivanti dai volumi ridotti. Si tratta di un’arma a doppio taglio: Kyiv colpisce la capacità logistica e industriale russa, ma involontariamente potrebbe contribuire a rimpinguare le casse del Cremlino attraverso quotazioni del greggio più favorevoli. Una dinamica complessa che si inserisce in un quadro internazionale in cui anche l’amministrazione Trump ha inasprito la sua posizione, chiedendo all’Europa di cessare completamente gli acquisti di energia russa.
Come ha dichiarato lo stesso presidente Zelensky, “le sanzioni più efficaci… sono gli incendi nelle raffinerie”. Resta da vedere se il danno logistico e il malcontento interno supereranno il beneficio derivante dall’aumento dei prezzi sui mercati globali. Per ora, l’unica certezza è la lunga attesa degli automobilisti russi.
Domande e Risposte
1. Perché gli attacchi ucraini alle raffinerie sono considerati così efficaci?
Questi attacchi sono efficaci perché colpiscono direttamente la capacità della Russia di auto-sostenersi e di finanziare la guerra. A differenza delle sanzioni economiche, che possono essere aggirate, il danno fisico a un’infrastruttura critica come una raffineria ha conseguenze immediate: interrompe la produzione di carburante per uso civile e militare, crea carenze interne, alimenta l’inflazione e genera malcontento tra la popolazione. È una strategia che porta gli effetti della guerra direttamente sul territorio russo, in particolare nelle grandi città finora relativamente risparmiate.
2. Questa crisi dei carburanti può davvero costringere la Russia a negoziare la pace?
Secondo la maggior parte degli analisti, è improbabile che questa crisi, da sola, possa portare alla fine della guerra. Sebbene rappresenti un problema serio e una fonte di frustrazione per il Cremlino, la Russia dispone ancora di vaste riserve finanziarie e di greggio. L’impatto è più logistico ed economico che esistenziale. Potrebbe indebolire la posizione di Mosca e aumentare la pressione interna, ma l’obiettivo strategico di soggiogare l’Ucraina rimane prioritario per il governo russo, che sembra disposto a sopportare questi “inconvenienti” per raggiungerlo.
3. In che modo l’aumento del prezzo del petrolio, causato da questi attacchi, può paradossalmente aiutare la Russia?
È un classico effetto boomerang economico. Gli attacchi alle raffinerie e la minaccia alle esportazioni russe riducono l’offerta globale di petrolio e prodotti derivati. Secondo la legge della domanda e dell’offerta, quando l’offerta cala, i prezzi salgono. Di conseguenza, il petrolio che la Russia riesce comunque a vendere sui mercati internazionali (ad esempio a Cina e India) viene pagato di più. Questo aumento di prezzo per barile può compensare, almeno in parte, le mancate entrate dovute alla riduzione dei volumi esportati, finendo per aiutare il bilancio dello stato russo.
Link Informativi
Reuters: Ukraine drones hit major Russian oil refinery in second attack in a week (Nota: link di esempio su un evento simile, da sostituire con uno più recente al momento della pubblicazione)
Financial Times: How Ukrainian drones are setting Russian oil refineries ablaze
Bloomberg: Russia Fuel Exports Banned Through Year-End After Refinery Hits
Riassunto/Sottotitolo per Google Discover
I droni ucraini colpiscono le raffinerie russe, provocando code ai distributori e razionamenti. Una strategia che mette in difficoltà il Cremlino, ma che nasconde un inatteso effetto boomerang sui prezzi globali del petrolio.

File interminabili ai distributori di benzina, prezzi alle stelle e l’inizio del razionamento. No, non siamo in un film post-apocalittico, ma in alcune aree della Russia del 2025, dove la strategia ucraina di colpire le infrastrutture energetiche sta iniziando a mostrare i suoi effetti più tangibili, ben lontano dal fronte. Quella che si sta consumando è una delle campagne più efficaci di Kyiv dall’inizio del conflitto, condotta con droni a lungo raggio che mirano al cuore pulsante dell’economia russa: le sue raffinerie di petrolio.
Gli attacchi hanno, in certi giorni, ridotto la capacità di raffinazione russa di quasi un quinto, colpendo le esportazioni dai porti chiave e spingendo il Cremlino a prendere misure drastiche. Aumentano le esportazioni di graggio, ma data anche la dimensione della Russia, le aree normalmente servite da raffinerie danneggiate rischiano di non avere forniture.
Una strategia mirata e dolorosa
L’offensiva aerea di Kyiv non è casuale. L’obiettivo è duplice: indebolire la capacità di Mosca di finanziare la sua macchina bellica e, al contempo, alimentare il malcontento interno. I droni hanno colpito con una precisione quasi chirurgica non solo raffinerie, ma anche depositi di petrolio, oleodotti e stazioni di pompaggio.
Un esempio emblematico è stato l’attacco al porto petrolifero di Primorsk, nella regione di San Pietroburgo, il più grande terminale russo sul Mar Baltico e snodo cruciale per le esportazioni marittime del paese. Da agosto, sono state colpite almeno 16 delle 38 principali raffinerie russe, spesso con attacchi ripetuti per massimizzare i danni.
Le conseguenze sulla popolazione non si sono fatte attendere:
- Razionamento: In diverse regioni, i cittadini possono acquistare solo da 10 a 20 litri di carburante alla volta.
- Code e chiusure: Testimonianze da Mosca e dalla Crimea occupata parlano di distributori chiusi per mancanza di benzina a 92 ottani e di una situazione “critica”.
- Panico: Video online mostrano la disperazione degli automobilisti, un’immagine che il Cremlino fa sempre più fatica a nascondere.
Il governo russo, per bocca del vice primo ministro Alexander Novak, ha tentato di minimizzare, parlando di “una leggera carenza” coperta dalle riserve. Tuttavia, ha dovuto ammettere che i prossimi mesi saranno “difficili”, estendendo il divieto di esportazione di benzina fino alla fine dell’anno e introducendo un bando parziale su quella di diesel.
Attenti all’effetto boomerang
Sebbene questa strategia stia causando notevoli grattacapi a Mosca, gli analisti sono cauti nel definirla risolutiva. “È una grande fonte di frustrazione per Mosca,” afferma Emily Ferris, analista del think tank RUSI, “ma è improbabile che sia l’elemento che spingerà il Cremlino a trattative di pace”. La Russia, dopotutto, possiede ancora ingenti riserve finanziarie e petrolifere.
Qui si innesta un paradosso economico interessante. Se da un lato gli attacchi danneggiano la produzione e l’approvvigionamento interno russo, dall’altro contribuiscono a ridurre l’offerta globale di prodotti raffinati. Questa contrazione, unita al rischio percepito sulle esportazioni di greggio, spinge verso l’alto i prezzi internazionali del petrolio.Questo è chiaramente visibile dall’andamento dei prezzi del Brent che a settembre, invece che diminuire, è aumentato a settembre:
In pratica, ogni barile di petrolio che la Russia riesce comunque a esportare viene venduto a un prezzo più alto, compensando in parte le perdite derivanti dai volumi ridotti. Anzi Mosca esporta perfino più petrolio, non potendo lavorare internamente. Il prezzo maggiore è dovuto all’incertezza legata dagli attacchi: l’incertezza sulla costanza dell’export e della produzione russa tiene i prezzi più elevati di quanto sarebbero in realtà in una situazione, come l’attuale, in cui la produzione OPEC+ è crescente.
Si tratta di un’arma a doppio taglio: Kyiv colpisce la capacità logistica e industriale russa, ma involontariamente potrebbe contribuire a rimpinguare le casse del Cremlino attraverso quotazioni del greggio più favorevoli. Una dinamica complessa che si inserisce in un quadro internazionale in cui anche l’amministrazione Trump ha inasprito la sua posizione, chiedendo all’Europa di cessare completamente gli acquisti di energia russa.
Come ha dichiarato lo stesso presidente Zelensky, “le sanzioni più efficaci… sono gli incendi nelle raffinerie”. Resta da vedere se il danno logistico e il malcontento interno supereranno il beneficio derivante dall’aumento dei prezzi sui mercati globali. Per ora, l’unica certezza è la lunga attesa degli automobilisti russi.
Domande e Risposte
1. Perché gli attacchi ucraini alle raffinerie sono considerati così efficaci?
Questi attacchi sono efficaci perché colpiscono direttamente la capacità della Russia di auto-sostenersi e di finanziare la guerra. A differenza delle sanzioni economiche, che possono essere aggirate, il danno fisico a un’infrastruttura critica come una raffineria ha conseguenze immediate: interrompe la produzione di carburante per uso civile e militare, crea carenze interne, alimenta l’inflazione e genera malcontento tra la popolazione. È una strategia che porta gli effetti della guerra direttamente sul territorio russo, in particolare nelle grandi città finora relativamente risparmiate.
2. Questa crisi dei carburanti può davvero costringere la Russia a negoziare la pace?
Secondo la maggior parte degli analisti, è improbabile che questa crisi, da sola, possa portare alla fine della guerra. Sebbene rappresenti un problema serio e una fonte di frustrazione per il Cremlino, la Russia dispone ancora di vaste riserve finanziarie e di greggio. L’impatto è più logistico ed economico che esistenziale. Potrebbe indebolire la posizione di Mosca e aumentare la pressione interna, ma l’obiettivo strategico di soggiogare l’Ucraina rimane prioritario per il governo russo, che sembra disposto a sopportare questi “inconvenienti” per raggiungerlo.
3. In che modo l’aumento del prezzo del petrolio, causato da questi attacchi, può paradossalmente aiutare la Russia?
È un classico effetto boomerang economico. Gli attacchi alle raffinerie e la minaccia alle esportazioni russe riducono l’offerta globale di petrolio e prodotti derivati. Secondo la legge della domanda e dell’offerta, quando l’offerta cala, i prezzi salgono. Di conseguenza, il petrolio che la Russia riesce comunque a vendere sui mercati internazionali (ad esempio a Cina e India) viene pagato di più. Questo aumento di prezzo per barile può compensare, almeno in parte, le mancate entrate dovute alla riduzione dei volumi esportati, finendo per aiutare il bilancio dello stato russo.

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