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I campioni della disinformazione : Fabio Scacciavillani.

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di Davide Gionco

Proseguiamo con la nostra raccolta sui campioni della disinformazione sui temi economici.
Ci dispiace che un giornale che vorrebbe fondarsi sui “fatti”, “Il Fatto Quotidiano”, dia spazio a persone che diffondono concetti falsi sulle questioni economiche, così importanti oggi per il nostro paese.

Nell’articolo del 3 dicembre 2018 Fabio Scacciavillani, “Chief economist Fondo d’investimenti dell’Oman”, dimostra di essere preda di grande confusione logica sulle questioni che riguardano la moneta. Il fatto di essere laureati in economia e di essersi specializzati nella gestione di fondi d’investimento, attività che riguarda la micro-economia, non offre infatti alcuna garanzia sulla comprensione della numismatica (la scienza che studia la moneta) e della macroeconomia.
E purtroppo, anziché aiutare i lettori a fare chiarezza su questi argomenti, scrive una serie di assurdità che ora andremo a dimostrare.

Scacciavillani dichiara che “le banconote e le monete emesse dalla banca centrale sono una passività del settore pubblico”, quindi un debito del governo. E quindi costituirebbero un credito del detentore verso il governo.
In questa affermazione Scacciavillani confonde totalmente le forme contabili con la realtà dell’economia.

Alcuni economisti come Nicoletta Forcheri e Biagio Bossone si sono occupati di dimostrare l’assurdità di questa forma contabile, senza alcun fondamento logico.

E’ vero che le banconote emesse vengono registrate, formalmente, come una passività, ma questo non significa che i detentori di banconote siano creditori verso il governo.
Chi detiene le banconote, in realtà, detiene un credito aperto verso l’intera società, dotto forma di beni e servizi. Infatti chiunque detiene una banconota da 100 euro si reca presso un qualsiasi produttore di beni e servizi e può convertire quel pezzo di carta, “credito formale”, in beni e servizi di valore d’uso reale (mentre il denaro non si mangia), dal prezzo commerciale misurato in 100 euro.

Eventualmente il detentore di 100 euro li potrà utilizzare per saldare il proprio debito, reale, nei confronti dello Stato quando paga le tasse.

I creditori verso lo stato sono i detentori di titoli di stato, non i detentori di banconote.

E il debito generato con l’emissione di nuove banconote è un debito puramente formale, derivante dal meccanismo contabile oggi in uso relativamente all’emissione di denaro.
Se il meccanismo venisse modificato, sarebbe certamente possibile emettere nuovo denaro senza generare nuovo debito.
E se, per assurdo, lo Stato volesse estinguere tale debito formale, pagandolo, semplicemente tutto il denaro, alla fine, ritornerebbe alla centrale di emissione ovvero alla banca centrale.
Non ci sarebbe più denaro in circolazione e l’economia di bloccherebbe.

 

La seconda assurdità, derivata dalla precedente, Scacciavillani la scrive parlando della “moneta fiduciaria”.
E’ vero che i pezzi di carta che chiamiamo denaro vengono accettati da tutti in ragione della fiducia che abbiamo di poterli a nostra volta utilizzare. Peraltro questo vale da sempre per qualsiasi tipo di moneta, dalle monete in oro ai tally sticks inglesi, banali pezzi di legno.
Ma la “fiducia” di cui abbiamo bisogno non riguarda la fiducia nelle istituzioni pubbliche, riguarda invece la fiducia nella possibilità di convertire tali pezzi di carta in beni e servizi di valore reale.
In realtà il pagamento del nostro lavoro non finisce quando percepiamo lo stipendio, ma finisce quando quello stipendio viene convertito in assets reale.
Il verduriere “venditore di cicoria” degli anni 1970 accettava pagamenti in lire principalmente per 2 ragioni:
1- perché i suoi clienti si recavano nel suo negozio disposti a spendere lire in cambio della cicoria. Rifiutare un pagamento in lire significava perdere la maggior parte deli clienti, riducendosi ad attendere i pochi clienti stranieri disposti ad acquistare la cicoria in dollari o in marchi tedeschi.
2- perché aveva bisogno di lire per pagare le tasse e per pagare i propri fornitori.
Il verduriere sicuramente si lamentava dell’incapacità del governo e dell’inflazione al 15-20%, ma risolveva il problema aumentando i prezzi, senza che questo portasse ad una perdita di clienti. Infatti tutti i prezzi e tutti gli stipendi (vigeva la scala mobile) aumentavano di pari paso con l’inflazione.

Nulla a che vedere con la fiducia nelle istituzioni. L’inflazione in Italia era aumentata a causa dell’aumento dei prodotti petroliferi. L’inflazione è oggi alle stelle in Venezuela a causa della mancanza di beni di prima necessità.
Nessuno aumenta i prezzi per mancanza di fiducia nel governo!
E la moneta non perde valore nei confronti del “paniere” a causa della mancanza di fiducia nel governo e delle istituzioni pubbliche.
Il verduriere aumenta i prezzi se aumentano i prezzi della sue forniture o se la domanda di verdura è maggiore rispetto alla disponibilità.
In assenza di questi problemi, se il verduriere aumentasse il prezzo della cicoria a causa di scarsa fiducia nel governo, semplicemente perderebbe i clienti e non venderebbe più cicoria.
Un concetto che probabilmente è troppo complesso per Scacciavillani.

 

La terza assurdità propagandata da Scacciavillani è che aumentando la quantità di denaro in circolazione non potrebbe aumentare il reddito reale degli individui.
Per comprenderlo basta un ragionamento banale: oggi ci sono in Italia 3 milioni di disoccupati; domani lo Stato stampa 75 miliardi di euro di nuove banconote, assume 2,5 milioni di lavoratori e dà loro quel denaro (30mila euro lordi a testa per un anno) in cambio di lavori utili (riparare le buche delle strade, aumentare il personale negli ospedali, curare i giardini pubblici, ecc.).
Quei 3 milioni di persone, che prima non percepivano nessun reddito, ora potranno recarsi dal verduriere ad acquistare cicoria.
Il verduriere non avrà alcuna ragione di aumentare i prezzi, ma si limiterà ad ordinare più cicoria ai produttori. I produttori, a loro volta, assumeranno 500mila persone per aumentare la produzione di cicoria, la quale continuerà ad essere venduta allo stesso prezzo di prima.
In questo caso la messa in circolazione di nuovo denaro, spendendolo in modo accurato, consentirebbe effettivamente ai aumentare l’occupazione ed i salari reali di quei 3 milioni di persone.

Nessuna “virtù taumaturgica”, solo semplici considerazioni di buon senso, con matematica da quarta elementare.

 

La quarta assurdità di Scacciavillani è utilizzare il caso del Venezuela per terrorizzare i lettori. Senza una minima analisi sulla disastrosa situazione economica del Venezuela, utilizza l’esempio per stigmatizzare la proposta di stampare moderatamente un po’ più di denaro per dare lavoro ai disoccupati, come se la situazione dell’Italia, con migliaia di imprese i sottoproduzione ed un paese perfettamente integrato nel libero mercato mondiale (mentre il Venezuela è boicottato dagli USA) fosse comparabile a quella del Venezuela.

 

La quinta assurdità logica è legare i rendimenti delle obbligazioni dello stato alla “fiducia nelle istituzioni”. In realtà ciò che chiedono gli investitoti finanziari è che lo Stato sia in grado di fare fronte alla restituzione del capitale investito più gli interessi. E la maggiore garanzia per farlo è certamente che lo Stato disponga della “macchina che stampa i soldi”. Non per inondare di denaro i mercati, ma solo per rispettare gli impegni con gli investitori.
Sostanzialmente Scacciavillani sostiene che i “mercati” dovrebbero avere maggior fiducia nel governo se questo si priva della macchina che stampa i soldi, cedendola a terzi.
In realtà la maggior parte dei governi del mondo, fatta eccezione per i 14 paesi africani del franco CFA (moneta coloniale francese) ed i paesi dell’Eurozona, dispone di una propria banca centrale che acquista titoli pubblici stampando nuovo denaro. Non si tratta di “farneticazioni”, ma del modo ordinario di operare nell’economia moderna.
Ad esempio in Giappone sono mesi e mesi che le aste di titoli vanno deserte, in quanto i tassi proposti dal Tesoro sono troppo bassi. E sono mesi che è solo la BOJ, la banca centrale del Giappone, ad acquistare quei titoli, stampando nuovi yen.
Il debito pubblico giapponese è oltre il 250% del PIL, eppure la fiducia nel governo è molto alta, in quanto la disoccupazione è sotto il 3% ed i servizi pubblici sono efficienti e disponibili per tutti.

 

La sesta assurdità è utilizzare il caso recente dell’asta dei BTP Italia per dimostrare che gli italiani non avrebbero “fiducia” nel governo e, per questo, non vorrebbero investire in questi titoli. Probabilmente la ragione è molto piû semplice: gli italiani non hanno più soldi da investire e coloro che investono cercano rendimenti più alti di quelli proposti.

Caro Scacciavillani, per cortesia, si ricordi che nel mondo gli investitori finanziari sono meno dell’1%. Tutte le altre persone usano il denaro per vivere, per ricevere lo stipendio, per fare la spesa. Il denaro non è un titolo finanziario è uno strumento per vivere.
Se manca denaro in circolazione per pagare uno stipendio ai disoccupati, è sufficiente stampare dei “pezzi di carta”, si garantirà loro un lavoro e non si genererà alcuna iperinflazione.
Se manca denaro in circolazione per pagare gli interessi ai risparmiatori che investono in titoli di stato, è sufficiente stampare dei “pezzi di carta” per pagarli, senza toglierli dalle tasche dei cittadini (come avviene oggi) e non si genererà alcuna iperinflazione.

Caro Scacciavillani, prima di scrivere altri articoli del genere e sbeffeggiare persone che hanno studiato a fondo e per anni le questioni della sovranità monetaria, si prenda quantomeno il tempo di studiarsi i libri che trattano di macroeconomia, scienza a lei totalmente sconosciuta.

Concludiamo chiedendo agli amici de Il Fatto Quotidiano di evitare di continuare dare spazio a dei disinformatori come Scacciavillani, che scrivono di argomenti che non conoscono. Qui non si tratta di “libere opinioni”, ma di considerazioni totalmente infondate che confondono le idee ai lettori su questioni fondamentali come le politiche per la piena occupazione e la sostenibilità del debito pubblico.


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