Attualità
Ho fatto un sogno: il PD perdeva e non governava
Ci sono i grandi sogni (alla JFK e alla M.L. King) e le realistiche aspettative. Per il nostro Paese il grande sogno sarebbe l’uscita dalla Ue e dall’euro e il recupero di una sovranità perduta. Ma perduta quando? E perduta come? Davvero, l’indipendenza e l’autonomia nazionali si sono gradualmente evaporate a far data dal divorzio Bankitalia-Tesoro del 1981, passando per il trattato di Maaastricht del 1992 e per quello di Lisbona del 2007? O non era già poca roba prima ai tempi della prima repubblica e della liretta, quando lo Stivale era comunque una sorta di protettorato britannico o di cinquantunesimo stato a stelle e strisce? Da Londra a Washington a Bruxelles e Francoforte: come restare costantemente subalterni nel lungo giro della storia, dal ’45 in poi, senza mai passare da Roma.
Passiamo allora alle realistiche aspettative. Secondo i più, una di esse sarebbe la vittoria, anzi la “schiacciante” vittoria, del centrodestra. Eppure, non ci sembra di vedere il PD e ni suoi satelliti granchè preoccupati. E di ciò dovrebbero essere preoccupati gli italiani. Perché? Perché – rimanendo sul piano delle realistiche aspettative e mettendo in stand by i sogni di riconquista di una sovranità mai avuta – dovrebbe essere interesse primario (di chiunque abbia a cuore le sorti della nostra “colonia”) non già la vittoria di una qualsivoglia lista alternativa al PD, ma una “vera” sconfitta del PD.
E per “vera” si intende effettiva, reale, duratura. Cinque anni di opposizione e di lontananza dalla stanza dei bottoni (per quanto, in quella stanza, di bottoni ne siano rimasti assai pochi). Il che è, statisticamente, quasi impossibile. Ed è il motivo per cui quelli del PD paiono dormire sonni tranquilli. Idem la claque permanente di giornaloni, intellettuali e tv generaliste che del PD sono naturali reggicoda. Essi sanno che, comunque vada, sarà un successo. Glielo insegna la storia recente. Dalla caduta di Berlusconi in poi hanno sempre (o quasi) governato. Sia dopo la sconfitta a metà di Bersani del 2013, sia dopo la disfatta del 2018: nove anni su dieci, grossomodo. In un mondo dove l’importante è che l’italiano non governi mai, è anche logico.
Il PD, infatti, non è un partito italiano. È un partito “europeo” e “globalista”. È il partito “finanziario”, “bancario”, “liberista”, “atlantico” per eccellenza. È il partito dei “nuovi” diritti e della rottamazione di quelli “vecchi” (costituzionali in primis). Dunque, non solo fa prioritariamente gli interessi dei “mercati”, della finanza speculativa, del sistema bancario, dei grandi capitali privati, delle cancellerie europee, delle variopinte “agenzie” non governative e transnazionali e dei padrini americani. È anche sistematicamente sostenuto, spalleggiato, soccorso, da ciascuna di queste realtà. Pertanto, può contare su una formidabile e gioiosa macchina da guerra (da far impallidire Occhetto) rappresentata dal sistema mediatico mainstream, dai mandarini dell’Unione, dalle grandi banche d’affari, dalle famose elites.
Qualsiasi esito esca dalle urne, alla fine, viene sovvertito facendo implodere le maggioranze “diverse” e promuovendo la minoranza “giusta”. L’esperienza del governo gialloverde e, prima ancora, l’esperimento del “Nuovo centrodestra” di Alfano o del patto del Nazareno lo dimostrano. Riassumendo: se dai poetici cieli dei grandi sogni scendiamo al prosaico terreno delle realistiche aspettative, dobbiamo augurarcene almeno una, per quanto piccola. Un PD fuori dai giochi per un quinquennio. Anche se, ripensandoci, è talmente implausibile da farci dubitare. Non vorremmo dover dire, tra qualche mese: ho fatto un sogno; e mi sono svegliato.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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