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Guerra Spaziale: gli USA Mettono i Radar sui satelliti per “Vedere” le minacce in tempo reale
Gli Stati Uniti non si fidano più dei loro “occhi” a terra: ora i satelliti militari avranno un proprio radar di bordo per rilevare minacce da Cina e Russia in tempo reale. Un passo decisivo verso la “guerra orbitale” che cambia le regole del gioco nello spazio.

Sembra che i cieli sopra di noi stiano diventando un po’ affollati e non proprio in modo amichevole. In un mondo dove la supremazia non si gioca più solo a terra, in mare o in aria, ma anche nell’orbita terrestre, gli Stati Uniti hanno deciso di dare ai loro satelliti un paio di “occhi” in più. Lo Space Rapid Capabilities Office (SpRCO), il braccio “veloce” della Space Force americana, ha infatti annunciato l’intenzione di dotare i satelliti militari di piccoli e relativamente economici sistemi radar di bordo.
L’obiettivo? Semplice e terribilmente serio: dare a ogni satellite la capacità di “autocoscienza” (in gergo tecnico own-ship awareness), ovvero la facoltà di rilevare in tempo reale se un altro oggetto si sta avvicinando in modo sospetto e, soprattutto, se sta usando un radar per tracciarlo o puntarlo. In parole povere, è come installare dei sensori di parcheggio molto sofisticati su un veicolo che viaggia a 28.000 km/h, per evitare “tamponamenti” decisamente ostili.
Da difesa passiva a “Guerra Orbitale”
La mossa non è casuale. I vertici del Pentagono ammettono, con una franchezza sempre maggiore, che l’attuale sistema di sorveglianza spaziale, basato principalmente su telescopi e radar a terra, non è più adeguato a fronteggiare le crescenti capacità anti-satellite di Cina e Russia. L’era della “consapevolezza del dominio spaziale” (space domain awareness) come semplice strumento per evitare collisioni è finita.
Oggi si parla apertamente di “guerra orbitale” (orbital warfare). Questa nuova dottrina non si limita a permettere ai satelliti statunitensi di schivare le minacce, ma mira a creare un sistema integrato che consenta agli “effettori” (sistemi d’arma a terra, in aria, in mare e, in futuro, nello spazio) di neutralizzare le capacità spaziali avversarie. La consapevolezza tattica diventa quindi il primo anello di una catena di ingaggio.
Come ha dichiarato Kelly Hammett, direttore dello SpRCO, l’obiettivo è “chiudere le nostre ‘catene di ingaggio’ e interrompere quelle dell’avversario”. Un linguaggio che lascia poco spazio all’immaginazione.
Il Piano in Dettaglio
L’iniziativa dello SpRCO si basa su un approccio pragmatico e veloce, tipico di chi ha fretta di colmare un gap tecnologico. Il piano prevede:
- Contratti a due aziende: Saranno selezionati due fornitori per sviluppare e dimostrare la tecnologia.
- Finanziamento: Ciascun contratto avrà un valore di $3 milioni per una durata di 24 mesi. Si tratta di grant Direct to Phase II SBIR (Small Business Innovation Research), un programma che accelera il passaggio di tecnologie innovative dalle piccole imprese al settore militare.
- Integrazione: A differenza dei primi prototipi testati nel 2023 su un satellite commerciale, questi nuovi sensori radar dovranno essere integrati direttamente su piattaforme satellitari della Space Force in orbita geosincrona (GEO), una sfida tecnologica non indifferente.
Lo SpRCO è già in trattativa per installare i primi radar su un satellite candidato al lancio in orbita GEO e sta discutendo l’inclusione di questi sensori come dotazione standard sulle future piattaforme satellitari, come il programma RG-XX, destinato a sostituire gli attuali satelliti “guardiani” del programma GSSAP.
Il passo successivo, già in programma, sarà lo sviluppo di sensori ottici di bordo, per una sorveglianza ancora più completa. Insomma, la corsa a chi “vede” meglio e prima nello spazio è ufficialmente iniziata, e gli investimenti, seppur apparentemente modesti, indicano una direzione strategica molto chiara.
Domande e Risposte per il Lettore
1) Perché i radar a terra non sono più sufficienti per proteggere i satelliti?
I sistemi di sorveglianza basati a terra hanno limiti intrinseci. Possono subire ritardi nella comunicazione, avere “punti ciechi” nella copertura orbitale e possono essere a loro volta neutralizzati o ingannati. Un radar di bordo, invece, fornisce al satellite una capacità di rilevamento immediata e autonoma, in tempo reale. È la differenza tra avere una guardia di sicurezza che osserva un edificio da una telecamera a un chilometro di distanza e avere sensori di movimento installati su ogni porta e finestra dell’edificio stesso. Questa reattività è cruciale in uno scenario di “guerra orbitale”.
2) Questi nuovi radar sono da considerarsi armi?
No, non direttamente. Un ricevitore di allarme radar (radar warning receiver) è un sensore passivo o attivo a bassa potenza, progettato per rilevare e identificare segnali radar nemici, non per attaccare. Tuttavia, la sua funzione è fondamentale in un contesto di combattimento. Fornire a un satellite la capacità di sapere se è sotto attacco è il primo passo per poter reagire, sia eludendo la minaccia sia attivando contromisure o, in uno scenario futuro, rispondendo al fuoco. Quindi, pur non essendo un’arma, è una componente essenziale per la guerra nello spazio.
3) L’Italia e l’Europa come si posizionano in questa nuova corsa allo spazio militare?
Anche l’Europa sta sviluppando le proprie capacità di sorveglianza spaziale (SST – Space Surveillance and Tracking) per monitorare detriti e satelliti, ma l’approccio è storicamente più orientato alla sicurezza e alla difesa passiva. Tuttavia, la crescente militarizzazione dello spazio sta spingendo anche le nazioni europee, inclusa l’Italia, a investire di più in capacità di “space domain awareness” e a considerare le implicazioni per la difesa. Programmi come IRIDE e le collaborazioni in ambito NATO e UE si muovono in questa direzione, sebbene la dottrina aggressiva della “guerra orbitale” rimanga, per ora, una prerogativa principalmente statunitense.

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