Economia
Guerra Iran-Israele: Dominanza o azzardo? Cosa accadrà dopo i missili
È guerra aperta tra Iran e Israele dopo le ondate di missili. Scopri perché Israele ha la supremazia militare ma rischia sul lungo periodo e qual è la vera posta in gioco nello Stretto di Hormuz.

Una notte di fuoco ha squarciato i cieli del Medio Oriente. Tra le tre e le sei ondate di missili e droni, secondo le prime frammentarie notizie, sono state lanciate dal territorio iraniano verso Israele, in una rappresaglia senza precedenti che segna un punto di non ritorno nel conflitto ombra tra le due potenze.
La risposta di Gerusalemme non si è fatta attendere: raid aerei mirati hanno colpito installazioni strategiche in Iran, dimostrando una capacità di penetrazione. La guerra aperta, a lungo temuta, è ora una realtà tangibile. Ma cosa succederà adesso? Per capirlo, è necessario analizzare il concetto chiave che governa questa crisi: la “Escalation Dominance”, ovvero la capacità di una delle due parti di alzare il livello dello scontro a un punto che l’avversario non può sostenere o contrattaccare efficacemente. E in questo momento, tutti gli indicatori puntano verso Israele.
La Supremazia Militare e di Intelligence di Israele
Israele ha raggiunto una posizione di dominio nell’escalation attraverso anni di preparazione meticolosa, sia sul piano militare che diplomatico. I ripetuti attacchi condotti in territorio iraniano negli ultimi anni – assassinii mirati di scienziati nucleari e ufficiali, sabotaggi e bombardamenti – non erano solo colpi tattici, ma mosse strategiche per dimostrare una profonda penetrazione dei servizi di intelligence israeliani nell’apparato statale e militare di Teheran. Questa capacità ha permesso non solo di identificare con precisione gli obiettivi, ma anche di generare un clima di paranoia ai vertici del regime iraniano. Ci sono notizie, e perfino immagini eccezionalmente diffuse da Israele, di gruppi legati al Mossad che hanno operato in territorio iraniano, identificando o colpendo obiettivi.
Sul fronte militare, l’Iran si è dimostrato incapace di difendere il proprio spazio aereo. Le sue difese aeree, antiquate e inefficaci, sono state ulteriormente degradate dai raid israeliani del 2024, che hanno scientificamente “ripulito” i corridoi per operazioni future. Quella che stiamo vedendo potrebbe essere una classica strategia del “double tap”: un primo colpo per indebolire le difese e preparare il terreno, seguito da un secondo, più devastante, per capitalizzare la vulnerabilità creata.
Israele ha inoltre “de-rischiato” l’operazione sul piano diplomatico, assicurandosi il sostegno quasi incondizionato degli Stati Uniti e un appoggio significativo, seppur con qualche distinguo, dei principali governi europei, impegnatisi a difendere lo Stato ebraico da eventuali rappresaglie.
I Limiti di Israele e la Debolezza dell’Iran
Tuttavia, questa dominanza ha dei limiti precisi. Israele è un paese piccolo, con un’economia forte, ma non abbastanza grande da sostenere una guerra ad alta intensità per un periodo prolungato. Una campagna militare che si estenda oltre i dieci-quindici giorni metterebbe a durissima prova le sue risorse, la sua economia e la sua coesione sociale. Questo è il tallone d’Achille su cui l’Iran potrebbe teoricamente fare leva.
Ma le opzioni di Teheran sono drammaticamente limitate. I droni lanciati dall’Iran sono troppo lenti e percorrono distanze troppo lunghe per rappresentare una minaccia seria. I missili balistici, sebbene più veloci, sono notoriamente imprecisi e con un carico esplosivo troppo ridotto per infliggere danni strategici. L’Asse della Resistenza, la rete di alleati regionali faticosamente coltivata (Hezbollah in Libano, il regime di Assad in Siria, Hamas a Gaza), è stato in gran parte neutralizzato o è in una posizione troppo precaria per aprire nuovi fronti per conto di Teheran. Hebollah ha ufficialmente scelto di tirarsi fuori dal conflitto.
La debolezza iraniana è stata progressivamente smascherata. La mancata risposta efficace all’assassinio del generale Qasem Soleimani nel 2020 da parte degli USA ha rivelato l’incapacità o la riluttanza di Teheran a rischiare un’escalation. Da allora, l’Iran ha assistito quasi impotente alla neutralizzazione dei suoi proxy, trasformandosi, nonostante la retorica aggressiva, in quella che molti analisti definiscono una “tigre di carta”. La leadership iraniana, estremamente avversa al rischio e focalizzata sulla sopravvivenza del regime, è caduta nella trappola del “use it or lose it”: la sua cautela e la sua riluttanza a rischiare il conflitto hanno portato a una perdita costante di alleati, alla distruzione delle capacità difensive e a un restringimento delle opzioni politiche.
Lo Stretto di Hormuz: L’Ultima Carta è un Bluff?
Da tempo, l’arma finale brandita da Teheran è la minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz, un collo di bottiglia da cui transita una fetta cruciale del petrolio mondiale. Un blocco, anche temporaneo, farebbe schizzare i prezzi del greggio alle stelle, innescando una crisi economica globale. Ricordiamo che in quel braccio di mare transita dal 20% al 30% del petrolio mondiale.
Tuttavia, anche questa minaccia appare oggi meno credibile. Data la “escalation dominance” dimostrata da Israele e USA, un tentativo di chiusura dello Stretto provocherebbe una risposta immediata. Gli Stati Uniti e i loro alleati organizzerebbero quasi certamente un sistema di convogli navali armati per scortare le petroliere. A quel punto, un attacco iraniano a un convoglio significherebbe una guerra diretta con gli Stati Uniti, lo scenario che la leadership di Teheran ha dimostrato di voler evitare a ogni costo. Senza contare che qusto inimicherebbe definitivamente paesic come il Kuwait e l’Iraq, che dipendono pesantemente dal transito nello Stretto,
La diplomazia si muove per disinnescare questa potenziale bomba. Gli avvertimenti preventivi al traffico marittimo e il parziale distanziamento degli USA dall’operazione israeliana creano una “finzione diplomatica” utile: offrono all’Iran uno spazio per una rappresaglia diretta contro Israele, evitando al contempo attacchi al traffico marittimo che trascinerebbero nel conflitto le potenze occidentali e locali. Le condanne dell’attacco israeliano da parte dell’Arabia Saudita vanno nella stessa direzione, un tentativo di isolare le proprie installazioni e le proprie esportazioni da eventuali ritorsioni.
In conclusione, ci troviamo di fronte a un equilibrio instabile. Israele detiene una chiara supremazia tattica e strategica nel breve termine, ma è vincolato dalla sua sostenibilità economica a lungo termine. L’Iran, messo all’angolo e con opzioni limitate, potrebbe essere tentato da una mossa disperata e ad alto rischio come il blocco di Hormuz, ma solo se i suoi leader dovessero percepire una minaccia esistenziale alla sopravvivenza stessa del regime. La dominanza israeliana è reale, ma cammina sul filo del rasoioe non può durare, senza un impegno diretto occidentale. Un errore di calcolo, un’eccessiva audacia da parte di Gerusalemme o un atto di disperazione da parte di Teheran potrebbero far precipitare l’intera regione nel caos.
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