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Guerra e trivelle: il Kazakistan costretto a tagliare la produzione di gas e petrolio

Un attacco di droni ucraini in Russia blocca la produzione di un mega-giacimento kazako. Coinvolte direttamente ENI e Shell, che operano il sito. L’impatto e le conseguenze sulla fragile filiera energetica.

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Il giacimento Karachaganak in Kazakistan, che produce petrolio e condensato di gas, ha ridotto la produzione dopo quello che è stato definito “un incidente” in un impianto di trattamento del gas in Russia, colpito lunedì da un drone ucraino.

La Karachaganak Venture, che gestisce il giacimento, ha confermato martedì in una dichiarazione inviata via e-mail a Reuters di aver ridotto la produzione.

Il gigante energetico italiano Eni e la supermajor britannica Shell sono operatori congiunti della Karachaganak Venture, con una partecipazione del 29,25% ciascuna nella joint venture. La supermajor statunitense Chevron e il secondo produttore di petrolio russo, Lukoil, detengono rispettivamente il 18% e il 13,5% delle quote. La compagnia nazionale kazaka KazMunayGas detiene il 10% delle quote dell’impresa.

Lunedì sono emerse notizie secondo cui un attacco con droni ucraini avrebbe interrotto la lavorazione del gas nel complesso russo di Orenburg, uno dei più grandi del Paese.

Il gas estratto nel nord-ovest del Kazakistan viene trasportato a nord per essere lavorato, prima di tornare nel Paese per essere utilizzato sul mercato interno o esportato. Quando Orenburg si ferma, la produzione di condensato e gas di Karachaganak cala, mettendo a rischio oltre 250.000 barili al giorno di produzione equivalente di petrolio. Il condensato di gas non è altro che petrolio leggero ricavato, appunto, dalla lavorazione del gas naturale.

Né l’operatore di Karachaganak né il Ministero dell’Energia kazako hanno fornito dati sulla quantità di produzione che è stata ridotta.

Fonti anonime hanno riferito lunedì a Reuters che la produzione a Karachaganak è scesa al di sotto dei 200.000 barili al giorno di petrolio equivalente.

Nonostante l’interruzione dell’impianto di lavorazione di Orenburg in Russia, la fornitura di gas del Kazakistan rimane ininterrotta, ha affermato lunedì il Ministero dell’Energia kazako, smentendo le notizie contrarie riportate dai media kazaki.

“La sospensione delle attività dell’impianto di lavorazione del gas di Orenburg non ha avuto alcun effetto sulle esportazioni di gas verso il Kazakistan”, ha affermato il ministero kazako in una dichiarazione riportata dall’agenzia di stampa russa Interfax.

“La stabilità dell’approvvigionamento è garantita da meccanismi di riserva che sono stati messi in atto in anticipo. Qualsiasi parte del volume previsto che non viene fornita viene prontamente sostituita in base ai contratti esistenti, e quindi non vi è alcun deficit di gas per i consumatori domestici, comprese le centrali termiche della capitale, né sono previsti deficit”, ha affermato il Kazakistan.

Se l’attacco ucraino a Orenburg avesse fermato la fornitura di gas al Kazakistan, all’inizio di un inverno rigido in Asia centrale, sarebbe stato un bel problema per il governo, che si sarebbe trovato ad avere enormi risorse d’idrocarburi, senza poterle utilizzare quando ce n’è bisogno.

Pozzi nel kazakistan

Domande e Risposte sul Testo

Ecco tre domande che un lettore potrebbe porsi, con relative risposte:

1) Perché un attacco in Russia ferma un giacimento in Kazakistan? Per una dipendenza logistica critica. Il gas estratto a Karachaganak (Kazakistan) non può essere processato in loco. Per accordi infrastrutturali, viene inviato via gasdotto all’impianto russo di Orenburg per il trattamento. L’attacco con droni ha fermato Orenburg e, di conseguenza, Karachaganak ha dovuto ridurre l’estrazione: non può produrre gas che non sa dove trattare. È un classico “collo di bottiglia” infrastrutturale.

2) Chi sono i principali attori economici danneggiati da questo stop? Sebbene il giacimento sia kazako, i principali azionisti della joint venture (Karachaganak Venture) sono aziende occidentali. Le più esposte sono l’italiana ENI e la britannica Shell, che detengono ciascuna il 29,25% e sono operatori congiunti. È coinvolta anche l’americana Chevron (18%). Paradossalmente, l’attacco danneggia anche la russa Lukoil (13,5%). La compagnia di stato kazaka KazMunayGas possiede solo il 10% delle quote.

3) Ci saranno conseguenze per la fornitura di gas in Kazakistan? Secondo le autorità kazake, no. Il Ministero dell’Energia ha smentito ufficialmente le notizie di possibili deficit, affermando che la stabilità delle forniture interne è garantita da “meccanismi di riserva” attivati preventivamente. Eventuali volumi mancanti da Orenburg verrebbero sostituiti tramite altri contratti, assicurando la fornitura ai consumatori domestici e alle centrali termiche della capitale, Astana.

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