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ANCHE UN GREGGE PUO’ SPAZIENTIRSI

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A Bruxelles farebbero bene ad aprire le orecchie
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I capi guidano i popoli, ma avviene anche che i popoli guidino i capi. Non solo in democrazia, dove ciò è normale, ma anche dove il comando è più assoluto e spietato. Durante la Prima Guerra Mondiale, continuando l’ “inutile massacro”, si arrivò a rivolte dei soldati. Quegli uomini, usati come “carne da mitragliatrici”, ne avevano giustamente abbastanza di morire per niente. La guerra di trincea e la tecnica dell’assalto frontale, che tante vittime provocarono, non furono soltanto il frutto della stupidità dei capi o della loro totale indifferenza alla vita dei soldati, erano parte di una concezione della guerra condivisa e considerata inevitabile da tutti gli Stati Maggiori del tempo. Ma naturalmente non potevano essere d’accordo quelli che, in suo nome, si trovavano costretti a marciare incontro alla morte.

Oggi nel nostro Continente – in un contesto per fortuna infinitamente meno cruento – dal punto di vista economico avviene qualcosa del genere. L’obbedienza ai vari trattati europei, e domani al fiscal compact, è considerata da tutti i governi una inderogabile necessità. Qualcosa di talmente giusto che non c’è obiezione che tenga. I governi cercano di fare politica ma si muovono nell’ambito del ristretto quadro prestabilito. Un po’ come nel calcio esistono varie strategie ma nessuna di esse prevede che si tocchi la palla con le mani. E tuttavia a questo universale consenso dei capi non corrisponde un analogo sentimento dei cittadini. Popoli come quello greco o italiano sono esasperati. Al livello della gente normale l’insofferenza verso questa linea economica e una rabbia sorda continuano a montare come un enorme vulcano che si gonfia prima di esplodere. Lo si vede nelle elezioni francesi di questi giorni. Lo si vede nei proclami di Beppe Grillo, in Italia: e se è vero che quel signore non è né un professore d’economia né un fine sociologo, è anche vero che ha un grande fiuto politico per gli umori della gente. Lo si vede anche nella prudenza di Londra, che da gran tempo si è dissociata dalle più avanzate iniziative, a partire dall’euro. E infatti tutti i commentatori paventano e prevedono un grande successo dei partiti antieuropei alle prossime elezioni di maggio.

La prudenza impone naturalmente di non trattare da imbecilli tutti i governanti dei più vecchi e gloriosi Stati europei. Ma la stessa prudenza impone di non considerare intangibili le loro idee e le loro linee di politica economica. Mentre soffriamo siamo autorizzati a fare queste due ipotesi: che le autorità ci stiano salvando da problemi ancora peggiori, ma anche che esse appartengano alle cause e non ai rimedi dei nostri mali. Solo il tempo darà risposte definitive, ma già oggi alcune conclusioni possono darsi per assodate.

È noto che governare un grande Stato moderno è cosa difficile e tecnicamente molto complessa. È noto che la politica è faccenda molto più sporca e priva di scrupoli di quanto sia la vita dei normali galantuomini. È noto che la politica internazionale risponde ad imperativi tanto lontani dalla morale corrente che non sempre può essere compresa e accettata dal popolo. Dunque ci sarà sempre un divario fra la realtà della conduzione del Paese e ciò che la gente pensa che essa sia. Come ha detto in modo icastico ed indimenticabile Bismarck, “quanto meno la gente sa come si fanno le salsicce e la politica, tanto meglio dorme la notte”. Ma questo divario non deve divenire tanto cosciente da indurre tentazioni di divorzio. I governanti si devono sempre preoccupare di spiegare al popolo il proprio comportamento, con argomenti veri o fasulli poco importa, ottenendo comunque un accettabile consenso. Se invece si crea una distanza eccessiva fra il mondo della classe dirigente e il mondo dei normali cittadini, è un brutto momento. A prescindere – si badi – da chi abbia ragione o torto. Non altra causa ebbe la Rivoluzione Francese.

La seconda, amara certezza è che oggi la situazione, invece di migliorare – se pure al costo di un crescente malcontento popolare – continua a peggiorare. L’ottimismo ufficiale, contro ogni evidenza, cerca di farci sperare in un domani migliore, ma un’inarrestabile decadenza che dura da anni rende quell’ottimismo provocatorio. Perfino la Francia che, alla vigilia della Rivoluzione dell’’89, era una nazione economicamente solida, oggi vede i suoi conti che peggiorano, il suo debito pubblico che aumenta, come la disoccupazione, le sue prospettive che si incupiscono. E la gente guarda sempre più al Front National e a Marine Le Pen come a una speranza.

Forse l’Europa farebbe bene a prendere più sul serio i sentimenti dei popoli. E a non aspettare che un terremoto, facendo morti e feriti, demolisca un edificio che sappiamo tutti essere pericolante.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
25 marzo 2014


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