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Greenwashing nei settori chiave: sostenibilità o illusione?

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Greenwashing: propaganda verde e realtà nera

Greenwashing: propaganda verde e realtà nera

Il fenomeno del greenwashing è sempre più diffuso: molte aziende usano termini legati alla sostenibilità senza impegni concreti, come sottolineato dalla ricerca di Ilaria Nardo. Questo approccio danneggia non solo l’ambiente ma anche il mercato, conferendo un vantaggio competitivo a chi adotta strategie ingannevoli; come ampiamente dimostrato dai libri ECONOMIGRAM ’21 e ’22 e dal libro di Economia Spiegata Facile: EVOLUTIO. Vediamo come questa dinamica si sviluppa in settori chiave.

ESG: Finanza verde o grande menzogna?

Gli ESG sono criteri per valutare la sostenibilità delle aziende. Tuttavia, sono spesso associati a pratiche di greenwashing, soprattutto in finanza. Alcuni studi dimostrano come fondi ESG siano più marketing che sostanza: ad esempio, uno studio della Banca d’Italia evidenzia come i fondi “verdi” possano ingannare gli investitori. Recentemente, il Mississippi ha citato in giudizio BlackRock  (idem il Tennessee) per strategie ESG fuorvianti. Ulteriori inchieste, come quelle de Il Fatto Quotidiano, mostrano come i fondi mascherino investimenti in carbone e petrolio sotto un’etichetta ESG, mentre Marketscreener sottolinea che molte società continuano a finanziare settori inquinanti, celandosi dietro ESG e regolamentazioni poco stringenti.

Moda e il paradosso del fast fashion

Il fast fashion è un esempio eclatante di greenwashing: marchi come H&M e Zara lanciano collezioni “green”, ma solo una minima parte dei prodotti rispetta criteri sostenibili. Un’indagine approfondita e ricca di dati riguardanti il fenomeno della fast fashion apparsa sul blog di spiritofstlouis.it e il Fashion Transparency Index mostrano come solo poche percentuali di capi siano effettivamente “verdi”. Non solo i materiali sono spesso poco sostenibili, ma anche la produzione continua a essere opaca, con costi sociali e ambientali elevati, inclusi casi di sfruttamento del lavoro. La moda “verde” rimane in gran parte una facciata.

Alimentare: imballaggi verdi e sostenibilità apparente

Il greenwashing nel settore alimentare si concentra sugli imballaggi. Greenpeace Italia evidenzia come molti imballaggi “biodegradabili” non possano essere gestiti correttamente nei riciclatori. Barilla, ad esempio, viene accusata su Il Fatto Alimentare, di promuove prodotti come sostenibili, ma utilizza ancora olio di palma, mentre Nestlé ha promesso imballaggi riciclabili entro il 2025 senza azioni concrete per ridurre il consumo di plastica. Le aziende investono di più nel marketing “verde” che nella sostenibilità dei processi.


 

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Elettronica: l’obsolescenza programmata

Il greenwashing nel settore elettronico si manifesta nella pratica dell’obsolescenza programmata, che aumenta i rifiuti elettronici. Grandi marchi come Google e Apple (ma dovremmo estendere il discorso a tutti i produttori dell’elettronica e del IT) parlano di sostenibilità, ma i loro dispositivi hanno cicli di vita previsti e sono difficilmente riparabili autonomamente dagli utenti. Repubblica sottolinea che normative europee escludono il 96% degli elettrodomestici dal diritto alla riparazione, favorendo l’acquisto di nuovi prodotti e aumentando l’impatto ambientale. In più, studi come quelli di Springer documentano come alcuni fornitori (il più celebre è FoxxComm) sfruttino la manodopera, un altro aspetto della filiera poco trasparente.

Energia: il greenwashing delle multinazionali del fossile

Il settore energetico è dominato da colossi come Shell e BP, che investono enormemente in combustibili fossili ma si promuovono come leader della transizione energetica. Organizzazioni non governative criticano l’uso di strategie di “zero emissioni nette” con compensazioni poco trasparenti. Secondo InfluenceMap, oltre il 70% della spesa pubblicitaria di queste aziende va in promozione della sostenibilità, mentre solo il 17% degli investimenti riguarda le energie rinnovabili.

Non fanno meglio le istituzioni nazionali e sovranazionali europee, a cominciare dalla BCE che finanzia fortemente il fossile, (qui l’indagine de Il Fatto Quotidiano) e i Governi finanziano settori dannosi per l’ambiente, mentre la UE impone rigide regole ecologiche a cittadini e imprese.

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Incentivi per la mobilità elettrica

Tra incentivi pubblici e bonus, i cittadini sono incoraggiati a passare ai veicoli elettrici, ma manca trasparenza sull’effettiva sostenibilità. Anche se le case automobilistiche ottengono fondi per produrre veicoli elettrici, rimane incerto quanto dell’energia utilizzata sia realmente rinnovabile. La transizione verso l’elettrico è ancora lontana dall’essere realmente “verde”. Ma questo è un capitolo a parte che viene interessato dal dibattito quotidiano.

 

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