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Grafico del giorno: gli Stati in default o ristrutturazione del debito dal 1800

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Un approccio storico al default sovrano. Debito sovrano estero: 1800-2006. Percentuale di Paesi in default od in ristrutturazione

Stati in default dal 1800

Come da legenda del grafico, tratto da uno studio dal titolo Sovereign Default di autori vari, ci sono stati cinque picchi o cicli di default che sono nei periodi storici relativi alle: (1) guerre napoleoniche; (2) il periodo tra il 1820 ed il 1840 in cui la metà dei paesi al mondo era in default; (3) il 1870; (4) La Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale; (5) la crisi del debito dei mercati emergenti degli anni ’80.

Il grafico parte dal 1800 e se non c’è accordo per l’anno di inizio delle guerre napoleoniche, che alcuni fanno risalire al 1799 con il colpo di Stato del 18 brumaio, altri alla dichiarazione di guerra tra Francia e Gran Bretagna del 1803 ed altri ancora alla incoronazione di Napoleone Bonaparte come Imperatore nel 1804, c’è almeno accordo per quanto riguarda la fine delle stesse a giugno del 1815 con la Battaglia di Waterloo. In questo periodo si arriva ad avere un alto picco di Paesi in default o in ristrutturazione del debito quasi fino al 30% dei paesi al mondo. Come riportato sopra e come si può vedere nella leggenda tra il 1820 ed il 1840 quasi la metà dei paesi al mondo era in default; infatti, guardando al grafico, più o meno nel 1830, si raggiunge il picco di quasi il 50% dei paesi in default. Tra il 1840 ed il 1870 la percentuale di Stati in default comincia a scendere ma durante gli anni tra il 1870 ed il 1880 raggiunge un nuovo picco più o meno al 40%. Il quarto ciclo di default è tra la Grande depressione e la Seconda Guerra Mondiale dove si raggiungono due picchi molto vicini al 50% di paesi in default o in ristrutturazione del debito. Infine, l’ultimo periodo che si riporta nello studio è quello della crisi dei debiti sovrani dei mercati emergenti durante gli anni ’80 dove non si arriva alla soglia di quasi la metà dei paesi in default o ristrutturazione ma si arriva ancora a più o meno il 40%. Quindi, storicamente, i default e le ristrutturazioni del debito sono “affari” di lungo corso che divisi in cicli di default, come fatto nel grafico riportato dello studio segnalato, hanno coinvolto anche quasi fino alla metà degli Stati esistenti in un dato periodo.

Quindi, in questi giorni nei quali si parla molto del default dell’Argentina come di una colpa grave da imputare a qualcuno, bisognerebbe ricordare che storicamente i default ci sono sempre stati, sono stati ben più gravi ed anche un numero abbastanza elevato e sembra quindi inutile insistere particolarmente nel richiamare lo spettro del default argentino o vantarlo come una vittoria per chi lo aveva previsto. Tanto più che l’Argentina non ha dichiarato default sul debito denominato in propria valuta, bensì su una parte di obbligazioni denominate in dollari americani, che è stata obbligata a pagare per la sentenza di una Corte ed un giudice americano a favore di un fondo speculativo americano (ed a occhio e croce potrebbe non essere stato un “due process” – per dire). Fondo speculativo che come riportato in un articolo ha trecento dipendenti. In una economia completamente finanziarizzata un Hedge Fund, di trecento persone, manda in default una nazione di 41 milioni di abitanti. Se non fosse per le ”alleanze” che gli avvoltoi sanno fare tra di loro in questi casi per speculare ulteriormente sul mercato – ma non si direbbe il caso visto che gli Hedge Fund stanno scommettendo più su una ripresa argentina – che potrebbe andare ancora a scapito dell’Argentina; e per il clamore mediatico che sveglia altri avvoltoi, quelli che “se non le facciamo le riforme strutturali finiremo come l’Argentina”, gli annessi i connessi e chi ci crede (e non sono pochi), il fatto che un Hedge Fund di trecento persone possa mettere alle corde uno Stato di 41 milioni di abitanti per una tranche di obbligazioni denominate in valuta estera e di valore irrisorio rispetto al PIL della nazione, potrebbe sembrare al massimo una barzelletta.

 

Luca Pezzotta di Economia Per I Cittadini 

 

 


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