In realtà il sell-off sul mercato obbligazionario è qualcosa che avevamo preannunciato, in tempi non sospetti, e in questi giorni sta avvenendo esattamente questo.
Quello che segue è, appunto, un estratto di ciò che avevamo già scritto il 26 febbraio scorso.
Come sapete, complici anche la caduta del prezzo del petrolio e le aspettative di uno scenario di bassi tassi di inflazione o, peggio, in alcuni paesi, uno scenario deflattivo, le banche centrali di quasi tutto il mondo si sono messe all’opera in quella che io definisco la più grande operazione di repressione finanziaria mai tentata nella storia dell’uomo. L’abbondante liquidità finita sui mercati, unitamente a tassi di interesse prossimi allo zero in vaste aree del mondo, hanno spinto verso il basso i rendimenti delle obbligazioni, aumentandone i prezzi ad un livello sproporzionato e che, in larga parte, non riflettono i fondamentali economici dei rispettivi paesi. Non entro nel merito del giudizio creditizio e quindi della solvibilità dei singoli stati o enti emittenti: quel che conta, almeno in questa sede, è chiedersi cosa accadrà quando aumenteranno i tassi. Perché, i tassi, prima o poi, saranno destinati ad aumentare.Certo, questo, al momento (fine febbraio, ndr), è un tema poco percepito dall’opinione pubblica e dai risparmiatori. Anche perché sia la Bce e la Boj si trovano in piena manovra espansiva. Ma noi siamo abituati a portarci avanti.
Mentre negli Usa è sempre più acceso il dibattito su un possibile aumento dei tassi da parte della Fed (che probabilmente interverrà da giugno, ma anche no), da quest’altra parte del mondo, al momento, questo scenario è del tutto escluso. Per il momento, si diceva. Ma non lo sarà in eterno.Perché se l’inflazione dovesse rialzare la testa (magari per via di una ripresa del prezzo del petrolio), è chiaro che questo evento modificherebbe il sentiment di mercato sulle attese di un eventuale aumento dei tassi. Mettiamoci anche che, allo stato attuale, una delle cose peggiori che possa capitare nel contesto dell’Eurozona, è quella di avere dinamiche inflattive significativamente divergenti tra i paesi mediterranei e quelli della zona core. Nel senso che, quando sarà il momento, se i livelli di inflazione dei paesi core dovessero mostrarsi significativamente superiori (magari grazie ad una maggiore attività economica) rispetto a quelli dell’area mediterranea, aumenterebbero anche le pressioni verso la Bce affinché adotti una politica monetaria meno espansiva o addirittura restrittiva.
E, sempre in tempi non sospetti, avevamo già scritto a proposito delle perdite che avrebbero subito gli investitori in obbligazioni.
A mero titolo esemplificativo, questo significa che se l’inflazione dovesse risalire al 2% (come vorrebbe la Bce), tale dinamica si rifletterebbe anche sui rendimenti dei titoli di stato di nuova emissione, che verrebbero emessi a tassi superiori rispetto a quelli attuali. Per contro, i prezzi dei BTP emessi a tassi bassi, dovranno scendere per essere competitivi rispetto ai BTP di nuova emissione.Di quanto? Dipende da molti fattori, ma sempre a mero titolo esemplificativo e senza pretesa di essere esaustivi, se i BTP di prossima emissione dovessero essere emessi a tassi di un punto superiore rispetto al rendimento di un BTP della stessa scadenza e analoga vita residua, allora il prezzo di quest’ultimo dovrà scendere dell’1% per ogni anno che manca alla scadenza.Se mancano 10 anni perché emessi di recente, dovranno scendere di circa il 10%. Se i BTP di nuova emissione, invece, dovessero essere messi con due punti in più di rendimento,allora i prezzi dei BTP già emessi e con vita residua analoga alle nuove emissioni, dovranno scendere del 20%.Paolo Cardena’ di Vincitori e Vinti