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GLI SPREADATORI DEL BOT PERDUTO (VOL. 4)

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Se siete arrivati fino a qua, tenete duro perché adesso arriva il bello. Abbiamo capito, finora, che lo spread è una brutta bestia, ma può farci male fino a un certo punto. Diciamo che ha lame molto appuntite, ma che non possono ferire il debito pubblico italiano già emesso: solo quello di nuova emissione. Quindi, è falso sostenere che un aumento dello spread tra BTP e BUND tedeschi (e cioè,  in linea di massima, del rendimento dei BTP di vecchia emissione), provochi un aumento dei rendimenti su tutto il debito pubblico italiano. L’impatto riguarderà solo i titoli di nuova emissione. Allora, poniamoci una domanda elementare. Quanto ci vorrà perché i titoli di nuova emissione – i quali, in un periodo di fibrillazione come quello attuale, tendono a un rialzo dei rendimenti (prezzo+cedole) – sostituiscano tutti i titoli precedenti? Almeno sette anni.

Un recente studio di Unicredit del maggio 2018 aveva simulato lo scenario attuale, cioè un aumento di 100 punti base dello spread (da maggio a oggi è avvenuto proprio questo).  Il costo medio del ‘funding’ (cioè del tasso a cui lo Stato si finanzia) salirebbe all’1,10%; significa una percentuale di gran lunga inferiore  a quella media dei bond che arriveranno a scadenza nel 2018 (2,23%). Ma il pessimista dice: dal 2019 la BCE non farà più quantitative easing, cioè non ci comprerà più i BTP nei mercati secondari. Voi capite bene che questa operazione della BCE era tutto ossigeno per noi, perché – come usa dire – calmierava i mercati.  Ebbene, secondo lo studio di Unicredit, i nostri titoli vedrebbero un rialzo del loro rendimento dell’1,53% per le scadenze medio-lunghe. Intanto, però, arrivano a scadenza vecchi titoli emessi anni fa che ci costavano mediamente il 2,25%. Se sostituisco un mutuo dove pago un interesse del 2,25 per cento con un mutuo dove pago un interesse dell’1,53 per cento secondo voi ci perdo o ci guadagno? Ovviamente ci guadagno. Vallo a spiegare a Martina, al PD e a tutte le Cassandre in libera uscita in questi giorni.

Ma lo studio di Unicredit ha immaginato anche il canovaccio peggiore: rendimento medio dei nuovi titoli del 2,53 per cento.  Anche in tal caso, l’impatto sarebbe impercettibile per le finanze statali. Per Unicredit il costo medio resterà sotto il 3 per cento fino al 2025 mentre era al 4 per cento nel 2012. Tutto ciò per dire che questo spread – quando cominci a studiarlo come un entomologo studierebbe uno schifosissimo insetto – non fa poi così schifo. Semmai, fa schifo il sistema che lo ha concepito (con l’intenzione di subordinare la sopravvivenza di uno Stato alle insindacabili decisioni dei Mercati). Ma a noi non basta, vogliamo andare a fondo della faccenda e farci un’altra domanda. Come diavolo vengono decisi i ‘prezzi’ dei BTP? Anzi, da chi diavolo vengono decisi? La risposta, lo vedremo, è più diabolica della domanda.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

 


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