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Il “giusto prezzo”

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disoccupati

 

 

 

La mia Capitanata è una terra a vocazione agricola da millenni e buona parte della popolazione è direttamente o indirettamente coinvolta nel settore primario per eccellenza. Ho diversi parenti e amici che hanno oliveti e vigneti e che con questi sostengono le loro famiglie, sperando che il tempo li accompagni e che i prezzi di vendita siano decenti.

Grazie alla liberalizzazione che i #mercati hanno imposto all’Italia tramite la U€, l’eccellenza enogastronomica nostrana è stata messa in concorrenza con prodotti provenienti da Regioni e Paesi che sono MOLTO al di sotto ai nostri standard di vita e tutto ciò ha portato ad una sensibile e costante riduzione dei margini, costringendo in molti casi gli operatori nazionali a lasciar marcire il raccolto nei campi o sulle piante. È accaduto con le olive/olio provenienti ad es. dalla Turchia, con gli agrumi del Magreb, con il pomodoro cinese, con il grano dell’Europa dell’est, con il riso vietnamita e con troppe altre cose. La qualità di detti prodotti importati è innegabilmente meno pregiata o spesso propriamente scadente ma, soprattutto di questi tempi, un prezzo più conveniente è vincente al supermercato e la gente troppe domande non può più porsele. La conferma arriva dai dati annuali di ISTAT che ci dicono di un costante e inarrestabile calo della spesa anche per il cibo, con il crollo delle vendite dei supermercati (-4%) ma ancor di più degli ipermercati (-4.4%), mentre le catene a basso costo (discount) vedono crescere i loro fatturati in modo molto lieve (+0.4%).

Il prezzo per un quintale di olive nel foggiano, nel 2013, è variato dai 28 ai 42 euro. Prezzo che, soprattutto nel massimo periodo di raccolta, arrivò ai già citati €28 non ti fa coprire neanche le spese sostenute. Faccio presente che la resa per ogni quintale di olive varia da frutto a frutto: va dai 13 litri per le migliori qualità sino ai 18/20 per talune meno pregiate. L’olio extravergine che uscì dai frantoi lo scorso anno è stato venduto tra i 4 e 5 €uro per litro. Lo scorso anno tutti i possessori di piccoli chiuseti hanno preferito macinare, cercando in questo modo di aver miglior remunerazione dal loro anno intero di fatiche.

Quest’anno, complice la brutta stagione e qualche insetto di troppo, la quantità e piuttosto scarsa e il prezzo per quintale è schizzato a 60€.

Tutto questo ragionamento serve ad affermare ancora una volta che “il giusto prezzo” non esiste, poiché le variabili da tenere sotto controllo sono troppe e troppo divergenti. Tutto è legato a domanda VS offerta: quando queste due variabili si incontrano scaturisce il “giusto prezzo”. Una marginale scarsità di prodotto, qualsiasi esso sia, tende a far alzare il suo prezzo. Così fu per il petrolio negli anni ’70 (e fu per quel motivo che nei Paesi industrializzati l’inflazione galoppò, ad eccezione di Germania e Giappone che preferirono fare deflazione interna, facendo pagare alla classe lavoratrice il salatissimo conto).

I #mercati come si difendono? Abbattendo qualsiasi vincolo creato per proteggere lavoratori, economia e alla fine Stato nazionale, mettendo in concorrenza prodotti provenienti dove la componente “manodopera” è infinitamente meno onerosa. La giornata di un bracciante agricolo nel foggiano costerebbe intorno ai 50/60 €uro netti ma con la crisi che c’è si arriva a pagare anche meno di 40: con 3 sole giornate lavorative paghi per un mese un omologo tunisino: vuoi mettere?

Deve essere uno Stato degno di questo nome a fare in modo che ciò non avvenga e gli strumenti a disposizione ci sono sempre stati. Tutto questo esisteva in Italia sino a quando non si decise di aderire al progetto ammazza popoli denominato U€.

Questa teoria è applicabile per qualsiasi merce: quello che sta accadendo sul mercato del lavoro è un limpido esempio: tanto più ALTA sarà la disoccupazione e tanto maggiormente i lavoratori si accontenteranno di paghe più BASSE. Così BASSE  da poter competere sui mercati internazionali con l’olio turco o col limone magrebino.

CONFINDUSTRIA  dice cche è necessario tagliare le tasse, e in effetti è vero, ma …. per comprimere i costi del lavoro tanto da metterli in linea con la “concorrenza” NON vi è abbattimento di tasse che tenga. A meno che non si intenda SMANTELLARE completamente lo Stato, negando anche i servizi basilari come sanità, istruzione e quel poco di stato sociale che ancora ci resta. Ma forse è proprio quello che vogliono: lo scopo è impossessarsi dei MONOPOLI che scaturirebbero da tutto ciò, trasformandoli in oligopoli, così come accaduto per telefonia, assicurazioni, banche ecc.

In pratica e detto brutalmente, la gente che lavora è a tutti gli effetti MERCE.

Cari amici, siamo carne da macello. Le riforme varate non sono che l’antipasto di quelle che verranno in futuro.

Per comprimere i costi del lavoro tanto da metterli in linea con la “concorrenza” NON vi è abbattimento di tasse che tenga. A meno che non si intenda SMANTELLARE completamente lo Stato, negando anche i servizi basilari come sanità, istruzione e quel poco di stato sociale che ancora ci resta. Ma forse è proprio quello che vogliono per impossessarsi dei MONOPOLI che scaturirebbero da tutto ciò.

Senza le barriere di protezione necessarie e senza che si riesca a riportare le aziende a produrre nuovamente in loco, SOPRATTUTTO per gli italiani, torneremo al basso medio-evo nell’arco di qualche lustro.

Contrariamente a quanto dicono, una Nazione grande come l’Italia non può vivere SOLO di esportazioni e turismo. Senza un florido mercato interno siamo destinati ad essere gli schiavi di qualche multinazionale apolide.

Roberto Nardella.


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