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Gestori o Amministratori? di Alessandro M. Rinaldi

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Si è notata e soprattutto sentita, in occasione dei rinnovi dei consigli di amministrazione delle società quotate(Tim per esempio), una campagna, promossa da alcuni azionisti forti ( in termini di voce più che di azioni), per candidare rappresentanti dei fondi comuni d’ investimento.

In più di un occasione è stato proposto l’ inserimento nel board di amministratori indipendenti di nomina dei fondi attivisti. A questi, quindi, il compito di esercitare un autorevole peso nelle decisioni strategiche e nelle delibere consiliari al fine di proteggere la comunità indifesa dei piccoli risparmiatori che hanno affidato i loro risparmi a quello straordinario strumento di investimento collettivo che sono appunto i fondi.

Cosicché il mercato potrà stare più tranquillo ora che, a supervisionare gli amministratori delle società quotate,sono presenti i professionisti, gli accademici, i tecnici egli indipendenti in rappresentanza dei gestori, che agiscono da guardiani agli investimenti effettuati dal Fondo per delega discrezionale affidata dai piccoli risparmiatori.

Contrariamente però a quanto esperti finanzieri ed autorevoli azionisti di controllo hanno pensato, proposto o invitato a candidare, credo che il mestiere dei gestori dei Fondi non sia proprio quello descritto.    O meglio, non credo che i conflitti di interessi tra soci grandi (o consorziati), le società ed i piccoli risparmiatori possano comporsi mediante la nomina, nel consiglio d’ amministrazione delle società quotate ad azionariato diffuso, di rappresentanti di Fondi e/o categorie di Fondi di investimento.

Di controllori e supervisori ce ne sono anche troppi, se consideriamo che, oltre al ruolo istituzionale delle Autorità di Controllo, come la Banca d’ Italia per le banche, l’ IVASS per le assicurazioni e la Consob per tutte le quotate, vi è inoltre un esercito di professionisti e di dipendenti che sono impiegati nel rispetto delle “regole”di corporate governance: revisori esterni, collegi sindacali, internal audit, comitati di sorveglianza, ispettori del controllo interno, compliance, ecc.

I Fondi, e quindi – chiamiamoli per nome – i Gestori, dovrebbero a mio avviso svolgere l’ attività di investimento delle disponibilità raccolte da una moltitudine di risparmiatori, attraverso la selezione di aziende con prospettive di redditività e/o rivalutabilità,adottando quelle metodologie di valutazione, personalizzate per stile e rischio, che si basano,comunque, tutte sull’ analisi dei bilanci, sulle strategie e sulla valutazione del management, ed infine esprimere il loro giudizio pubblicamente in Assemblea, votando a favore o contro, oppure scegliere liberamente, in via più riservata, sulla vendita, sull’ incremento o mantenimento dei loro investimenti.

I Fondi non dovrebbero partecipare ( anche indirettamente ) alla gestione diretta od alla formazione delle strategie e tanto meno alla redazione dei bilanci, perché essi debbono essere liberi di giudicare di entrare o di uscire dall’ investimento, e poter quindi puntare su altre opportunità.

Cosa succederebbe se un gestore di un Fondo, che ha un rappresentante nel Consiglio di una Banca o di una Assicurazione, decidesse  di diminuire o vendere completamente le azioni in portafoglio poiché ha una scarsa redditività ?  

O, ancora, come si comporterebbe quello stesso rappresentante di fronte alla scelta effettuata dallo stesso gestore di acquistare azioni di un’ altra banca o assicurazione o società di telecomunicazione che dovesse decidere una scalata ostile, o una strategia commerciale aggressiva, in contrasto con la prima ?  

Non sarebbe conflitto d’interesse per il Fondo partecipare ad un board di un ente quotato e venire poi a sapere, tramite i suoi rappresentanti, quali sono le strategie di bilancio o quelle commerciali, quando lo stesso Fondo, per il principio della diversificazione, valuta l’ investimento in altre società analoghe e concorrenti ?

Il Fondo si troverebbe bloccato ( insider o politica di gruppo ?) e non potrebbe più agire nell’esclusivo interesse dei sottoscrittori in modo veramente libero ed indipendente in ottemperanza ai corretti principi di investimento.

Questa richiesta di coinvolgere e far partecipare ai consigli di amministrazione chi detiene grosse disponibilità (non proprie ma in amministrazione per conto terzi), spero non sia un altro modo per trovare comunque un solido parcheggio al servizio delle strategie di quei gruppi che, molto spesso, non si possono permettere di investire o non possono assumere palesemente il controllo delle aziende. Non sono casi isolati quelli dove il consiglio prende atto di una delibera studiata e decisa altrove.

Il dibattito sul conflitto d’ interesse si complica se esaminiamo, a livello di sistema, che il patrimonio netto delle società di gestione ammontava a fine 2017 a circa 2.090 mld di euro, di cui la metà in Fondi.  Il 50% di questa massa fa riferimento ai primi 3 gruppi (Gruppo Generali, Gruppo Intesa, Amundi) ed il resto è suddiviso da oltre 50 intermediari finanziari. Questi stessi gruppi finanziano e coordinano tutte le maggiori operazioni finanziarie delle principali aziende del nostro Paese.

In altri mercati finanziari, è addirittura vietato dall’Autorità di Controllo inserire i rappresentanti dei Fondi nei consigli delle società quotate.  Mi risulta che, in Usa, la Federal Reserve , congiuntamente alla Sec, a seguito degli scandali finanziari degli ultimi anni, abbiano dettato delle regole molto restrittive al fine di eliminare questi conflitti di interesse. In un articolo apparso qualche tempo fa sul Wall Street Journal Europe, il consigliere generale di uno dei più noti Fondi Pensione Californiani,  criticava il metodo di selezione degli amministratori, che per anni venivano indicati dai chief executive delle stesse società, alimentando un circolo incestuoso di sudditanza. Negli ultimi anni però, negli USA, alla luce degli scandali sui conflitti d’interesse, la responsabilità è stata sempre più sottratta al top management, per evitare che questi ultimi siano controllati da quelle stesse persone da loro designate.

Pertanto a ciascuno il suo mestiere, in funzione delle sue finalità e della sua professionalità : agli amministratori quello di gestire un’azienda e proporre business plan credibili puntando alla massimizzazione del valore dell’ impresa, selezionando gli investimenti redditizi, adottando una politica dei finanziamenti tendente a minimizzare i costi del capitale e scegliere una politica dei dividendi premiante per l’ azionista; ai gestori quello di valutare l’operato dei primi attraverso l’ analisi dei risultati.

Non credo che la commistione dei due, seduti intorno allo stesso tavolo, porti beneficio ai risparmiatori; al contrario, costituirebbe per gli amministratori l’ alibi per la condivisione delle politiche di bilancio, e per i gestori l’ impossibilità di intraprendere un onesto dibattito.

E chi  si preoccupa dei risparmiatori ?

Non disperiamo, a loro resta sempre una potente arma : vendere le quote di quei Fondi !

Alessandro M. Rinaldi

* Docente di Metodi Finanziari per la Borsa al Master in Ingegneria per l’Impresa – Tor Vergata . Roma, e CEO della GBL Fiduciaria, Gruppo Credit Agricole Indosuez Wealth Europe.


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