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GERMANIA, LA STELLA CADENTE (di Marcello Bussi)

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Esportazioni -5,2%, ordini all’industria -1,8%, produzione industriale -1,2%. Un agosto da dimenticare per la Germania. E settembre è andato ancora peggio; è il mese in cui è scoppiato lo scandalo Volkswagen, i cui effetti cominceranno a vedersi solo a partire dai dati macroeconomici di ottobre.

Interrogato sulla vicenda, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha detto senza mezzi termini che è «stato compromesso l’export della Germania». E secondo Marcel Fratzscher, presidente del think tank economico Diw, «il danno all’immagine di Volkswagen sarà costoso, non solo negli Usa ma a livello globale. Conseguentemente sono minacciati posti di lavoro in Volkswagen e in molti dei suoi fornitori in Germania». Eppure è davvero difficile quantificare gli effetti del Dieselgate. Ha provato a farlo Credit Suisse, stimando nello scenario base uno 0,2% in meno per il pil tedesco nel quarto trimestre, mentre nel caso in cui venisse intaccata in misura sostanziale la reputazione del marchio Germania, verrebbe sottratto al pil uno 0,8%. C’è quindi il serio rischio che la prima economia del Vecchio Continente cada in recessione, con tutte le prevedibili conseguenze negative sull’andamento dell’intera Eurolandia.

Ecco perché venerdì 9 ottobre al meeting annuale del Fondo Monetario Internazionale a Lima il presidente della Bce, Mario Draghi ha ribadito: «Stiamo monitorando da vicino ogni rilevante nuova informazione e siamo pronti a usare tutti gli strumenti disponibili all’interno del nostro mandato per agire, se necessario, in particolare aggiustando l’entità, la composizione e la durata del programma di acquisto di asset».

Un annuncio sulla durata del Quantitative easing oltre il settembre 2016 avrebbe effetti ben scarsi, visto che fin dal lancio del programma era stato messo in chiaro che esso sarebbe continuato se a quella data non fosse stato raggiunto l’obiettivo di un’inflazione di poco inferiore al 2%. Inevitabile, quindi, agire sull’entità e sulla composizione: l’aumento dagli attuali 60 miliardi di euro al mese può realizzarsi solo allargando la platea dei bond acquistabili, inserendo nell’elenco anche quelli emessi da società la cui maggioranza è in mano a soggetti privati (attualmente la Bce compra solo obbligazioni di imprese a partecipazione statale, come Cdp, Snam , Terna , Ferrovie dello Stato o Enel ). E a questo punto si possono aprire le scommesse su chi entrerà nell’elenco. Sempre a Lima il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha risposto così all’inviata di Class Cnbc, Silvia Berzoni, su quanto debba preoccupare il rallentamento della Germania: «Dobbiamo avere una visione complessiva della zona euro. Ci sono Paesi che stanno decelerando, come la Germania, e ci sono Paesi, come l’Italia, che stanno accelerando. Questo sorprende un po’ tutti, soprattutto gli investitori e osservatori internazionali. Dal punto di vista del governo questo conferma quanto continuiamo a pensare, cioè che la potenzialità di crescita dell’Italia sia elevata e piano piano si farà sentire». La risposta denota una certa Schadenfreude, parola tedesca che indica il piacere provocato dalle disgrazie altrui. Nella stessa occasione Padoan non ha mancato di sottolineare come Berlino abbia iniettato ben 200 miliardi nelle banche tedesche, mentre quelle italiane non hanno mai ricevuto aiuti di Stato.

A proposito di banche, vale la pena ricordare che giovedì 8 Deutsche Bank  ha annunciato una perdita di 6,2 miliardi nel terzo trimestre e per cercare di evitare un nuovo aumento di capitale per la prima volta in 60 anni non distribuirà dividendi. Il colosso tedesco dovrà inoltre accantonare 1,2 miliardi per multe e sanzioni. Deutsche Bank  a fine aprile ha definito un accordo con le autorità americane per chiudere lo scandalo della manipolazione del Libor, staccando un assegno da 2,5 miliardi di dollari. Una situazione delicata, che il giugno scorso ha spinto Standard & Poor’s a ridurre il rating della banca tedesca a BBB+, livello più basso di quello assegnato a Lehman Brothers nei tre mesi precedenti il crollo.

Dunque due dei simboli dell’economia tedesca, Volkswagen e Deutsche Bank , sono in difficoltà. La cosa peggiore è che non si parla solo di conti; qui è stata intaccata la reputazione. La Germania ha fatto dell’affidabilità a 360 gradi la sua caratteristica. E ora che viene messa in dubbio le fondamenta su cui ha costruito il proprio predominio, non solo economico ma anche morale sul resto d’Europa, rischiano di collassare. Al punto Romano Prodi, ex presidente della Commissione Ue, ha detto che «il caso Volkswagen ci obbliga a riflettere» perché «si tratta di una violazione esercitata in un ambito particolarmente delicato, quello dell’inquinamento, nel quale l’Europa, sotto la guida tedesca, ha imposto a tutti regole severe e ha preteso di essere un esempio di coerenza e rigore».

Seguendo questo ragionamento, come può quindi Berlino dettare l’agenda ai corrotti greci se poi essa stessa ha molto da farsi perdonare? Qualcuno ha già parlato di una trasformazione da Bundesrepublik a Lügenrepublik, la Repubblica delle Balle. Fino a ieri la Germania risultava costantemente tra i Paesi con il più basso livello percepito di corruzione. Una percezione che non era stata intaccata nemmeno dal clamoroso scandalo Siemens , scoppiato nel 2006 con dispiegamento in grande stile di bustarelle distribuite in tutto il mondo (molte in Grecia, che combinazione) per aggiudicarsi appalti. Si dimisero il presidente Heinrich von Pierer e l’ad Klaus Kleinfeld. E alla fine il gruppo dovette ammettere pagamenti in nero per 1,3 miliardi. E in Italia si è continuato a guardare con ammirazione alla serietà dei politici tedeschi nonostante il clamoroso caso del nuovo aeroporto di Berlino. Parto del sindaco della capitale, Klaus Wowereit, che proprio a causa di questo scandalo alla fine dell’anno scorso si è dovuto dimettere, l’aeroporto avrebbe dovuto aprire nel 2012 ma a oggi non è ancora stato ultimato. Nel frattempo i costi sono saliti da 2,5 a 5,4 miliardi. Si spera che la stessa efficienza non venga applicata ai 14 aeroporti greci, tutti quelli delle isole a maggiore attrazione turistica, venduti lo scorso agosto alla tedesca Fraport.

E ormai è sbiadita anche l’aura di invincibilità di Angela Merkel. La metamorfosi in Madre Teresa di Calcutta (con queste sembianze la Cancelliera è stata rappresentata su una copertina di Der Spiegel) è avvenuta grazie alla sua disponibilità ad accogliere tutti i profughi siriani. Mal gliene incolse. Pochi giorni dopo aver chiesto alle case automobilistiche tedesche di dare lavoro ai rifugiati, è scoppiato lo scandalo Volkswagen. E ora i suoi partner di governo, fino a ieri molto remissivi, i socialdemocratici Sigmar Gabriel e Frank-Walter Steinmeier, proclamano: «Dobbiamo far sì che i numeri dell’immigrazione in Germania ricomincino a scendere». Mentre Carsten Brzeski, capo economista di Ing, ha evidenziato tra i fattori di rischio per l’economia tedesca proprio il massiccio afflusso di rifugiati. Insomma, in meno di un mese la stella della Germania ha smesso di brillare. Ma è inutile illudersi che Berlino conceda ai partner europei di abbandonare le politiche di austerità per cercare una ripresa che ormai sfugge di mano alla stessa Germania.

Marcello Bussi, pubblicato da Milano Finanza 10.10.15


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