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Germania: chiama i politii “Parassiti” sui social media, il giorno dopo ha la polizia in casa

Perquisizione all’alba per un post su X in cui un cittadino definiva i dipendenti pubblici “parassiti”. Quando la lotta all’hate speech soffoca il dissenso fiscale. Un precedente inquietante per la libertà di parola in Europa.

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La libertà di espressione, pilastro delle democrazie liberali, sta subendo una progressiva erosione nel Vecchio Continente. Sotto la (spesso legittima) bandiera della lotta all’Hate Speech, le normative nate per limitare l’odio tendono a trasformarsi in strumenti malleabili nelle mani di burocrazie e governi, utili a sopprimere il dissenso e la critica politica non allineata. Un caso clamoroso, che farebbe sorridere se non fosse così inquietante, arriva dalla Germania, paese noto per la sua rigorosa, talvolta eccessiva, applicazione della legge.

Il Caso Tedesco: chiamare “Parassiti” i politici vi porta la polizia in casa

Protagonista della vicenda è un operatore sanitario di 45 anni, identificato come “M.” in rispetto delle leggi sulla privacy tedesche. L’uomo, il 29 settembre scorso, ha pubblicato un post sulla piattaforma X (ex Twitter) esprimendo una frustrazione piuttosto comune sul sistema fiscale e sulla macchina statale.

Il post, dal tono certamente caustico ma di chiara matrice polemica sulla gestione della cosa pubblica, recitava:

“No, chiunque sia finanziato dallo Stato non paga tasse nette; vive di tasse. Ogni dipendente pubblico, ogni politico, ogni dipendente in un’impresa statale, chiunque sia sovvenzionato e finanziato dallo Stato. Non un singolo parassita paga tasse nette.”

L’azione della giustizia non si è fatta attendere. Alle 6 del mattino del 13 novembre, due agenti si sono presentati a casa sua nel Baden-Württemberg con un mandato di perquisizione per incitamento all’odio (Volksverhetzung), un reato severamente punito dalla legge tedesca.

La metodologia dell’indagine: dall’ironia al grottesco

L’intervento è stato di una meticolosità quasi grottesca, considerando l’oggetto del contendere: la critica (sferzante) alla spesa pubblica e al sistema di redistribuzione keynesiana.

  • L’Ultimatum: A M. è stata offerta la scelta tra consegnare immediatamente il telefono e il codice PIN, o subire la perquisizione dell’intero appartamento. Ha ceduto.

  • L’Identificazione Coatta: In centrale, gli sono state prese le impronte digitali e foto segnaletiche. Agli agenti, non è bastato: “Ho dovuto denudare la parte superiore del corpo in modo che potesse essere fotografata anche una cicatrice dell’appendicectomia,” ha riferito l’uomo al quotidiano Die Welt. Una pratica francamente ridicola, visto che era già riconosciuto.

Questa esagerazione nelle procedure investigative per un post su un social network è il primo, inquietante, campanello d’allarme sullo stato della libertà di dissenso in Europa.

Il “Dissenso fiscale” e l’ombra del “Parassita”

Il nocciolo della questione ruota attorno al termine “parassita”. Sebbene gli inquirenti non abbiano formalmente spiegato la base dell’accusa, i media locali hanno suggerito un collegamento con l’uso che i nazisti facevano del termine. L’uomo respinge ogni associazione con l’estremismo, dichiarando: “Disprezzo la violenza. Disprezzo l’estremismo. Disprezzo il nazionalsocialismo, il socialismo e il comunismo”.

Aldilà della terminologia infelice, la tesi di M. tocca un punto chiave del dibattito economico-fiscale: la sua definizione è sbagliata, ma se mettiamo in prigione tutti quelli che pensano che una fetta dei dipendenti pubblici sia un “parassita”, cioè viva sulle spalle altrui, rischiamo di riempire le carceri.

Chi è finanziato al 100% dallo Stato è, per definizione, un percettore netto di flussi fiscali: il suo reddito deriva integralmente dal prelievo fiscale operato sul settore privato. L’uso del termine “parassita” è un modo rozzo e populista di descrivere il trasferimento di ricchezza. Tuttavia, elevare questa critica, per quanto aspra e grezza,  a reato di incitamento all’odio è un’azione che il suo avvocato, Marcus Pretzell, ha giustamente definito “assurda e illegale”.

La vera preoccupazione non è la parola usata, ma l’impiego della macchina statale – con perquisizioni all’alba e richieste di campioni biologici – per silenziare chiunque osi sollevare dubbi sulla sostenibilità della spesa pubblica e sul carico fiscale. Un precedente che rischia di rendere il dibattito democratico in Europa pericolosamente sottile e uniformato.

Domande e Risposte

Qual è il fondamento legale dell’accusa di “incitamento all’odio” in questo contesto?

Il reato di “incitamento all’odio” (Volksverhetzung) in Germania è ampio e punisce chi incita all’odio contro gruppi specifici o ne oltraggia la dignità. Nel caso di M., l’accusa è verosimilmente legata all’uso storico e diffamatorio del termine “parassita”, utilizzato in passato per vilificare intere categorie sociali. Questo estende la protezione legale dai gruppi basati su razza o religione fino a includere potenzialmente intere categorie professionali (i dipendenti statali), trasformando la critica politica in un reato penale.

Cosa si intende, in termini economici e fiscali, per non pagare “tasse nette”?

Il concetto si riferisce al bilancio fiscale netto di un individuo. Un individuo paga “tasse lorde” (ritenute, IVA, etc.), ma se il suo reddito deriva interamente da un finanziamento statale (stipendio pubblico, sussidi, ecc.), egli è un percettore netto di fondi pubblici. Le sue tasse sono semplicemente un rientro parziale di denaro già prelevato dalla fiscalità generale. In sostanza, il dipendente pubblico contribuisce contabilmente, ma non genera nuova ricchezza netta da tassare, essendo un elemento della spesa pubblica stessa.

Quali preoccupazioni solleva un’azione di polizia così invasiva per un post sui social media?

L’invasività (perquisizione all’alba, sequestro del telefono, richieste di impronte e foto di cicatrici) è sproporzionata rispetto al reato contestato, che è un’espressione verbale. Questa tattica ha un forte effetto intimidatorio (chilling effect): dissuade altri cittadini dall’esprimere critiche politiche o fiscali dure, temendo ritorsioni estreme. L’obiettivo percepito non è punire un crimine grave, ma scoraggiare il dissenso, minando la fiducia nelle libertà civili fondamentali.

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