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Esteri

Il futuro dell’euro è in forte dubbio mentre il centro franco-tedesco si sbriciola

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Dan O’Brien sull’Independent analizza la crescente tensione tra Francia e Germania, osservando una cosa talmente ovvia che in Italia l’ha detta solo Goofy: una moneta nata per unire l’Europa e contenere l’egemonia tedesca sui propri partner, sta ottenendo risultati diametralmente opposti. Al punto che un importante ministro francese richiama gli spettri della Resistenza al nazismo. Questa e molte altre considerazioni portano a una conclusione inevitabile: l’eurozona è destinata a disgregarsi, prima o poi.
Quanto sarebbero diverse le cose in Irlanda e in Europa, oggi, se l’euro non fosse mai nato? Data l’enorme importanza – politica, economica e finanziaria – di paesi sovrani che condividono una moneta, è difficile persino fare congetture su come potrebbe apparire il mondo se i paesi europei avessero tenuto le loro sterline, franchi, marchi, lire e pesetas. Ma si può dire con un elevato grado di certezza che un evento molto significativo, che ha avuto luogo lo scorso fine settimana, non sarebbe accaduto.
Questo avvenimento è stata la straordinaria critica pubblica alla Germania da parte di un importante ministro del governo francese. Il ministro dell’economia, Arnaud Montebourg, ha detto in una riunione del partito socialista: “la Francia è la secondo economia più grande dell’Eurozona – la quinta più grande potenza mondiale – e non intende allinearsi alle eccessive ossessioni dei conservatori tedeschi”.
Egli ha proseguito chiedendo una  “giusta e sana resistenza” alle politiche di austerità, secondo lui imposte  dal governo tedesco (che, come spesso accade, è una coalizione destra-sinistra di conservatori e socialdemocratici) sul resto dell’Europa. Indipendentemente dal fatto che egli abbia ragione o meno sulla questione politica, è difficile pensare a un membro di un governo europeo che ne attacca apertamente un altro in questo modo. È impossibile pensare che qualche membro un partito storicamente impegnato nel riavvicinamento Franco-tedesco che possa farlo. Il fatto che Montebourg abbia alluso alla seconda guerra mondiale parlando di “Resistenza” è ancora più stupefacente.

Nell’ultimo mezzo secolo, il superamento della sanguinosa storia di questi due paesi con tre guerre tra il 1870 e il 1944, è stato un imperativo per entrambe le nazioni. L’attacco illustra lo stato terribile delle relazioni franco-tedesche, che sono state il rapporto bilaterale europeo più importante nell’era successiva alla seconda guerra mondiale. Ciò preannuncia guai seri per l’Irlanda – e per tutti gli altri paesi nell’eurozona – se Parigi e Berlino non riescono ad andare d’accordo, la moneta unica e l’intero progetto di integrazione europea sono in pericolo.

Ma ecco la grande ironia di tutto ciò – una valuta che è stata progettata per riunire l’Europa e contenere il potere della Germania unita, sta ottenendo esattamente l’opposto. L’inevitabile necessità di regole condivise nell’area valutaria porta a scambi di accuse che stanno avvelenando i rapporti fra i suoi membri. Questa tendenza è evidente già da tempo nella periferia europea, ma ora si è diffusa al centro franco-tedesco. Queste recriminazioni potrebbero svanire se l’economia europea si riprendesse per proprio conto o se venissero implementate delle modifiche di politica economica sostenute da tutti i paesi. Ma se non dovesse accadere nessuna di queste due cose, il centro franco-tedesco della zona euro si indebolirà ulteriormente e probabilmente aumenterà ancora in entrambi i paesi il consenso verso i partiti favorevoli all’uscita dall’euro – compreso il Front National francese, che ha già il consenso di 1 elettore su 4.

Una ragione ancora più fondamentale per essere pessimisti sul futuro dell’euro è la difficoltà di trovare un modo condiviso di gestione del progetto euro, data la divergenza tra i due paesi sulla maggior parte delle questioni economiche. Mentre ci sono delle cose in comune a entrambi i lati dello spettro politico dei due paesi – come la fiducia  in una robusta presenza del settore pubblico nella fornitura dei servizi di sanità, istruzione e welfare – ci sono molte più differenze che somiglianze. Mentre i tedeschi hanno sempre visto la concorrenza del mercato come un mezzo per aumentare l’efficienza e la prosperità, i francesi sono notoriamente scettici sulla “mano invisibile” del mercato e da tempo preferiscono istintivamente la mano guida di uno stato forte. Questo vale non solo negli affari interni, ma anche nelle relazioni economiche internazionali. Mentre la Francia è sempre tra i paesi UE più restii a liberalizzare il commercio con altri paesi (inclusi, attualmente, gli Stati Uniti), la Germania è tradizionalmente nel campo pro-liberalizzazione. I loro diversi punti di vista sull’importanza relativa del mercato e dello stato nella vita economica si riflettono anche nelle opinioni sulla gestione macroeconomica. Nessun governo francese, come si ricorda di continuo, ha presentato un bilancio in pareggio da quasi 40 anni, e le proposte di tagliare la spesa pubblica quasi inevitabilmente portano a proteste. I tedeschi, invece, hanno quasi un’ossessione per la disciplina fiscale e un’avversione a “vivere al di sopra dei loro mezzi” – la Germania è una rarità in quanto i politici che promettono tagli possono aspettarsi applausi, piuttosto che proteste. Le tendenze sulla politica monetaria sono diverse tanto quanto quelle sulla politica fiscale. La classe politica francese chiede frequentemente alla Banca Centrale Europea di fare questa o quell’azione, mentre la loro controparte a est del Reno ritiene sacrosanta l’indipendenza dell’autorità monetaria e crede che anche il solo cercare di influenzarla, comprometta tale indipendenza. Anche se l’euro fosse stato un club di soli due paesi – Francia e Germania – una serie dettagliata di regole avrebbero dovuto essere concordate, prima o poi, sulla falsariga del “two pack” e “six pack” che ora governano l’Eurozona. Tali regole sono sostenute da opinioni e ipotesi sulla gestione economica. Poiché la Germania è economicamente e politicamente più forte della Francia, la sua filosofia economica è dominante. Ciò è particolarmente difficile da digerire per i francesi.

Le parole di Montebourg della settimana scorsa sottolineano non solo quanto molti in Francia già pensano,  che le politiche vengono loro imposte, ma anche che lasciare che ciò accada significa subire un’umiliazione, per un paese non incline a sottovalutare la sua grandeur. Questo senso di umiliazione ha svolto un ruolo considerevole nell’ascesa del reazionario Jean-Marie Le Pen – la cui retorica anti-Bruxelles è perfino più estrema di quella della maggior parte dei membri dell’UKIP in Gran Bretagna.

Lo sfogo dello scorso fine settimana ha portato all’allontanamento di Montebourg, insieme ad altri due membri di sinistra del governo che si sono uniti alla sua rivolta. Questo ha costretto, a sua volta, a un secondo rimpasto di governo in soli quattro mesi. La parola “crisi” non riesce nemmeno a descrivere la condizione della presidenza ormai biennale di François Hollande, ridicola perfino per gli standard di un elettorato francese perennemente scontento. Nessun presidente francese ha mai sperimentato gli infimi livelli che Hollande sta attualmente registrando nelle valutazioni di soddisfazione dell’elettorato.

Anche se lo stato dell’economia francese non è tremendo come molti commentatori anglofoni sostengono, è comunque stagnante. Poiché le democrazie moderne sono diventate dipendenti da una costante crescita economica, l’assenza di crescita sta esacerbando le sottostanti tensioni politiche, venute a galla a causa dell’euro.

Ciò non significa che la moneta unica non abbia portato benefici – a causa dell’euro abbiamo più commercio e quindi prosperiamo  (cosa da sempre molto controversa e ormai smentita, NdVdE) e gli europei hanno risparmiato innumerevoli miliardi sulle commissioni di cambio quando viaggiano (un numero grande in assoluto ma irrilevante in termini relativi, come ricordava più di 15 anni fa Bagnai qui ndVdE).  Esso ha inoltre messo fine alle tensioni causate dai paesi che svalutavano le monete nazionali per rubare competitività ai loro vicini (innescando così tensioni a causa dei paesi che possono evitare di rivalutare, rubando così competitività ai propri vicini… ndVdE).

Ma perché un’unione valutaria funzioni, la libertà di manovra in molti aspetti della gestione economica, compresa la libertà di imparare dai propri errori (come la Francia ha fatto con Francois Mitterand nei primi anni ottanta), deve essere sacrificata. Non è chiaro se l’élite politica dell’eurozona abbia pienamente interiorizzato la dimensione del cambiamento avvenuto con l’adesione all’euro. È molto chiaro che l’élite politica francese non l’ha fatto (e forse se l’avesse fatto sarebbe già fuggita dall’eurozona a gambe levate, ndVdE). Ciò, insieme a una serie di altri fattori, porterà – prima o poi – a una rottura dell’eurozona

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