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Fusione nucleare: non basta scaldare il plasma per ottenerla. Ci vogliono più studi
Un nuovo studio pubblicato lunedì sulla rivista Nature Physics può aiutare a spiegare perché la fusione è un rompicapo così difficile da risolvere: nonostante l’utilizzo di modelli al computer avanzatissimi, i ricercatori hanno recentemente scoperto che le particelle nelle reazioni di fusione presso la National Ignition Facility (NIF) degli Stati Uniti si comportano in modo molto diverso rispetto a quanto previsto daal computer. La natura supera ancora l’uomo.
L’energia sembra fuoriuscire dalla reazione in un modo che gli scienziati attualmente non riescono a spiegare, lasciando intendere che potrebbe essere necessaria una comprensione più approfondita della fisica nucleare delle alte energie prima che l’energia di fusione diventi una realtà.
Il NIF, situato presso il National Lawrence Livermore Laboratory in California, utilizza i laser per creare le intense pressioni e temperature necessarie per innescare una reazione di fusione. A differenza dei reattori nucleari a fissione attualmente in funzione in tutto il mondo, che dividono gli atomi di uranio per rilasciare energia, le reazioni di fusione comprimono due isotopi di idrogeno, il deuterio e il trizio, per formare un atomo di elio, lo stesso processo di rilascio di energia che alimenta il Sole.
A gennaio, i ricercatori del NIF hanno annunciato una scoperta: la generazione di un “plasma ardente”. I laser del NIF riscaldano il deuterio e il trizio fino a raggiungere lo stato di plasma della materia, in cui gli elettroni vengono strappati via dai nuclei dei loro atomi, una zuppa calda di ioni. Un plasma è considerato incandescente solo se le reazioni di fusione che avvengono al suo interno forniscono il calore necessario a mantenerle: un plasma che si autoriscalda è un plasma incandescente.
In una nuova analisi, Ed Hartouni, scienziato del Lawrence Livermore Laboratory, e i suoi colleghi hanno scoperto che l’energia rilasciata dal plasma incandescente non corrisponde allo schema di distribuzione previsto dai modelli degli scienziati. Le loro scoperte suggeriscono che c’è qualche altra fonte di energia non termica che contribuisce alla reazione di fusione nel plasma incandescente, secondo il dottor Hartouni. Insomma non basta il calore elevatissimo a creare una fusione nucleare.
“Le nostre simulazioni utilizzano modelli per prevedere l’esito dei nostri esperimenti. Questi modelli si basano su idee teoriche che devono essere semplificate per consentire i calcoli; non possiamo simulare tutti gli [1.000.000.000.000.000.000] ioni singolarmente”, ha detto il dottor Hartouni. “Questo potrebbe essere un segno che i nostri modelli non saranno abbastanza raffinati per prevedere il comportamento delle particelle in questo plasma incandescente, soprattutto quando la resa delle implosioni aumenterà”.
Sebbene vi siano sfide ingegneristiche fondamentali per la costruzione di un reattore a fusione in grado di fornire energia utile – generare il calore necessario per creare un plasma incandescente e poi contenerlo per lunghi periodi di tempo – la soluzione di questi problemi potrebbe semplicemente aprire la porta a ulteriori esperimenti necessari per comprendere la fisica fondamentale del funzionamento della fusione, secondo un articolo di opinione del fisico dell’Università di Roma “La Sapienza” Stefano Atezeni pubblicato lunedì su Nature Physics.
“Il raggiungimento di un plasma incandescente non è solo un passo importante nel lungo cammino verso l’energia di fusione, ma apre anche la strada a indagini su condizioni inesplorate della materia, con risultati talvolta sorprendenti”, ha scritto il dottor Atzeni nel suo articolo. Questo conferma – ancora una volta – che anche dopo l’ingresso nei regimi di plasma incandescente e di accensione, la ricerca sulla fusione non può prescindere dalla fisica sperimentale del plasma fondamentale”. Insomma non basta scaldare il plasma per avere la fusione: prima bisogna conoscere molto meglio il suo comportamento, e questo richiederà tempo ed esperimenti.
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