Europa
Francia paralizzata: Macron, causa della crisi, può esserne la soluzione?
Dopo la caduta del terzo governo in un anno, il presidente francese è isolato. Senza maggioranza e con i veti incrociati di destra e sinistra, il Paese è bloccato. Tra la minaccia di un declassamento del debito e la piazza in fermento, l’unica via d’uscita sembrano nuove elezioni, un rischio mortale per il macronismo.

Emmanuel Macron si ritrova nudo, di fronte alla pubblica opinione. La caduta del governo di François Bayrou, la terza in poco più di un anno dopo quella di Michel Barnier e di Gabriel Attal, lascia il Presidente francese da solo al centro della tempesta politica, finanziaria e sociale che lui stesso ha scatenato. Come può, chi è la causa del problema, essere anche la sua soluzione? È un paradosso squisitamente francese, che rischia di paralizzare la seconda economia dell’Eurozona.
Tutto nasce dalla mossa d’azzardo, rivelatasi un boomerang, delle elezioni legislative del 2024. Macron le volle per “schiacciare” gli estremi, ma il risultato è stato un Parlamento frammentato e ingovernabile. Peggio ancora, la sua alleanza tattica al secondo turno con la sinistra de La France Insoumise (LFI) per arginare la vittoria annunciata del Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen, si è trasformata in un’arma a doppio taglio. Ora, proprio quella sinistra ne chiede la testa, mentre la destra sovranista, sentendosi defraudata, attende con pazienza il colpo del KO.
L’equazione impossibile di Matignon
La crisi attuale ha una radice semplice: il rifiuto ostinato di Macron di coinvolgere nel governo le due principali forze di opposizione, RN da un lato e LFI dall’altro. Senza di loro, la ricerca di una maggioranza si trasforma in un’impresa disperata. Le ali moderate dei Socialisti (PS) e dei Repubblicani (LR) sono alternative, non sommabili: o governi con una, o con l’altra. E nessuna delle due, da sola, garantisce i numeri necessari per la fiducia. È un vicolo cieco. Tra l’altro un governo che seguisse le indicazioni della sinistra rischierebbe di far precipitare nella depressione continua l’economia d’Oltralpe.
Come ha notato con una certa perfidia l’ex presidente Nicolas Sarkozy, Macron ha una “naturale inclinazione a guadagnare tempo e la volontà di voler sempre infilare il piede destro nella scarpa sinistra”. E così, per la terza volta, parte il casting per un Primo Ministro che riesca almeno a far approvare una legge di bilancio, minimizzando l’accaduto come una semplice “crisi parlamentare”. Ma la realtà è ben più grave. Olivier Faure, segretario del PS, pone condizioni inaccettabili, fiutando il rischio di un’alleanza tossica in vista delle elezioni municipali. Sul fronte opposto, i Repubblicani, con Bruno Retailleau in testa, mettono un veto invalicabile a un governo a guida socialista. Né LR né PS vogliono legarsi a una coalizione, ma entrambi temono il ritorno alle urne. Sono condannati a un gioco di veti incrociati che paralizza il Paese.
La pressione dei mercati e della piazza
Mentre a Parigi si consuma il dramma politico, l’orologio corre. Il 12 settembre, l’agenzia di rating Fitch potrebbe declassare il debito sovrano francese, un’eventualità che farebbe tremare l’intera Eurozona. Nel frattempo, i sindacati hanno indetto una giornata di mobilitazione generale per il 18 settembre e il movimento “Bloquons tout” invita i francesi a manifestare il loro dissenso. La caduta di Bayrou è stata accolta da festeggiamenti nelle piazze, un segnale inequivocabile del clima surriscaldato del Paese e di quanto ormai il macronismo e le sue manovre siano lontane dal popolo frances.
L’ex Primo Ministro Gabriel Attal, delfino di Macron, ha ammesso candidamente la pesante responsabilità presidenziale: “Stiamo ancora pagando le conseguenze dello scioglimento, che è stato una vera e propria bomba a frammentazione nella vita del Paese”. Un’ammissione che suona come un atto d’accusa, proveniente dal suo stesso campo. Eppure nessuno ne trae le conseguenze, cioè che bisogna finalmente avere un parlamento che rispecchi il paese, senza trucchi e inganni.
Lo spettro dello scioglimento anticipato
In questo caos, il Rassemblement National è l’unico attore che sembra avere le idee chiare. Marine Le Pen, presidente del gruppo RN all’Assemblea, ha definito un eventuale terzo governo tecnico un “blocco istituzionale del Paese” e ha ribadito che lo scioglimento delle Camere “non è un’opzione, ma un obbligo”. La sua fretta potrebbe avere anche ragioni personali: il suo processo d’appello per il caso degli assistenti parlamentari europei, che potrebbe costarle l’ineleggibilità, si avvicina. Delle elezioni anticipate potrebbero rimescolare le carte a suo favore.
L’idea che un ritorno alle urne sia inevitabile è ormai condivisa da molti, inclusi osservatori del calibro di Edouard Philippe e dello stesso Sarkozy. Ma per Macron, sarebbe un’avventura ad altissimo rischio. I sondaggi danno il suo partito in caduta libera e il RN in forte ascesa, forse addirittura in grado di conquistare la maggioranza assoluta. A quel punto, la coabitazione sarebbe inevitabile e la sua presidenza, di fatto, terminata.
Macron continua la sua ricerca di una “perla rara”, un premier capace di costruire un accordo “da Retailleau a Faure“, come sintetizza un suo collaboratore. Un’impresa che, allo stato attuale, assomiglia più a cercare di quadrare un cerchio. Non potrà essere lui a trovare questa soluzione, perché, in realtà, è lui il problema: la crisi attuale del paese è anche figlia del suo europeismo estremo da un lato e delle politiche climatiche incardinate nell’Accordo di Parigi, da lui voluto e difeso. Come può chi è causa della cancrena del sistema esserne la soluzione?

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