Francia

Francia nel Caos: Lecornu ricomincia le consultazioni. Macron si gioca tutto in tre giorni. Republicains sul filo del rasoio

Il governo più breve della Quinta Repubblica francese è già storia. Lecornu si dimette, ma Macron gli concede tempo fino a mercoledì per un miracolo politico. Intanto, i partiti si sbranano: la sinistra è divisa, la destra chiede elezioni e i Repubblicani snobbano gli incontri.

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Il governo più breve della Quinta Repubblica francese è già storia. Lecornu si dimette, ma Macron gli concede tempo fino a mercoledì per un miracolo politico. Intanto, i partiti si sbranano: la sinistra è divisa, la destra chiede elezioni e i Repubblicani snobbano gli incontri, salvo un colloquio all’ultimo minuto, in privato. Sarà il miracolo che salva Macron?

Un record di cui non andare fieri

Nella politica francese, dove la stabilità è un valore quasi sacro, è stato stabilito un nuovo record: quello del governo più breve della storia della Quinta Repubblica. Sébastien Lecornu, nominato da un Emmanuel Macron sempre più in difficoltà, ha gettato la spugna questo lunedì mattina. Un incarico durato meno di un battito di ciglia, spazzato via da una levée de boucliers, una sollevazione di scudi, da parte di quasi tutto l’arco parlamentare.

La sua nomina, invece di pacificare un’Assemblea Nazionale frammentata, aveva gettato benzina sul fuoco. E così, Lecornu è diventato il premier-lampo. Ma qui la vicenda, invece di concludersi, si complica. Il Presidente Macron, con una mossa che sa tanto di disperazione quanto di tattica, ha sì accettato le dimissioni, ma ha chiesto al suo Primo Ministro dimissionario di condurre “negoziati finali”fino a mercoledì sera. In pratica, gli ha concesso tre giorni di tempo per trovare quella fiducia che non ha mai avuto. Il tempo per ottenere quello che non ha avuto in un mese, la fiducia dell’Assemblea.

Macron prende tempo, ma i francesi sanno che la crisi è colpa sua

Cosa spera di ottenere Macron con questo tempo supplementare? Difficile dirlo. L’Eliseo sembra navigare a vista, sperando in un miracolo laico. Le crepe, del resto, si aprono anche all’interno del suo stesso campo: il Ministro delle Finanze uscente, Bruno Le Maire, per tentare di disinnescare la polemica, si era persino offerto di farsi da parte “senza indugio”. Un segnale inequivocabile del caos che regna nella maggioranza presidenziale.

A leggere la situazione con la lente della storia è l’ex Primo Ministro Dominique de Villepin, che non usa mezzi termini. La colpa, secondo lui, è unicamente del Presidente della Repubblica e del suo “orgoglio”. Macron, dice de Villepin, “detiene le chiavi della pacificazione o del caos” e finora ha usato le divisioni del Parlamento per non cambiare di una virgola la sua politica. Un’accusa pesante, che dipinge il ritratto di un sovrano isolato che rischia di trascinare il Paese nell’ingovernabilità.

I francesi comunque hanno ben chiaro chi sia il responsabile e, come sottolinea Le Figaro, ora vogliono le dimissioni di Macron. Un sondaggio del quotidiano  mette in evidenza come i cittadini ritengano che la colpa della crisi attuale sia massimamente del Presidente

La Le Figaro, chi è il responsabile della crisi?

Le opposizioni alla riscossa, ma in ordine sparso

Mentre Macron prende tempo, le opposizioni affilano le armi, ma lo fanno ciascuna per conto proprio, dimostrando ancora una volta la frammentazione del panorama politico francese.

Il Rassemblement National di Marine Le Pen, attraverso il sindaco di Perpignan Louis Aliot, fa la mossa più ovvia e forse più logica: chiede di “restituire la parola al popolo“, ovvero lo scioglimento dell’Assemblea e nuove elezioni. Per loro, la commedia è durata abbastanza.

A destra, i Repubblicani (LR) giocano una partita più tattica. Il loro leader, Bruno Retailleau, ha snobbato la riunione collettiva organizzata a Matignon, chiedendo invece un incontro bilaterale con Lecornu. Un modo per dire: “Se volete i nostri voti, dovete trattare con noi, e solo con noi. Non siamo una comparsa nel vostro teatrino”.

Il vero spettacolo, però, va in scena a sinistra. La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, fedele alla sua linea radicale, chiede l’esame immediato di una mozione di destituzione contro Macron. Una mossa che ha l’effetto di spaccare il fronte progressista. Il Partito Socialista, infatti, si è subito sfilato, annunciando che non parteciperà a nessuna riunione in presenza degli “insoumis”. Il segretario Olivier Faure, pur auspicando un governo di sinistra ed ecologista, usa toni più dialoganti, spiegando di essere “pronto a tutto” per rassicurare i francesi e di aver parlato regolarmente persino con l’ex premier Gabriel Attal. I socialisti tentano di accreditarsi come la sinistra “responsabile”, lasciando a Mélenchon il ruolo dell’agitatore. Però un governo con i socialisti sarebbe incerto, di minoranza senza i Repubblicani, e spostato fortemente a sinistra per la presenza di Ecologisti e magari Comunisti. Un regalo enorme al Rassemblement Nationale.

Tre giorni per un miracolo o per il baratro?

La Francia si trova quindi sospesa, in attesa di capire se la missione impossibile di Sébastien Lecornu produrrà un qualche risultato entro mercoledì. Le probabilità sono scarse. Macron si trova di fronte a un bivio: tentare un rimpasto ancora più audace, magari aprendo a una parte dei socialisti o dei repubblicani, oppure prendere atto del fallimento e restituire la parola agli elettori.

Qualunque sia la scelta, questi tre giorni di passione politica dimostrano la fragilità di una presidenza che, dopo otto anni, sembra aver esaurito la sua capacità di dettare l’agenda e di unire il Paese. Il Re Sole dell’Eliseo rischia di presiedere non a un nuovo Rinascimento francese, ma a un lungo e caotico tramonto.

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