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FRANCESCO SAVERIO BORRELLI NON FU UN SALVATORE DELLA PATRIA (di Domenico Caruso)

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Ognuno di noi deve provare pietà cristiana per i defunti e recito volentieri il requiem aeternam per Francesco Saverio Borrelli ma non mi unisco al coro dell’esaltazione enfatica dell’opera del magistrato recentemente scomparso che non è stato in grado o non ha voluto contenere la deriva giustizialista dell’inchiesta mani pulite che, sorta con il lodevole intento di contrastare fenomeni di corruzione, si è via via trasformata in un rozzo processo di piazza capace di alterare il fondamentale equilibrio tra i poteri dello Stato (Parlamento e Governo) e l’ordine giudiziario per effetto dell’applicazione concreta del concetto di supplenza politica della magistratura.

Il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza trasformato nella presunzione di colpevolezza, la preponderanza della fase delle indagini preliminari su quella del dibattimento, la custodia cautelare utilizzata come forma di pressione per ottenere confessioni e chiamate in correità, la convinzione di interpretare la volontà del popolo (significativo è uno scambio epistolare con Giovanni Maria Flick pubblicato oggi su “Il Sole 24 Ore”) sono emblemi di una deriva giacobina incompatibile con i principi di civiltà giuridica che caratterizzano l’ordinamento giuridico italiano.

La volontà popolare o volontà generale più volte evocata da Borrelli è quanto di più illiberale possa esistere in quanto minacciosa per le libertà individuali ed è incompatibile con le forme di pluralismo.

Mani pulite, scalfì marginalmente una sola fazione politica già sconfitta dalla Storia che utilizzò la scorciatoia giudiziaria per ricostruirsi una immagine immacolata e conquistare così il potere con l’arma del giustizialismo.

Parce sepulto diceva Virgilio e la locuzione vale per il compianto dott. Borrelli, ma non può negarsi che da circa un trentennio l’Italia stia vivendo sotto la cappa di una guerra civile latente in cui le inchieste giudiziarie sono utilizzate impropriamente per alterare l’esito delle consultazioni elettorali.

Non è una bella cosa per uno Stato democratico.


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