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Fed, volano gli stracci: la rissa tra Falchi e Colombe blocca il taglio dei tassi

Quella che doveva essere una tranquilla fine d’anno, con un percorso di politica monetaria già scritto, si sta trasformando in un ring. L’ultima riunione della Federal Reserve del 29 ottobre non ha portato chiarezza, anzi: ha scoperchiato il vaso di Pandora di una polarizzazione totale all’interno del Federal Open Market Committee (FOMC).
Il taglio dei tassi a dicembre, che i mercati davano ormai per scontato, è improvvisamente tornato in discussione. La banca centrale americana è spaccata a metà tra chi guarda con terrore all’inflazione ancora alta e chi, con altrettanta paura, osserva il mercato del lavoro che si sta sgonfiando.
La vecchia distinzione tra “falchi” (rigoristi) e “colombe” (espansivi) non è mai stata così netta. E la rissa è pubblica.
🦅 I Falchi: “La missione non è compiuta”
A guidare la rivolta dei rigoristi c’è una pattuglia nutrita di presidenti delle Fed regionali. Il loro messaggio è semplice: l’inflazione è ancora al 3%, un punto sopra il target “sacro” del 2%, e la tendenza non è rassicurante.
- Austan Goolsbee (Chicago Fed), che pure aveva votato per l’ultimo taglio, ora frena: “Sono preoccupato per l’inflazione. I numeri sono ancora al di sopra dell’obiettivo… un taglio a dicembre non dovrebbe essere inevitabile”.
- Lorie Logan (Dallas) e Beth Hammack (Cleveland) si sono apertamente dette contrarie a ulteriori tagli.
- Jeffrey Schmid (Atlanta) è stato ancora più netto, votando contro la riduzione di 25 punti base a ottobre: “Il mercato del lavoro è in equilibrio… ma l’inflazione è troppo alta”.
Per loro, tagliare i tassi ora metterebbe in discussione la credibilità stessa della Fed sul controllo dei prezzi. Poco importa se l’economia rallenta, la priorità è una sola.
🕊️ Le Colombe: “Guardate l’occupazione!”
Sull’altro fronte, le colombe guardano un altro grafico: quello dell’occupazione. E i dati sono allarmanti. Il rallentamento estivo è stato peggiorato da una revisione statistica monstre che ha cancellato 911.000 posti di lavoro in un colpo solo. Non un rallentamento, ma un cambio di paradigma.
- Lisa Cook (membro del Consiglio dei Governatori) ha votato per il taglio a ottobre, definendolo “appropriato” perché “i rischi di un deterioramento dell’occupazione sono più forti di quelli che potrebbero spingere l’inflazione al rialzo”.
- Stephen Miran, nominato da Trump, è la colomba più aggressiva e insiste per tagli robusti, sostenendo che “la Fed è ora troppo restrittiva”.
- Mary Daly (San Francisco) ritiene la mossa “appropriata” per cercare di ottenere un “atterraggio morbido” dell’economia.
Per questo gruppo, il rischio di spingere l’economia in recessione per inseguire testardamente il 2% è molto più grave del rischio di un’inflazione che, seppur alta, non sta esplodendo.
🎭 Il teatro dell’incertezza (e della politica)
A complicare il tutto ci si mette la politica e la confusione sui dati. Il blocco delle attività governative (lo shutdown) ha creato una “nebbia” statistica, privando la Fed di dati affidabili su cui basare le decisioni. Si naviga a vista.
E poi c’è l’ironia politica. Lisa Cook, nota per i suoi trascorsi burrascosi con Donald Trump (che cercò di rimuoverla), si ritrova ora allineata proprio con l’uomo di Trump, Stephen Miran, nel chiedere tassi più bassi. Miran, dal canto suo, potrebbe avere un’agenda politica: tassi bassi riducono il costo del debito pubblico e stimolano l’economia, due obiettivi cari al suo mentore.
Il risultato? I mercati non ci capiscono più nulla. La probabilità di un taglio a dicembre, prezzata al 100% solo una settimana fa, è crollata al 70% (e scende). Gli analisti stessi sono divisi, con Vontobel che scommette ancora sui tagli (preoccupata per i posti di lavoro) e Danske Bank che si dice scettica (l’economia è ancora solida).
La Fed, specchio di un’America polarizzata, si presenta alla riunione decisiva di dicembre spaccata come mai prima d’ora. Le visioni sono diverse, contrastanti.
Domande e risposte
Perché la Fed è così divisa se l’inflazione sta scendendo? La Fed ha un doppio mandato: massima occupazione e stabilità dei prezzi (inflazione al 2%). Il problema è che i due obiettivi sono ora in conflitto. I “Falchi” ritengono che l’inflazione al 3% sia ancora troppo alta e pericolosa, giustificando tassi elevati anche a costo di frenare l’economia. Le “Colombe” temono che il mercato del lavoro si stia deteriorando rapidamente (come indicano le forti revisioni al ribasso) e che aspettare di vedere l’inflazione al 2% significhi spingere il paese in recessione.
Chi sono i Falchi e le Colombe? Sono termini usati per descrivere le posizioni dei banchieri centrali. I Falchi (Hawks) sono “rigoristi”: la loro priorità assoluta è combattere l’inflazione. Preferiscono tassi di interesse alti per “raffreddare” l’economia e la spesa, anche a costo di sacrificare posti di lavoro. Le Colombe (Doves) sono più “accomodanti”: si preoccupano maggiormente della crescita economica e dell’occupazione. Preferiscono tassi bassi per stimolare l’economia, accettando un rischio maggiore di inflazione.
Cosa c’entra Donald Trump con le decisioni della Fed? Ufficialmente, nulla. La Fed è indipendente. Tuttavia, il testo evidenzia dinamiche politiche. Stephen Miran, nominato da Trump, spinge per tagli aggressivi. Questo è in linea con i desideri di Trump, che punta a tassi bassi per stimolare la crescita economica e ridurre l’onere degli interessi sul debito pubblico. Ironia della sorte, la sua posizione è condivisa da Lisa Cook, una governatrice che Trump aveva cercato di rimuovere, ma che ora vota per i tagli basandosi sui dati (secondo lei) preoccupanti dell’occupazione.









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