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 FANTOZZI VIVE

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L’aria è quella – ionizzata e rarefatta – delle locations de luxe. Nello sterminato loft super accessoriato, attico di una macro-tower, un albore sulfureo sciama dai vetri affacciati sulla

sky-line di Bruxelles. Nel centro geometrico del salone, l’Altissimo Rappresentante della Cupola dei Ventisette Savi, Illustrissimo Commendatore nonché Mega Direttore Grand. Figl.

di Troyk. attende, impettito, col gessato Armani da parata, sul trono foderato in pelle di cittadino medio. Nella ciclopica hall regna un ovattato silenzio che incute soggezione. Sul

pavimento a scacchi, in platino rifinito d’oro, rimbomba un ticchettio di passi in avvicinamento. L’infimo emissario del governo italiano, alla fine, è quivi giunto al cospetto del

Vertice della Gerarchia Monarchica a dodici stelle d’oro su campo blu: egli non è solo basso, è anche tozzo, goffo, sul viso rotondo un’espressione di ottusa, vile condiscendenza,

stazzonati i calzoni, stretta la cintura ben sopra la vita tarchiata, umida di sugo la camicia, un basco blu sul testone. L’Esimio Padrone di Casa – esprimendosi in un discreto italiano

inquinato appena da inglesismi e accenti baltici – inarca il sopracciglio e invita l’ambasciatore tricolore ad accomodarsi su uno scomodissimo puff: “Si segghi, la prego, si segghi!”.

L’italico abbozza un’effimera resistenza: “Ma come? Mi avevano detto che avrei trovato un lettòne, non un puff”. Il Sublime Incaricato picchia nervosamente le dita. “Lei ha kapito

male… Non un lettòne, ma un lèttone, io sono un lèttone. Vengo dalla Lettònia”. Al tapino italico tremola il labbro inferiore – intanto che una goccia sdrucciola giù, vigliacca, dalla

tempia al sottomento – mentre replica: “Questo significa che l’Italia prende ordini dalla Lettonia?”. L’Eccelso sorride e gli brillano i canini transilvani: “Certo. A rotazione, venite

dominati, non lo sa? Ieri dall’Estonia, oggi dalla Lettonia, domani mi pare dalla Lituania”. “Che bello!” applaude il miserabile italico capovolgendosi un paio di volte insieme al puff

per levarsi poi in piedi e avvinghiarsi al ripiano del tavolo presidenziale (decorato con l’oro e l’avorio dei molari di plebei uccisi dalla crisi) e mormorare: “Io dovrei parlarle… se

consente… cioè col suo permesso… se non disturbo… dell’invasione di immigrati”. L’Impareggiabile congiunge le dita delle mani, a guglia, incupendo il cipiglio: “Ha qualcosa da

lamentare? Rimostranze da fare, per caso?”. Il penoso italico contorce fra loro i palmi infradiciati e borbotta: “Com’è umano lei! Cioè… Sono stato inviato al suo augusto cospetto solo

per sottolineare, col dovuto rispetto, che gli immigrati sono tropp…”. Il Venerabile ghigna: “Sono tropp…? Tropp… cosa? Dichi, dichi senza paura”. Il meschino italiota si fa più

piccolo della sovranità del suo paese (praticamente scompare): “Sono troppo… pochi, volevo dire: troppo pochi!”. L’Insigne si illumina: “Ah ecco, sì! Ha ragione. Vuole che le

mandiamo cinquecento esperti?”. “Altri cinquecento?” sussulta, nel panico, il connazionale. “Perché no?” sibila Sua Vastità, “ne vuole di più?”. Lo sventurato risponde: “Facciamo

cinquecentomila, dai, tanto c’è posto da noi”. “E va bene, e ora vadi, vadi, ma prima rinnovi la parola d’ordine, quella che vi ha permesso di entrare nella UE: l’Italia è…”. Il nostro

sorride, esausto, e – prostratosi a terra – declama: “Una cagata pazzesca!”.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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