Crisi
IL FALSO PROBLEMA DELLA CRISI EUROPEA
Un falso problema è un problema che nasce da una errata formulazione. Se si chiede la distanza che c’è fra Roma e Napoli, la risposta sarà un preciso numero di chilometri e metri. Se viceversa si chiede: “Qual è la somma degli angoli interni di un triangolo di quattro lati?”, la risposta sarà comunque sbagliata: perché è sbagliata la domanda.
Purtroppo, mentre in alcuni casi l’assurdità di certi problemi è evidente, in altri lo è molto meno. Chiedere: “Qual è il senso della vita?” sembra un problema normale e invece è come chiedere qual è la distanza fra Roma e Trigvesund. Infatti, dal momento che Trigvesund non esiste, non esiste neppure quella distanza. Per quanto riguarda il senso della vita, la domanda da cui partire non è “quale sia”, ma “se l’abbia”. Né vale dire che “ciascuno le dà il senso che vuole “, perché ciò corrisponde a negare che la vita abbia un senso in sé.
Un secondo falso problema è l’origine del male. Infatti, se Dio è all’origine di tutto, è all’origine del male. E se non è all’origine del male, non è all’origine di tutto. Né vale dire che ha lasciato l’uomo libero di fare del male, perché sarebbe come attribuire all’automobile la colpa dell’incidente, dopo che le abbiamo fabbricato dei freni difettosi. Ma se si lascia da parte la religione, si vede che il concetto di male è relativo. Chi si mette la pomata contro i pidocchi fa il proprio bene, ma non certo quello dei pidocchi. L’assassino seriale trova il proprio bene, o divertimento che sia, nel sopprimere il prossimo. Naturalmente, una volta che lo si sia catturato, la società si divertirà ad impiccarlo: ma ciò conferma soltanto che ciascuno di noi chiama bene ciò che gli conviene, e male ciò che conviene agli altri, se lo danneggia. Per non parlare di fatti dipendenti semplicemente da fenomeni naturali, come il cancro.
Un ultimo immane esempio di falso problema riguarda l’Europa. Essa ha rifiutato di adattarsi alle mutate condizioni della produzione, nel mondo, ed ha aggravato le sue difficoltà con una politica economica dissennata. Il grande cambiamento obiettivo è stato la perdita di quella sorta di monopolio della scienza e della tecnica che ha determinato il primato dell’Occidente per molti decenni. La prima avvisaglia ce la dette il Giappone, molti anni fa, ma in molti se la cavarono spostando mentalmente quel Paese in Occidente. Era un’eccezione. Poi vennero le Tigri Asiatiche, infine è entrata in scena la Cina, ed ha sconvolto il panorama. In Occidente siamo felici di comprare le merci cinesi, di buona qualità e a prezzi stracciati, dimenticando che ciò che fabbricano i cinesi non lo fabbricano più le nostre industrie, e che se i loro lavoratori sono (erano) pagati una miseria, i nostri disoccupati non sono pagati per niente.
La causa inventata della crisi è invece finanziaria. L’eurozona è malata di una gravissima malattia che s’è procurata creando l’assurdo di un’unione monetaria senza un’unione politica, e stampando una tempesta di cartelle di debito pubblico che pongono l’intero continente a rischio default. Senza dire che quel debito, con la perversa collaborazione del fardello degli interessi, non fa che aumentare, rendendo la situazione insostenibile nel lungo termine. Se non nel medio.
E tuttavia – ecco il falso problema – l’Europa è sana. Se soltanto non avesse i debiti che ha; se soltanto trovasse una soluzione per azzerarli; se soltanto i suoi cittadini si rassegnassero a un livello di vita più basso; se soltanto fossero disposti a lavorare di più e meglio; se si sciogliesse l’assurda unione monetaria, l’Europa potrebbe riprendersi abbastanza presto, invece di aspettare che ciò avvenga perché la storia non si ferma. Insomma, dopo tutto siamo ancora vivi, e questa non è una crisi economica, è soltanto una crisi di insufficiente senso della realtà o, più volgarmente, di follia collettiva.
Il denaro in particolare è divenuto un ologramma da incubo, un Moloch di cartone, una droga di cui fare un falò in piazza, come si fa con la marijuana sequestrata. Dobbiamo renderci conto che i beni veri sono le case, l’oro, le strade, gli stabilimenti e soprattutto la nostra cultura e la nostra voglia di lavorare. Dovremmo ritornare alla realtà. Quella per cui l’essenza della prosperità è la creazione di ricchezza, cioè di beni e servizi, e non di un pil in cui entrano anche le spese dello Stato. Non la cartamoneta o i Btp, che possono scoppiare come i bond argentini. Se invece si rimane inerti, al momento dello show down non rimarrà che piangere.
Gianni Pardo, [email protected]
5 gennaio 2015
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