Energia

Fallito l’accordo sul petrolio tra Cina e Talebani: tra accuse reciproche e interessi geopolitici

L’accordo venticinquennale per lo sviluppo dei giacimenti petroliferi in Afghanistan, firmato dai Talebani e dalla compagnia cinese CAPEIC, è naufragato. Le due parti si accusano a vicenda di aver violato il contratto, mettendo in discussione la stabilità degli investimenti esteri nel Paese.

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Quando quattro anni fa i talebani hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan, la Cina si è affrettata a firmare un accordo per lo sviluppo di giacimenti petroliferi al fine di estrarre greggio nel Paese dell’Asia centrale e rafforzare la propria presenza e influenza in quella zona.

Ma l’accordo petrolifero, firmato nel 2023 dai talebani e dalla cinese Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas Co., Ltd (CAPEIC) e previsto per una durata di 25 anni, è ora fallito, con ciascuna delle parti che accusa l’altra di aver violato il contratto.

All’inizio del 2023, i talebani hanno firmato l’accordo venticinquennale con la CAPEIC per il progetto petrolifero Amu Darya. Secondo i termini dell’accordo, la CAPEIC avrebbe dovuto investire 540 milioni di dollari all’anno nei primi tre anni.

Il progetto petrolifero Amu Darya comprende un’area di 4.500 chilometri quadrati che sarà esplorata entro il 2026, durante il quale saranno estratte tra le 1.000 e le 20.000 tonnellate di petrolio, ha dichiarato all’epoca il ministro ad interim dei Minerali e del Petrolio dei talebani, Shahabuddin Dilawar.ù

Ma ben presto sono emerse controversie e accuse che hanno portato al fallimento dell’accordo.

L’Afghanistan ha accusato la società cinese CAPEIC di non aver rispettato i propri impegni in materia di investimenti, di non aver pagato le royalties in tempo e di non aver completato i progetti chiave di infrastrutture e di prospezione geologica.

L’azienda cinese contesta queste accuse e sostiene che i talebani abbiano preso il controllo del progetto con la forza.

“I talebani hanno preso con la forza il controllo dei nostri giacimenti petroliferi in joint venture e hanno cacciato in modo irragionevole il nostro personale cinese dal giacimento petrolifero sotto la minaccia delle armi”, ha dichiarato un dipendente cinese della joint venture alla NPR.

Il dipendente, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha riferito ai media che i talebani hanno arrestato 12 dipendenti cinesi a Kabul e confiscato i loro passaporti. I talebani hanno anche chiesto ai cinesi di lasciare tutte le loro attrezzature e di lasciare loro un conto bancario a Kabul con milioni di dollari americani.

Un secondo dipendente cinese ha dichiarato alla NPR, commentando le pratiche dei talebani: “La loro mentalità imprenditoriale non prevede risultati vantaggiosi per entrambe le parti. Come un bandito che commette una rapina, pensano: se mi piace, allora è mio”. La CIna ha voluto assaggiare l’Afghanistan, ma è rimasta bruciata. Ora che succederà agli altri progetti che prevedono lo sviluppo del litio e del rame?

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