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Euro a due velocità? Si, ma solo a determinate condizioni (di Giuseppe PALMA)

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Al Consiglio europeo di fine giugno si parlerà, tra le altre cose, anche di una Ue e di un euro a due velocità.

La proposta fu lanciata lo scorso anno da Germania, Francia, Italia e Spagna subito dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.
A quel tempo fui molto critico, e lo sono ancora adesso per i motivi che tutti ben conoscete, ma con qualche significativo distinguo rispetto all’anno scorso.
All’epoca, al governo c’erano Gentiloni e Padoan, oggi ci sono Conte, Salvini, Di Maio, Tria e Savona. La differenza è abissale. All’epoca c’era il Pd, il partito della finanza e della sudditanza all’Ue, oggi ci sono M5S e Lega, entrambi volenterosi di ripristinare l’interesse nazionale forti della legittimazione democratica che invece mancava al Pd.
Perché questa volta sono ottimista? La risposta è semplice. Gentiloni, Renzi, Padoan e il Pd avrebbero voluto farci entrare nei vagoni di testa, cioè nella stessa Ue e con la stessa moneta forte della Germania. Una follia. In pratica non solo non risolveremmo i problemi che da decenni attanagliano la nostra economia, ma addirittura soffriremmo anche la svalutazione dell’Euro-B da parte degli altri Paesi del Sud-Europa. Per noi sarebbe un massacro ben peggiore di quello attuale.
Il nuovo governo molto probabilmente non tradirà la Nazione come hanno fatto tutti gli altri esecutivi succedutisi da Monti in avanti, quindi la speranza è quella che, se fossero avviate per davvero le trattative per riformare Ue ed eurozona, l’Italia finisca nei vagoni di coda (cioè nella Ue con parametri più ragionevoli e flessibili, con molti meno trasferimenti ma allo stesso tempo senza vincoli assurdi come ad esempio il pareggio di bilancio), e quindi nell’area valutaria dei Paesi dell’Europa del Sud (Euro-B), in ogni caso diversa da quella in cui entrerà la Germania (Euro-A).
L’idea di creare due differenti aree valutarie (cioè due euro), una per il Nord-Europa e l’altra per il Sud, fu avanzata dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz in un suo libro uscito nell’agosto di due anni fa (“L’euro. Come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa“), nel quale il professore americano – perché le due aree valutarie possano funzionare in maniera ottimale – prevedeva due condizioni necessarie e irrinunciabili:

1) la possibilità per gli Stati che adotteranno l’Euro-B di far fluttuare il cambio entro una certa percentuale di oscillazione rispetto all’Euro-forte (Euro-A) adottato dai Paesi del Nord-Europa. Noi abbiamo già avuto l’esperienza dello Sme dove l’Italia poteva far fluttuare il cambio della Lira rispetto all’Ecu (unità di conto europea di riferimento) nella percentuale di +/- 6%, a differenza della Germania che si era legata ad una forbice inferiore (+/- 2,25%). Dopo tredici anni (nel 1992) ci trovammo nelle condizioni di doverne uscire con un periodo successivo (1995-1996) di forte ripresa delle nostre esportazioni. Oggi la situazione è di gran lunga peggiore rispetto al 1992 perché l’euro è un accordo di cambi fissi, quindi impedisce qualsiasi intervento sul cambio costringendo gli Stati che vogliano tornare ad essere competitivi (l’Italia è il secondo Paese esportatore in Europa) ad intervenire sul lavoro, che tradotto significa riduzione dei salari, contrazione delle garanzie contrattuali e di legge in favore del lavoratore e mobilità selvaggia della forza lavoro (cioè la svalutazione del lavoro al posto della svalutazione della moneta).
Aggiungo quindi che l’eventuale creazione delle due aree valutarie debba necessariamente consentire ai Paesi che adotteranno l’Euro-B di poter fare leva sul cambio, svalutando rispetto all’Euro-A in una forbice di oscillazione superiore a quella prevista dallo Sme. A modesto parere di chi scrive, la forbice di oscillazione netta tra le due aree valutarie non può essere inferiore al +/- 10%;

2) la Bce deve esercitare la funzione tipica di tutte le banche centrali, cioè quella di fungere da prestatrice illimitata di ultima istanza, con necessaria dipendenza della stessa alla politica, quindi al Parlamento europeo. Non è più accettabile che le banche centrali siano indipendenti dal potere politico! Al momento la Bce non solo non può, addirittura per statuto, fare da prestatrice illimitata di ultima istanza, ma è del tutto indipendente dalla politica. Per precisazione, il programma di Quantitative Easing lanciato tre anni fa provvede ad acquistare i Titoli di Stato solo sul mercato secondario (cioè quelli già in circolazione) e non sul mercato primario (battuti mensilmente dal Tesoro). Terminato questo periodo di “alleggerimento quantitativo” il debito pubblico degli Stati dell’eurozona non sarà più garantito dalla Bce ma da cittadini e imprese attraverso il consolidamento fiscale e l’attacco al risparmio privato, esattamente come fece il governo Monti dal novembre 2011 al dicembre 2012.

Ritengo inoltre necessario che la maggioranza parlamentare della neo-nata Legislatura persegua l’obiettivo di ripristinare, com’è scritto nel “contratto di governo” M5S-Lega, la “prevalenza della nostra Costituzione sul diritto comunitario“. Per far questo occorre avviare in casa nostra un percorso di riforme costituzionali che abroghi la Legge costituzionale n. 1/2012 con la quale fu introdotto in Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio e riformulare l’art. 117 Cost. in modo da non subordinare la potestà legislativa nazionale a quella europea ed internazionale, fatto salvo quanto previsto dall’art. 11 della Costituzione secondo quelle che furono le intenzioni dei Padri Costituenti (sul punto io stesso ho scritto molto).

Ho dibattuto di tutti questi temi fino a tarda notte col mio amico Francesco, che di economia ne capisce, e abbiamo convenuto che se la Germania continuasse a non voler capire, sarà costretta a rendersi la principale responsabile del crollo non solo dell’euro ma anche dell’Ue.

La coccarda tricolore sul petto degli esponenti del governo alla parata del 2 giugno fa ben sperare. A volte i singoli gesti possono disegnare la rotta.

Avv. Giuseppe PALMA

 

 


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