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Esportare: il luogo comune dei “troppi rischi” (di Marco Minossi)

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Rispetto al dato positivo di agosto, l’ export italiano risulta in calo a settembre del 1,6%, confermando un trend di lungo periodo che fa parlare apertamente alcuni di “declino dell’ export italiano” (1), con la perdita di posizioni competitive rispetto all’ export mondiale.

Molti articoli, tra cui quello citato in nota, argomentano bene questa analisi, sulla quale quindi non intendiamo intervenire; ci interessa invece evidenziare come, nei flussi di esportazione del nostro paese, manchi ancora massicciamente il contributo, la partecipazione, delle imprese più piccole e di quelle artigiane. Questo forfait è dovuto a nostro avviso, e sulla base della nostra esperienza di operatori d’azienda e non tanto di studiosi, a ragioni di carattere culturale (2).

Quando un imprenditore piccolo o artigiano parla di Export, il più delle volte lo fa dalla parte degli esclusi, dal versante di coloro che sanno che è in atto un fenomeno commerciale “anticrisi”, al quale però la sua azienda non partecipa. E’ curioso come poi, quando si cerca di capire quali siano le ragioni che lo inducono a tenersi fuori da questa specie di festa del business, emergano quelli che sono esattamente i motivi per cui un’impresa dovrebbe esportare, le due minacce che il vendere all’estero riduce drasticamente: costi e rischi.

Troppe risorse e troppe incognite sono ìnsite nell’affacciarsi ai mercati esteri, così ragionano molti imprenditori, anche quelli che hanno fatto della competenza, del coraggio e del rischio calcolato le loro leve di successo sino ad oggi, oltre ad aver saputo creare un prodotto vincente, naturalmente. Prodotto vincente che, da solo, non basta più.

Lascia perplessi quando spiegano che la principale delle loro preoccupazioni risiede nella presunta difficoltà di incassare i crediti: è già difficile farlo in Italia, figuriamoci doverlo gestire con clienti caratterizzati da lingua, cultura e ordinamento giuridico diversi dai nostri, sostengono sfiduciati.

Nel parlare con loro di tale argomento, si riscontrano spesso alcune difficoltà, sintetizzabili in una sola: è più difficile “vendere” loro (nel senso di convincerli) l’ idea che esportare è diventata condizione essenziale e irrinunciabile per la vita di un’azienda, di quanto non lo sarebbe vendere all’ estero i loro prodotti.

Eppure, l’obiettivo di avere almeno un 40% del fatturato aziendale generato fuori dall’Italia entro i prossimi cinque anni, dovrebbe essere condiviso con convinzione.

Sorprende spesso l’approccio che si riscontra sulla gestione dei crediti, sul motivo per cui si fa fatica ad incassarli, sulle conseguenti ragioni per le quali bisognerebbe cominciare ad esportare per migliorare la liquidità aziendale. Il piccolo imprenditore condivide, in teoria, il fatto che la metodologia di gestione dei crediti commerciali dovrebbe essere, se non proprio scientifica, orientata alla prevenzione piuttosto che al recupero. Poi però si riscontra ancora un uso diffuso dell’ intùito personale nel distinguere i clienti solvibili da quelli a rischio, con il preventivo interpello della banca per un giudizio di primo orientamento.

Ci si avvale poi di visure camerali, e anche di società specializzate sulle informazioni commerciali e sulla valutazione del merito creditizio. Anche in questo caso, tuttavia, questi accorgimenti non sono sufficienti.

I crediti sono come un organo del corpo umano: quando soffre lui, soffre tutto l’organismo; ed il problema è che tale organo non è paragonabile a un dente, ma proprio al cuore.

La parola-chiave per capire la gestione del cliente rispetto all’ azienda è CRM, nel suo duplice significato: Customer Relationship Management, oppure Credit Risk Management.

Nella prima accezione, parliamo del cliente che va seguìto; nella seconda, del cliente che va inseguìto!

Il Customer Relationship Management (quello che potremmo definire “CRM Commerciale”) consiste nel profiling di ogni singolo cliente, delle sue aree di soddisfazione e di criticità, nella raccolta aggiornata di tutte le azioni commerciali svolte dall’ impresa nei suoi confronti (contatti, corrispondenze, visite, promozioni ecc.), ed è finalizzazo a massimizzarne la fidelizzazione e la redditività nel tempo. Tale attività viene svolta a livello informatizzato con il supporto di software specifici.

Il Credit Risk Management (possiamo chiamarlo “CRM Finanziario”), tende invece a ottenere tutte le informazioni possibili di tipo economico, finanziario, patrimoniale ed andamentale sull’azienda-cliente, in un monitoraggio continuo, per capire come poterla servire senza mettere a rischio il buon fine degli incassi.

Avere acquirenti all’estero permette di adottare con più facilità il metodo della prevenzione finanziaria, grazie a forme di pagamento anticipate, o garantite, oppure ancora assicurate, che hanno un impatto benefico immediato sul capitale circolante aziendale, quindi sulla liquidità.

La prassi consolidata del mercato interno rende di fatto inattualbili tali difese allo sviluppo e alla sopravvivenza stessa dell’ impresa; tutti i settori operano in regime di concorrenza perfetta, pensiamo quindi a quale conseguenza avrebbe il pretendere di essere pagati in anticipo o con garanzia collaterale.

Oppure, cosa comporterebbe l’avviare su un cliente insolvente la procedura di indennizzo assicurativo; lo stesso risultato in entrambi i casi: perderlo.

Vendendo all’estero, invece, il pagamento anticipato e la lettera di credito irrevocabile vengono correntemente accettati; per le situazioni refrattarie a tali forme, esiste la possibilità di avvalersi dell’assicurazione dei crediti esteri, con monitoraggio preventivo dell’affidabilità della controparte.

Invitiamo sempre le piccole imprese ad una migliore riflessione su quelli che esse considerano essere i “maggiori rischi” legati all’Export, e a capire che dall’espansione e dalla diversificazione dei mercati possono scaturire invece grandi opportunità .

Marco Minossi

  1. Si segnala in particolare il recente articolo su Linkiesta “ Made in Italy, tante chiacchere ma l’export sta a zero “ in http://www.linkiesta.it/it/article/2016/11/23/made-in-italy-tante-chiacchiere-ma-lexport-sta-a-zero/32499/

  2. Per capire situazioni reali di impreparazione all’ export molto diffuse nelle piccole aziende, si consiglia anche la lettura del seguente post di Lucilla Rizzini: https://www.linkedin.com/pulse/3-ragioni-per-cui-non-vendi-allestero-lucilla-rizzini?trk=prof-post


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