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Esclusiva – Intervista all’economista Alberto Bagnai – Il Tramonto dell’Euro (2/3)

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Di seguito l’intervista al Professor Alberto Bagnai, Professore associato di Politica economica, Facoltà di Economia, Uni. G.D’Annunzio, Pescara. Qui il CV del professore (http://www.bagnai.org/ ).

Qui trovate la prima parte dell’intervista Esclusiva – Intervista all’economista Alberto Bagnai – Ecco perche’ l’Euro e’ insostenibile (1/3) .
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D –Guardando l’andamento della Bilancia dei Pagamenti negli ultimi 15 mesi, si nota un forte calo dei passivi del conto corrente in relazione al PIL nella periferia (in Italia in 12 mesi siamo passati dal -3,5% al -1,3%), una stabilita’ del passivo Francese e dell’attivo Tedesco, ed un forte deterioramento del passivo della Gran Bretagna. Lei crede che tale andamento sia compatibile con un tracollo imminente dei periferici come descritto nella fase 7) del Ciclo di Frenkel? Non crede che la “rottura” dell’Euro vedra’ un ruolo della Francia?

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R – Partirei dal dato tedesco: come vede, non si nota alcuna tendenza al rientro verso una situazione di equilibrio dei conti. Ora, l’origine del problema è lì, cioè nell’incapacità della Germania di immaginare un modello di sviluppo non mercantilistico, cioè non basato sulle esportazioni, sulla domanda degli altri paesi. Un modello miope, che conduce fatalmente al conflitto, e che ha vita breve, come ho già ricordato. Questo la Cina lo ha capito, la Germania probabilmente non lo capirà mai (purtroppo).

Il dato italiano ha un aspetto fisiologico e uno patologico. Quello fisiologico è che con una recessione oltre il -2.5% è chiaro che abbiamo importato di meno, riequilibrando il saldo commerciale. Il dato patologico è che il passivo corrente della bilancia dei pagamenti continua a essere composto ancora per la maggior parte da interessi sui debiti (privati) con l’estero, come ho evidenziato due anni or sono. Questo è un problema, perché crea sulla bilancia dei pagamenti una rigidità analoga a quella che il peso degli interessi mette sul bilancio pubblico.

La Francia si trova in situazione uguale e contraria: messa peggio di noi in termini di saldi commerciali, riequilibra le partite correnti con i proventi degli investimenti fatti all’estero nella prima tornata di “shopping”, quella di metà anni ’90 (per capirci, quando i supermercati italiani cominciarono ad avere nomi francesi…). Ma la situazione, vista da vicino, è peggiore di quella italiana, forse perché in Francia la stampa è più libera (37° posto nella classifica di Reporter sans frontières, contro il 57° posto dell’Italia): i telegiornali quotidianamente parlano di aziende che chiudono, di deindustrializzazione, di forti tensioni sociali.

 

D – Nel Libro definisce una exit strategy: puo’ chiarire ai nostri lettori il passaggio al nuovo conio e come verrebbero regolati debiti e crediti?

R – I dettagli del passaggio al nuovo conio sono stati descritti in tanti studi: consiglio l’ottima intervista a Claudio Borghi Aquilini, e, per chi mastica un po’ di inglese, la “Guida pratica” di Roger Bootle o quella di  Jonathan Tepper. Sui dettagli ci possono essere margini di discussione, ma le idee di fondo sono semplici.

Si uscirebbe con un rapporto di cambio uno a uno (un euro diventerebbe un “fiorino”). I rapporti di debito e credito verrebbero convertiti nel nuovo conio applicando la Lex Monetae, che consente a uno Stato sovrano di decidere quale moneta ha potere liberatorio per le obbligazioni regolate dal suo diritto.

La conversione sarebbe istantanea per i pagamenti che avvengono in via elettronica (di fatto, la stragrande maggioranza).

Vorrei ricordare che quando siamo entrati nell’euro non hanno continuato a pagarci lo stipendio in lire, e così quando usciremo dall’euro non continueremo a pagare il mutuo in euro: crediti e debiti regolati dal diritto interno verranno convertiti simmetricamente, perché questa è la cosa più ovvia, razionale ed equa (e fra l’altro prevista dal Codice Civile italiano, come ricordo nel mio testo).

Chi ricorda la forte rivalutazione subita dai mutui in ECU quando la lira uscì dallo SME nel 1992, trascura il fatto che l’ECU era, per l’Italia, una valuta estera, e quindi non era possibile applicare la Lex Monetae.

Chi blatera che le banche vorranno essere pagate in euro perché c’è un complotto, o perché loro sono “furbe”, dimentica che proprio perché “furbe” le banche non vorranno una conversione asimmetrica, poiché questa farebbe immediatamente fallire i loro debitori (causando un evidente danno ai loro bilanci).

Sul mercato dei cambi la nuova valuta fluttuerebbe, con un riallineamento che in capo a un anno si pensa potrebbe andare dal 10% al 30%. Com’è noto, abbiamo avuto già precedenti del genere (compresa la forte svalutazione dell’euro nei suoi primi due anni di vita), e siamo ancora qui. Ci potrebbero certo essere conseguenze inflazionistiche (anche se in precedenti esperienze non ci sono state), ma lo Stato avrebbe gli strumenti per contenerle (ad esempio, manovrando le accise, che sono la componente più rilevante dei costi dei carburanti). Gli studi dei quali disponiamo indicano che la maggiore inflazione potrebbe essere intorno ai 5 punti, in assenza di interventi correttivi. Sottolineo che nessuno pensa minimamente che si arriverebbe a inflazione a due cifre (in Italia l’abbiamo avuta, lo ricordo, quando il prezzo del petrolio quadruplicò, negli anni ’70, e non stiamo parlando di uno shock di quelle dimensioni). Chi parla di iperinflazione è semplicemente un ignorante o un ciarlatano.

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D – Nel Libro propone l’External Compact al posto del Fiscal Compact: puo’ spiegarcelo?

R – Mi sono limitato, per chiarezza di esposizione, a dare un nome a una proposta che nella sua essenza risale a James Meade, premio Nobel nel 1977 per i suoi studi di economia internazionale. Nel 1957, data dei Trattati di Roma, Meade scrisse un articolo sull’Economic Journal per chiarire che un percorso di integrazione economica europea sensato doveva darsi come obiettivo quello di uno sviluppo equilibrato degli scambi esteri, e che questo obiettivo richiedeva il mantenimento della flessibilità del cambio.

Credo sia la testimonianza più antica del fatto che la catastrofe dell’Eurozona era annunciata: ci siamo privati di flessibilità del cambio, abbiamo favorito gli squilibri esteri, e abbiamo così disintegrato l’Europa.

Dobbiamo ora ritornare a quella proposta di buon senso. Come chiarisce molto bene Meade, il cambio flessibile è “il peggior regime di cambio, esclusi tutti gli altri”. In altre parole, abbandonare l’euro non risolverà tutti i nostri problemi con un colpo di bacchetta magica. La ritrovata flessibilità andrà gestita sul piano macroeconomico. In particolare, sia la politica dei redditi che quella fiscale andranno concordate a livello europeo: quella dei redditi, permettendo ai salari di seguire l’evoluzione della produttività (cosa che in Germania non è successa, come è noto); quella fiscale, favorendo politiche espansive nei paesi che si trovano in surplus estero (cosa che alla Germania è stata chiesta ma che si è rifiutata di fare).

La principale differenza fra la situazione attuale e quella che auspico è che mentre oggi, se un paese rifiuta di adottare politiche cooperative (violando gli obblighi europei), gli altri possono solo subire, col cambio flessibile i comportamenti non cooperativi troverebbero una immediata e automatica sanzione. Ad esempio: se un paese per drogare le proprie esportazioni comprimesse i salari al di sotto della produttività, il surplus estero da esso conseguito farebbe apprezzare il cambio, e quindi il comportamento non cooperativo sarebbe corretto dalle leggi del mercato.

 

D – Nel Libro ipotizza un forte risparmio nel pagamento degli interessi, tramite ritorno a sovranita’ monetaria, con Banca d’Italia che tornerebbe uno strumento nelle mani del tesoro, finanziando il 30% del fabbisogno stampando moneta. Puo’ spiegarci perche’ a suo avviso cancellare l’indipendenza della Banca centrale e stampare moneta a nastro da’ vantaggi?

R – Vorrei precisare due cose: la prima è che personalmente non propugno la “stampa di moneta a nastro”, e la seconda è che il parametro del 30% scelto nelle simulazioni presentate nel testo è puramente indicativo e tutt’altro che abnorme. Per darle un’idea, se lo Stato praticasse una regola monetaria di questo tipo, dopo 20 anni il debito detenuto dalla Banca centrale italiana (in contropartita della creazione di moneta) sarebbe appena il 15% del totale. La Banca centrale inglese attualmente detiene il 25% del debito pubblico della corona, e non mi sembra che a fronte di questa massa monetaria l’Inghilterra stia sprofondando nell’iperinflazione. Quindi dimentichiamoci il nastro: siamo su ordini di grandezza prudenziali rispetto a quelli praticati da altri paesi, e anche a quelli proposti da altri studi (ad esempio, Jacques Sapir parla di una monetizzazione del deficit fino al 50% nei primi anni dopo l’uscita della Francia dall’euro).

Secondo: che i tassi di interesse scenderebbero comunque abbandonando l’euro, ancora una volta non è una mia idea, ma un dato conforme a tante esperienze storiche, e anche a studi recenti come quello citato sopra della Bank of America, anche in assenza di recupero della sovranità monetaria.

Quanto all’indipendenza della banca centrale dal governo, Axel Leijonhufvud, un importante economista keynesiano, ha dichiarato per primo, ormai cinque anni or sono, che essa va cancellata perché è una colossale ipocrisia, giustificata con argomenti teoricamente deboli, e perché costituisce un vulnus per la democrazia. Questo, indipendentemente dal risparmio di interessi che un ritorno alla sovranità monetaria certo consentirebbe, permettendo un moderato finanziamento monetario del deficit.

Il problema è un altro, più grave. Non si può attribuire a un pugno di persone non elette da nessuno e spesso non particolarmente competenti (come i fatti dimostrano) il potere di vita e di morte su interi Stati, attribuendo loro la facoltà di decidere a quali condizioni il governo di uno Stato sovrano può finanziarsi. La politica monetaria deve ridiventare quello che era prima della deregulation finanziaria: uno strumento nelle mani dei governi.

Se i governi lo useranno male, i cittadini si regoleranno di conseguenza. Ma ora, quando una Banca come la Fed si comporta male, gonfiando con denaro facile la bolla dei subprime, cosa possono fare i cittadini statunitensi? E quando una Banca come la Bce si comporta male, lasciando per quasi un anno i paesi in balìa dello spread, quando una semplice dichiarazione sarebbe bastata a placare i mercati (come è poi successo a luglio del 2012), i cittadini europei a chi possono rivolgersi? A nessuno. È democrazia?

È stato un altro premio Nobel, Joseph Stiglitz, a ribadire un mese fa che i paesi meno danneggiati dalla crisi erano quelli con le banche centrali meno indipendenti (Cina, India, Brasile), e che la stessa nozione di indipendenza è ridicola, perché ogni istituzione risponde a qualcuno: il problema è capire a chi. Di sicuro la Bce non risponde ai cittadini europei. Sarà la storia a dirci a chi ha risposto finché è esistita.

Nei paesi anglosassoni e nel resto dell’Europa questo tabù è ormai infranto, come testimoniano tanti articoli della stampa finanziaria.

 

 

continua…

 

By GPG Imperatrice

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