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ENPAF: l’ultimo rimasulgio di un passato che è diventata un ostacolo

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Quando nel dopoguerra, in mancanza di un servizio sanitario e previdenziale generalizzato, vennero approvate ed incentivate le mutue per le diverse categorie professionali, fu un grande avanzamento sociale. L’introduzione della sicurezza sociale generalizzata, tramite l’INPS da un lato ed il Servizio Sanitario nazionale dall’altro, hanno reso superflui questo tipo di copertura previdenziale. Avrebbero potuto evolversi in forme volontarie, o mutualistiche, di previdenza integrativa ed alcune lo hanno fatto, ma altre si sono trasformate solo  in una pietra al collo per i loro iscritti.

Prendiamo il caso dell’ENPAF, Ente Previdenziale per i Farmacissti, sia lavoratori autonomi sia dipendenti. Perchè chi lavora in una farmacia come dipendente, almeno in teoria, iscritto all’albo dei Farmacisti, anche se per motivi economici, le farmacie cercano di affiancare normali commessi.

Ora le norme dell’ENPAF furono scritte quando il lavoro, sia autonomo sia dipendente, del farmacista era altamente professionalizzate  e remunerato. Quando l’élite di ogni paese italiano era composta dal dottore, dal sindaco, dal maresciallo dei carabinieri e dal parroco. Ora l’attività del farmacista è stata economicamente svilita dal moltiplicarsi delle concessioni rilasciate da uno stato affamato  di denari e dal nascere di forme di distribuzione alternative. Ora se la copertura delll’ENPAF può avere ancora senso per i proprietari delle farmacie, questa risulta un peso fortissimo per chi lavora come dipendente:

  • prima di tutto il peso dei contributi ENPAF spesso è tale da quasi raggiungere una mensilità retributiva netta, mettendo in difficoltà gli iscritti dipendenti;
  • in secondo luogo in caso di licenziamento o di sospensione dell’attività subentra una sospensione, ma solo limitata a cinque anni, per cui un farmacista che abbia difficoltà a trovare lavoro rischia di dover pagare contribuzioni su un reddito che non percepisce. Le forme di riduzioni al 50% ed 85% sono infatti limitate nel tempo;
  • i contributi sono obbligatori, in caso di mancato pagamento si riceve una cartella, con quello che ne consegue;
  • I tempi previsti per la maturazione del diritto previdenziale, ultraventennali minimi, sono ormai poco compatibili con un mondo in cui la continuità lavorativa è un mito e già tre anni di versamenti sono spesso un obiettivo inarrivabile.

Perchè viene mantenuta in vita in modo così restrittivo, una cassa di questo genere? Semplicemente perchè “Qualcuno” deve pagare le pensioni di chi ne usufruisce. Secondo quanto abbiamo saputo i circa 250 milioni di entrate, fra contributi del SSN e degli iscritti all’albo, non vanno in nessuna attività se non le pensioni e le spese di gestione, ma, nello stesso tempo, questo ente contributivo è diventato un peso insormontabile per la categoria. Nessuno ne vuole parlare, ma bisognerà pensare ad una riforma prima che un ente assistenziale si trasformi in una pietra tombalee.

 


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