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Elogio di Putin e della Le Pen di Paolo Becchi

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Sbagliano coloro che oggi credono che la partita in Francia sia già chiusa, e che ormai, anche a seguito del “tradimento” di Donald Trump e del suo programma isolazionista, Marine Le Pen sia comunque destinata a soccombere. Più in generale, e sul piano geopolitico, sbagliano coloro che pensano che le potenze «marittime» abbiano ormai avuto la meglio su quelle «telluriche», per dirla con il Carl Schmitt di Terra e mare (Adelphi). L’opposizione tra terra e mare ha costituito, almeno a partire dal XVII secolo, l’asse a partire dal quale si sono nel tempo definiti i rapporti di forza tra gli Stati, e si è instaurata quella dialettica tra equilibrio ed egemonia che ancora oggi determina e misura il tempo della politica.

In fin dei conti, le più recenti mosse di Trump – Siria e Corea del Nord – sono i colpi di coda di una potenza imperiale in declino che vuole riaffermare un ruolo egemone in mondo ormai sì tendenzialmente multipolare, ma che continua periodicamente a cercare nuovi assestamenti e nuovi equilibri: oggi, quello tra il “mare” americano e la “terra” russa. Per dirla ancora una volta con Carl Schmitt, dopo la crisi dello ius publicum europaeum il nuovo nomos della terra si è spostato in Russia e oggi Vladimir Putin, per capacità e visione strategica, è l’unico uomo politico all’altezza del tempo storico che viviamo.

ATLANTISMO EUROPEO

La domanda fondamentale che ora dobbiamo porci è la seguente: quale ruolo è destinata a svolgere l’Europa in questa nuova situazione geopolitica? A partire dal secondo dopoguerra, il Patto atlantico, con la Nato, ha collocato l’Europa in un contesto americano. L’Unione europea non ha fatto altro che continuare nella medesima direzione, con l’alleanza franco-tedesca a partire da Mitterrand e Kohl. L’atlantismo rappresentò, ed ha continuato, sia pure in forma diverse, a rappresentare il vero tratto politico comune delle democrazie europee, l’assicurazione della loro fondamentale collocazione geopolitica dalla parte degli Stati Uniti, e contro la Russia.

La Francia, da questo punto di vista, è sempre stata l’anello debole: più sovranista e più europeista che atlantista, fin da De Gaulle essa ha sempre tentato di rivendicare, contro l’idea di un’Europa satellite delle potenze marittime (Stati Uniti e Inghilterra), quella di un equilibrio tra alleati che garantisse le aspirazioni francesi nazionali a una forte unità continentale.

Se oggi irrompe, nuovamente, il “Fronte Nazionale”, è essenzialmente per la sua forza tellurica, il suo rivendicare la terra come l’esistenza autentica di una Francia che ha da sempre pensato se stessa come destinata a un’alleanza continentale, più che di una sfera d’influenza extra-europea. Era stato così, come si è detto, con De Gaulle, e il suo tentativo di fare della cooperazione franco-tedesca l’asse con cui rendersi indipendente dai due blocchi. Ancor prima, alla fine del XIX secolo e ai tempi del progetto della costruzione della linea ferroviaria Parigi-Vladivostok, era stato carezzato il sogno di un’alleanza Francia-Germania-Russia.

Questa vocazione tellurica è tornata oggi a farsi prepotentemente sentire: Le Pen vince nelle terre francesi, nelle province, mentre a Parigi, la capitale, i francesi non vanno più neppure a votare.

E allora, dovremmo chiederci se la vera contrapposizione, oggi, non sia quella tra destra e sinistra – entrambe se ne escono con le ossa rotte dalle elezioni – ma, di nuovo, quella più originaria tra la terra e il mare, tra le potenze telluriche e la finanza globale. Questa è la vera sfida epocale. Da una parte, le forze populiste, che non sono né di destra né di sinistra, ma sono le forze legate alla terra, all’agricoltura e all’industria, al recupero di un’idea nazionale e, insieme, delle grandi questioni sociali del nostro tempo, a partire da quella del lavoro. Dall’altra, le élites finanziarie, con il loro modello di sviluppo liberista fondato in Europa su una moneta che ha solo il compito di distruggere i deboli a vantaggio dei forti, per imporre dappertutto la forza astratta del globalismo marittimo. Il sovranismo identitario è così diventato l’alleato naturale di tutti coloro che contestano le devastazioni della globalizzazione. Così sovranismo e questione sociale inevitabilmente si intrecciano, dando luogo a una miscela esplosiva. Carl Schmitt avrebbe detto: die konservative Revolution (la rivoluzione conservatrice) contro quella liberale.

Le Pen vuole restaurare lo Stato, le frontiere, la voglia di comunità, il senso di appartenenza nazionale e per farlo ha persino “ucciso” il padre, trasformando il suo partito, mutandone sostanzialmente la natura. Macron si è inventato un partito in due giorni, un partito privo di qualsiasi radicamento sul territorio, è il banchiere, europeista e cosmopolita, liberale, l’uomo dei flussi migratori e dei capitali, della casta mediatica, l’uomo d’affari per cui l’interesse pubblico è al servizio di quello privato, un prodotto fecondato in vitro dalle élites finanziarie per sconfiggere una donna, la nuova Giovanna d’Arco.

CONFLITTO DEGLI ELEMENTI

Terra e mare, il conflitto degli elementi continua. Un conflitto che oggi significa e ha preso la forma dell’opposizione tra popoli stanziati su territori che rivendicano il senso della loro radici e la cosmopolis “rizomatica” della società liquida. Chi ha votato Le Pen o Mélenchon – se superiamo le ormai obsolete contrapposizioni ideologiche tra destra e sinistra, le grandi narrazioni del secolo scorso – ha votato per la stessa cosa e contro la stessa cosa: per la terra, contro il mare. Per vincere Le Pen dovrà però riuscire a dimostrare che non si vota pro o contro il Fronte Nazionale, ma pro o contro la globalizzazione e i suoi prodotti tossici, in primis l’euro; dovrà cioè riuscire a dimostrare che se vince lei vincono i francesi, e potranno un domani vincere anche gli italiani, i tedeschi e così via, se vince Macron vincono le élites finanziarie mondialiste e le burocrazie dell’Unione europea.

La posta in gioco è altissima. La Francia, uno Stato nazionale, può ancora spostare gli equilibri geopolitici globali. La vittoria di Le Pen sarà una sconfitta dell’atlantismo, del mare, e la nascita di un nuovo grande spazio: quello tellurico euroasiatico.

Paolo Becchi su Libero, 27/04/2017


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