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ELOGIO DEL POLITICALLY UNCORRECT, OVVERO PERCHÉ TRUMP HA RAGIONE Come sopravvivere nella vita, non disdegnando slealtà e e disonestà e usando il danaro a fin di bene (di Carlo Alberto Morosetti)
Una delle parabole più famose presenti nel Vangelo di San Luca ci illustra la vicenda di un padrone che finisce per lodare l’amministratore disonesto dei suoi beni che, essendo stato scoperto, se la cava utilizzando disonestà e scaltrezza.
I figli di questo mondo, dice Gesù, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Il monito di Cristo sorprende:” fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne».
La parabola del fattore che prende a modello il suo amministratore infedele, pur essendo stato da lui truffato, ci invita a riflettere sul nostro modo di pensare in un mondo sempre più dominato dalla forma più che alla sostanza, al cosiddetto “politically correct”, comportarsi correttamente in pubblico…
Sorpreso a rubare, l’amministratore capisce che verrà licenziato e allora escogita un modo per cavarsela, un modo geniale: adotta la strategia dell’amicizia, creare una rete di amici, cancellando parte dei loro debiti. Con questa scelta, inconsapevolmente, egli compie un gesto profetico, fa ciò che Dio fa verso ogni uomo: dona e perdona, rimette i nostri debiti. Così da malfattore diventa benefattore: regala pane, olio, cioè vita, ai debitori. Lo fa per interesse, certo, ma intanto cambia il senso, rovescia la direzione del denaro, che non va più verso l’accumulo ma verso il dono, non genera più esclusione ma amicizia.
Il personaggio più interessante della parabola, su cui fermare l’attenzione, è il ricco, figura di un Signore sorprendente: il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza, aveva puntato tutto sull’amicizia. Qui il Vangelo regala una perla: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza perché quando essa verrà a mancare vi accolgano nelle dimore eterne. Fatevi degli amici. Amicizia diventata comandamento, umanissimo e gioioso, elevata a progetto di vita, fatta misura dell’eternità. Il messaggio della parabola è chiaro: le persone contano più del denaro. Amici che vi accolgano nella casa del cielo: prima di Dio ci verranno incontro coloro che abbiamo aiutato, nel loro abbraccio riconoscente si annuncerà l’abbraccio di Dio, dentro un paradiso generato dalle nostre scelte di vita.
Nessuno può servire due padroni. Non potete servire Dio e la ricchezza. Affermazione netta: il denaro e ogni altro bene materiale, sono solo dei mezzi utili per crescere nell’amore e nella amicizia. Sono ottimi servitori ma pessimi padroni. Il denaro non è in sé cattivo, ma può diventare un idolo e gli idoli sono crudeli perché si nutrono di carne umana, aggrediscono le fibre intime dell’umano, mangiano il cuore. Cominci a pensare al denaro, giorno e notte, e questo ti chiude progressivamente in una prigione. Non coltivi più le amicizie, perdi gli amici; li abbandoni o li sfrutti, oppure saranno loro a sfruttare la situazione. La parabola inverte il paradigma economico su cui si basa la società contemporanea: è il mercato che detta legge, l’obiettivo è una crescita infinita, più denaro è bene, meno denaro è male. Se invece legge comune fossero la sobrietà e la solidarietà, la condivisione e la cura del creato, non l’accumulo ma l’amicizia, crescerebbe la vita buona.
Altrimenti nessun povero ci sarà che apra le porte della casa del cielo, che apra cioè fessure per il nascere di un mondo nuovo.
(Letture: Amos 8, 4-7; Salmo 112; 1 Timoteo 2, 1-8; Luca 16, 10-13)
Ci aiuta a capire come la disonestà e la slealtà in realtà possano diventare un modus vivendi atto a rendere la nostra vita dignitosa, il commento di padre Enzo Bianchi, poeta e priore della Comunità mistica piemontese di Bose.
“Il brano del vangelo di Luca previsto dalla liturgia per questa domenica si ferma purtroppo al versetto 13, omettendo quello successivo che svela il contesto e l’uditorio della parabola e delle parole pronunciate da Gesù: “I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui” (Lc 16,14), aiutandoci a capirle in profondità. Abbiamo quindi degli uomini che ascoltavano le parole di Gesù ma, proprio a causa della loro cupidigia, del loro attaccamento al denaro, non potevano accoglierne l’insegnamento e finivano per disprezzarlo. Del resto è a questi stessi uomini religiosi, che gli rimproveravano il suo ricevere i peccatori e mangiare con loro (cf. Lc 15,2), che Gesù ha appena indirizzato le tre parabole della misericordia.
E proprio questa grande capacità di compassione verso i deboli, gli smarriti, i peccatori fa dell’insegnamento di Gesù qualcosa di estremamente esigente: un insegnamento profetico che smaschera le diverse forme di idolatria capaci di alienare soprattutto gli uomini religiosi, un insegnamento che cerca di colpire, di smuovere i cuori degli ascoltatori per ricondurli all’unico Signore. Un insegnamento che sovente scompagina ancora oggi il nostro comune sentire: così questa pagina del Vangelo – di facile comprensione letterale – ci appare irta di difficoltà nell’interpretarla, paradossale, con quella parabola così strana, apparentemente fuorviante e inadatta a rispondere alle esigenze di un’etica segnata da giustizia, veridicità, lealtà.
Cerchiamo tuttavia di cogliere con semplicità il messaggio evangelico: un amministratore, accusato di aver sperperato le ricchezze a lui affidate da un uomo ricco, prima di lasciare il proprio incarico, chiama i debitori del padrone e, con un’operazione di falsificazione delle ricevute, li rende debitori verso se stesso. Così, anche se licenziato, avrà qualcuno che gli dovrà riconoscenza. Grande astuzia, dunque, e grande, doppia disonestà verso il suo padrone, il quale tuttavia, conosciuta la vicenda e saputo come il suo amministratore si era “aggiustato il domani”, lo elogia per aver agito con scaltrezza. Sì, padrone e amministratore sono entrambi “figli di questo mondo” e il loro ragionamento è certamente mondano, segnato da furbizia, ma anche da falsità e ingiustizia.
Gesù dunque non loda questa azione in quanto tale ma, guardando ai suoi discepoli, “figli della luce” ma poco furbi, incapaci di strategie efficaci nella vita, prova una tenerezza mista a tristezza… I credenti autentici sono meno furbi degli “uomini religiosi”! L’invito di Gesù ai suoi discepoli è a procurarsi amici con la stessa determinazione che hanno i figli di questo mondo, ma anche facendo un uso diverso della ricchezza: si tratta di condividerla con i poveri che, essendo i primi cui è promesso il regno (cf. Lc 6,20), potranno accoglierli nelle dimore eterne, cioè dove c’è la vita in Dio per sempre. Questo è il modo di “profittare del tempo presente” (cf. Ef 5,16), del tempo che abbiamo in dono da vivere, per trasformare la ricchezza disonesta in fonte di comunione e di amicizia.
Le parole finali di Gesù si fanno dunque chiare: il discepolo non può servire a Dio e al denaro: o amerà Dio con tutto il cuore, tutta la mente, tutte le sostanze – cioè i beni – oppure amerà il denaro, le sostanze e non potrà amare Dio. Significativamente, il termine usato dalla nostra pericope per il denaro è Mamon, “mammona”, un termine in uso al tempo di Gesù e che nella sua radice si rifa al verbo aman, “credere”, “porre la fiducia in”; così negli scritti di Qumran indica un “idolo potente”, capace di affascinare e dominare.
“Dov’è il tesoro, là è anche il cuore” (Lc 12,34) aveva ammonito Gesù: se siamo attirati, se amiamo il denaro, allora esso come un idolo ci aliena, ci inganna e ci seduce, impedendoci l’amore e il servizio di Dio. Certo, ancora oggi chi è attaccato al denaro, è tentato di leggere questa parabola come una lode alla furbizia e alla disonestà: ma questo significa ragionare da figlio di questo mondo anche se si è “religiosi” e si appartiene alla comunità cristiana, ai discepoli di colui che ha detto “voi siete nel mondo, ma non siete del mondo”.
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