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Elezioni europee: il governo italiano di fronte alle sue responsabilità

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di Davide Gionco

Passata la sbornia dei soliti inutili commenti giornalistici su chi ha vinto e chi ha perso le elezioni, nei quali la competizione politica viene sostanzialmente paragonata ad un torneo di calcio, dove alcune squadre “vincono” ed altre “perdono”, cerchiamo di rimettere i piedi per terra, per capire cosa potrà realmente cambiare per la nostra vita di tutti i giorni dopo quanto scaturito dalle ultime elezioni europee.

La prima considerazione è nel Parlamento Europeo non cambierà sostanzialmente nulla: la precedente maggioranza costituita dai socialisti e dai popolari verrà ricostituita, includendo anche i liberali dell’ALDE. Il risultato sarà un’assoluta continuità con le precedenti politiche neoliberiste, fondate sulle politiche di austerità, sui tagli alla spesa pubblica, sulle privatizzazioni, sull’output gap ed altri meccanismi finalizzati a favorire l’economia di alcuni paesi (Germania, Olanda in primis) a scapito di altri (Grecia e Italia in primis) e finalizzati a favorire le lobbies dei mercati finanziari a scapito degli operatori dell’economia reale.
Ci ritroveremo quindi un commissario Barroso/Juncker bis, che avrà la faccia del tedesco Weber o dell’olandese Timmermans e un Mario Draghi bis, in salsa tedesca, che continuerà a tutelare gli interessi dei mercati finanziari.

Aggiungiamo il fatto che, a motivo dei meccanismi decisionali dell’Unione Europea

le decisoni che contano non vengono quasi mai prese dal Parlamento Europeo.
Quini tanti auguri ai candidati eletti che hanno avuto la nostra fiducia, i quali porteranno qualche voce di verità in una assemblea sostanzialmente inutile.
Le elezioni europee, quindi, servono soprattutto a dare una “copertura politica” (come diceva il segretario di stato Colin Powell ai tempi della guerra in Irak, mostrando le provette delle inesistenti armi chimiche) a decisioni per nulla democratiche prese altrove e per altre finalità.7

Questo tanto per stabilire un punto fermo per coloro che hanno come programma politico il “cambiare l’Europa dall’interno”.
L’Unione Europea non cambierà a motivo di una composizione leggermente diversa del parlamento.
Anche perché i trattati, i testi che stabiliscono le regole del gioco, sono di competenza intergovernativa, non del Parlamento Europeo.
E, almeno per il momento, non si sono realizzati in Europa cambiamenti di governo tali da fare sperare una riscrittura dei trattati europei in senso più democratico e sulla base di una visione più keynesiana dell’economia.
Vigendo il principio dell’unanimità di tutti i governi, infatti, sarebbe necessario che in tutti i governi si affermasse una diversa visione dell’economia per eliminare dai trattati gli assurdi vincoli del 3% al deficit, del 60% al debito, della moneta unica e via dicendo.
Una condizione certamente non possibile nel breve e medio termine. Nel lungo termine saremo tutti morti, come saggiamente ricordava Keynes, mentre i problemi i cittadini europei, e in particolare quelli italiani, li hanno ora.

Anche se dai risultati elettorali di alcuni paesi come Italia, Francia, Regno Unito, Ungheria, così come dalla alta astensione (il 48% in Italia), arrivano segnali chiari di insofferenza da parte della popolazione, la sadica indifferenza con cui la commissione Jucker ha a suo tempo ridotto alla fame la Grecia, calpestando la loro votazione referendaria, non deve farci illudere sulla “sensibilità politica” dei commissario europei che rispondono del loro operato non agli elettori, ma unicamente alle lobbies della finanza internazionale.
Nessun aiuto ci arriverà dell’Europa.

Veniamo ora alla situazione italiana, al gongolante Matteo Salvini forte del suo 34%.
La sostanza è che in questo primo anno di governo “gialloverde” i risultati economici sono stati molti modesti, sostanzialmente insignificanti. Salvini è riuscito a fare il pieno di voti grazie alla sua grande abilità comunicativa, indirizzata in particolare verso i temi dell’immigrazione e della sicurezza. Tuttavia poco o nulla si è fatto, a parte le molte parole, per il rilancio dell’economia del paese.
Si è sempre parlato di “soluzioni” (reddito di cittadinanza, flat tax), ma mai di “quantità”.
Se il decifit è fermo ai vincoli imposti dalla Commissione Europea, al 2.04%, che corrisponde ad un attivo di bilancio primario teorico dell’1,76%, nessun reddito di cittadinanza e nessuna flat tax porterà alla ripresa dell’economia italiana.
Quello che conta per far ripartire l’economia, infatti, è aumentare la quantità di denaro in circolazione per gli investimenti da parte di famiglie e imprese, il che si ottiene sia riducendo le tasse, sia aumentando la spesa pubblica.
Ma affinché la manovra economica sia significativa e adeguata per il rilancio dell’economia italiana è necessario che l’aumento di investimenti sia almeno di 80-90 miliardi di euro, che consentirebbero la creazione di 1,2-1,5 milioni di nuovi posti di lavoro, obiettivo minimo per un governo che intenda veramente ridurre la disoccupazione e la povertà in Italia.
Aumentare gli investimenti di 80-90 miliardi significa, inevitabilmente, fare un deficit di bilancio dell’8,5%.

Peraltro questo piano di investimenti potrebbe essere finanziato anche senza andare allo scontro aperto con l’Unione Europea, ad esempio mettendo in atto la misura della moneta fiscale.

Senza il coraggio di scelte del genere, l’Italia continuerà a sprofondare, i nostri giovani continueranno ad emigrare, le nostre imprese continueranno a fallire, le multinazionali straniere continueranno a comprare, a prezzi di saldo, le nostre imprese migliori.

Dopo un primo anno passato a tergiversare, senza misure significative per la ripresa economica del paese, probabilmente in attesa di un esito positivo dalle elezioni europee che non è arrivato, ora è giunto il momento di scoprire le carte, anche perché il paese non può permettersi un ulteriore perdurare della crisi economica.
O Salvini metterà il suo accresciuto consenso popolare a servizio degli italiani, mettendo al centro della sua azione l’economia (e non questioni secondarie come quella dell’immigrazione), se il caso anche sfidando la nuova dirigenza dell’Unione Europea, oppure arriverà la resa dei conti con gli italiani, i quali hanno già dimostrato di illudersi facilmente, per poi disilludersi verso chi dimostra di non comprendere i loro reali bisogni.
Le soluzioni esistono, se chi è al governo non sa che soluzioni proporre, che ci contatti.
L’ultimo treno per Salvini e Di Maio è la prossima legge finanziaria, che sarà la prova definitiva sulla effettiva serietà dell’attuale governo.


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